Nelle sue Previsioni di primavera la Commissione Ue taglia le stime di crescita dell’Italia, che resta in fondo alla classifica europea anche per l’occupazione e gli investimenti, e boccia i nostri conti pubblici che vanno “alla deriva”. Bruxelles prevede una crescita 2019 dello 0,1%, in calo dallo 0,2% previsto a febbraio. Secondo il commissario Pierre Moscovici, che ha rinviato a giugno l’esame e le decisioni della Ue, la ripresa italiana è “molto contenuta”, mentre il deficit pubblico è stimato al 2,5% nel 2019 e al 3,5% del Pil nel 2020. Anche il debito rischia di aumentare nuovamente, al 133,7% del Pil nel 2019 e al 135,2% nel 2020. Dopo la diffusione dei dati, lo spread è salito oltre i 260 punti. Ma da Parigi è arrivata la risposta del ministro dell’Economia, Giovanni Tria: “La Ue non tiene conto di dati del primo trimestre che non erano negativi” e definisce “politica” la previsione sul deficit. Ma come va interpretata questa bocciatura? “Ci troviamo immersi in una situazione di sostanziale ristagno economico – risponde Luigi Campiglio, professore di Politica economica presso l’Università Cattolica di Milano – che sconta una congiuntura globale di incertezza su troppi fronti. E noi purtroppo, rispetto alla media della crescita Ue, che nel primo trimestre 2019 è partita con un +0,4%, siamo costantemente in ritardo. Morale: è un po’ la replica di questi anni, noi siamo sempre indietro. Cresciamo poco e se cresciamo lo facciamo più lentamente degli altri”.
Secondo lei, in questa bocciatura, come ha sottolineato il ministro Tria, c’è una coloritura soprattutto politica, visti i non idilliaci rapporti tra il governo Conte e la Commissione?
Presumo di sì. Si va verso le elezioni europee per il rinnovo del Parlamento e quindi in qualche misura ciascuno fa il proprio gioco. Va però anche detto che in questo anno di governo i rapporti non sono mai stati particolarmente cordiali.
La Ue lancia l’allarme sui conti italiani alla deriva, deficit e debito crescono troppo. Dopo le Europee, ci verrà chiesta una manovra correttiva? Oppure a giugno la Commissione aprirà una procedura d’infrazione per eccessivo aumento del debito pubblico?
Per eccessivo aumento del debito mi sembra un po’ eccessivo, ma la possibilità c’è, perché siamo in condizioni non buone, sebbene non disperate. Aumenterà di sicuro, essendo la crescita praticamente ferma, il rapporto debito/Pil e quindi in linea di principio esistono le condizioni per cui Bruxelles – ma a questo punto non sappiamo chi, perché verranno rinnovati tutti gli organi europei – abbia qualcosa da ridire sulla nostra situazione economica. Poi tutto dipenderà da quel che dirà.
Manovra correttiva in vista, da varare prima della Legge di bilancio in autunno?
A questo punto è possibile tutto, ma non lo credo. A questo stadio dovremo fare un po’ i conti con noi stessi, a prescindere da quello che si decide o non si decide a Bruxelles. Nonostante la buona volontà di molti europarlamentari italiani, siamo distanti. Speriamo che la tornata elettorale di maggio ci porti più vicini a una possibilità di dialogo con la Ue.
Bruxelles sembra incoraggiare l’aumento dell’Iva nel 2020 per migliorare le prospettive di bilancio. Lei che ne pensa? E’ opportuno, è inevitabile o è una mossa da scongiurare l’aumento dell’Iva?
Le clausole di salvaguardia sono state un’idea davvero infelice, perché in buona sostanza hanno consentito di fare altre manovre che si sono rivelate di discutibile inefficacia, se non del tutto inefficaci. Abbiamo oggi un Paese in cui le politiche fatte finora sono state fondamentalmente improntate all’insegna dell’austerità. Ma con altrettanta onestà va ricordato che sono state fatte non con un’azione particolarmente felice, né all’interno, né nei rapporti con Bruxelles. E’ possibile, allora, che ci chiederanno di aumentare l’Iva. A quel punto avremo una situazione paradossale.
Perché?
Una tale manovra, cioè l’aumento dell’Iva, in una situazione in cui continuiamo ad andare su e giù intorno allo zero, rischia di riportare il Paese in rosso. Sarebbe una decisione decisamente sbagliata, perché porterebbe l’Italia in un’altra recessione senza risanare il bilancio. E questa sarebbe davvero una beffa.
La Ue esprime un giudizio molto duro sul reddito di cittadinanza, perché fa aumentare la disoccupazione. Corriamo davvero questo rischio?
Mi è imperscrutabile il nesso causale e cosa significhi questa affermazione. Penso probabilmente che dipenda dal fatto che nel mercato del lavoro le persone sarebbero più scoraggiate a cercare un’occupazione. Ma se fosse questo, sarebbe un’interpretazione a dir poco bizzarra. Il Rdc, che nasce dal risentimento sociale, soprattutto al Sud, di fronte allo strangolamento dell’economia, reiterato e sbagliato, può essere discusso su due piani: l’impatto sulla crescita e se rappresenta la risposta più adeguata al disagio sociale. Resto convinto che sarebbe stato meglio legare in modo più stretto la spesa al lavoro, cioè rimettendo in moto gli investimenti.
Adesso l’Italia cosa dovrebbe fare?
Deve decidere se e come vuole rapportarsi con le istituzioni europee. Se, da un lato, hanno usato spesso due pesi e due misure, da parte nostra non c’è mai stata una vera politica efficace perché l’economia nel suo complesso riprendesse vigore. Ci sono dei settori che viaggiano bene, ma sono troppo pochi.
(Marco Biscella)