Dopo che tutti i nove sindacati dei dipendenti Alitalia hanno sottoscritto l’accordo con la Cai (sebbene Avia e SdL debbano sottoporre la loro scelta a un referendum tra i loro associati), la domanda chiave del dibattito diventa: «Quanto vale Alitalia?». A quale prezzo, se non fosse stato posto il vincolo dell’italianità dell’azionariato di controllo, una compagnia straniera sarebbe disposta ad acquisire la proprietà del vettore di bandiera in amministrazione commissariale?
Si tratta di un quesito chiave che difficilmente sarà posto dai nostri organi d’informazione; esso permette di calcolare quanto perderemo come contribuenti per effetto della scelta di aver ristretto all’ambito nazionale la possibilità di acquisire il controllo dell’azienda e per aver dato la possibilità agli acquirenti “tricolori” di fare shopping “à la carte” tra gli asset delle vecchia Alitalia anziché porre in vendita con procedure trasparenti e competitive l’intera azienda, debiti compresi.
La valutazione d’azienda, indispensabile all’interno di procedure di cessione, è un tema importante e articolato che viene trattato dalle discipline economico aziendali. La valutazione di aziende strutturalmente in perdita, come nel caso Alitalia, diviene particolarmente delicata poiché, se si ritiene di acquisire l’azienda per ristrutturarla e proseguirne l’attività produttiva anziché per cederne i singoli asset non più attivi, occorre ipotizzare gli effetti della discontinuità gestionale.
Senza entrare in aspetti troppo complessi della valutazione d’azienda e senza voler sottrarre lavoro ai colleghi delle discipline aziendali è tuttavia possibile introdurre un ragionamento molto semplice e poco tecnico che può essere oggetto di affinamenti successivi.
Uno dei metodi più diffusi di valutazione, quello denominato “reddituale”, ricava la stima del valore aziendale dalla capacità che essa ha, come complesso integrato e funzionante, di generare profitto. Il valore dell’azienda è pertanto stimato attraverso l’attualizzazione dei redditi futuri attesi.
Quale redditività potrebbe generare Alitalia se acquisita da un grande operatore europeo quale Air France-Klm, Lufthansa o British Airways? Un’ipotesi ragionevole è che, gestita con criteri analoghi alla casa madre, potrebbe generare una profittabilità simile. In tal caso dovremmo ipotizzare una redditività industriale (Ebit/ricavi) compresa tra il 6% (valore di Lufthansa e AF-Klm) e il 10% (valore di British). Sapendo che i gruppi maggiormente interessati sono i primi due potremmo accogliere prudenzialmente un 5%, che immaginiamo riguardare la generalità degli esercizi futuri.
Poiché la base alla quale applicare tale percentuale è data dai ricavi da traffico di Alitalia, che nel 2007 sono stati di 4,35 miliardi di euro, stimiamo un risultato netto della gestione caratteristica di 220 milioni di euro anno. A questo punto è possibile ottenere una prima stima del valore aziendale moltiplicando l’Ebit pari a 220 milioni per un multiplo che potrebbe essere ragionevolmente pari a dieci. Otterremmo in tal modo un valore di 2,2 miliardi di euro dai quali occorre tuttavia detrarre le passività che verrebbero trasferite al compratore. Per chi acquistasse Alitalia nella sua interezza, accollandosi tutte le passività, esse ammonterebbero a circa 1,6-1,7 miliardi di euro (debiti finanziari e commerciali al netto dei corrispondenti crediti, fondi rischi e trattamento fine rapporto). Alla fine del conteggio l’acquirente “grande vettore europeo”, in grado di estrarre redditività dalla nuova Alitalia, potrebbe ragionevolmente sborsare circa 500-600 milioni di euro per acquisirla nella sua interezza, debiti compresi.
Quanto vale AirOne se utilizziamo lo stesso metodo? In questo caso i ricavi da traffico sono stati pari nel 2007 a circa 680 milioni di euro che, con una redditività industriale ipotizzata del 5%, porterebbero a un Ebit di 34 milioni annui e a un valore aziendale di 340 milioni di euro. CAI valuta AirOne, sulla base di quanto riportato dai media, 300 milioni, una cifra che non appare in contrasto con la nostra stima precedente se si considera che l’acquirente non è una grande compagnia europea e che la redditività ipotizzabile per un vettore orientato al traffico nazionale e che parte da un basso load factor è senz’altro inferiore. La nostra elaborazione stima un valore delle due aziende pari in entrambi i casi a circa il 50% del fatturato e, poiché sono i passeggeri ad apportare il fatturato, è come se valutasse i 24 milioni di passeggeri annui di Alitalia circa 90 euro a testa e i 7 milioni di AirOne circa 48 euro a testa.
È importante osservare che secondo le stime precedenti il valore dell’intera Alitalia con i debiti sarebbe pari a 1,5-1,8 volte quello di AirOne senza i debiti.
A questo punto il lettore non del tutto digiuno della valutazione d’azienda ci chiederà anche di verificare il valore di Alitalia usando l’altro metodo tipico, quello “patrimoniale”. Il metodo patrimoniale stima il valore di un’azienda a partire dal valore corrente dei suoi singoli cespiti e si basa sul saldo algebrico tra valore delle attività e valore delle passività. Il punto di partenza della valutazione è il patrimonio netto contabile le cui singole voci sono rettificate qualora non in linea con i valori correnti di mercato. A quanto ammonta al momento attuale il patrimonio netto di Alitalia? Difficile dirlo poiché il vecchio consiglio di amministrazione ha abbandonato il campo a fine agosto senza approvare la semestrale e il Commissario Fantozzi non ci ha più fatto sapere nulla. Qualche stima è tuttavia possibile: a fine 2007 il patrimonio netto era pari a 381 milioni di euro; nel corso dei primi nove mesi dell’anno si è incrementato di 300 milioni per via del prestito ponte che Tremonti ha trasformato in patrimonio e si è ridotto per le perdite aziendali che dovrebbero essere state di 800 milioni di euro. A fine settembre dovrebbe essere pertanto negativo per 120 milioni di euro.
A questo punto dobbiamo chiederci come un’azienda con un patrimonio netto negativo per 120 milioni possa in realtà valere 500 o 600 milioni, cioè 600 o 700 milioni in più di quanto non sostenga lo stato patrimoniale. La risposta è da ricercarsi nella valutazione degli “intangible assets”, dei beni immateriali dei quali l’azienda si avvale per produrre reddito. Nel caso dei vettori aerei essi sono particolarmente rilevanti: rotte e quote di mercato su di esse, diritti di decollo e atterraggio (i famosi “slot”, di elevato valore se riferiti ad aeroporti/orari congestionati), clientela fidelizzata disponibile a spendere.
Quanto sono valutati gli intangibile assets nello stato patrimoniale di Alitalia (che aveva nel 2007 oltre 24 milioni di passeggeri e circa 4,4 miliardi di ricavi)? Molto poco: a fine 2007 solo 53 milioni di euro. Quanto sono valutati, invece, nel bilancio di AirOne (o meglio, di AP Holding che la controlla), azienda i cui ricavi sono meno di un sesto rispetto ad Alitalia? Molto: a fine 2007 ben 807 milioni di euro, una cifra molto simile al patrimonio netto della stessa azienda che era di 837 milioni di euro).
È evidente, e anche la telespettatrice di Voghera sarebbe d’accordo, che se avviamento, marchio e altri intangibles di AirOne valgono 837 milioni di euro, il valore di quelli di Alitalia non può essere solo di 53 milioni e qualora risultasse non inferiore a 180-200 milioni il patrimonio netto dell’azienda non si sarebbe ancora azzerato (e gli azionisti non avrebbero perso tutto il loro investimento).
Ma in cosa consistono e quanto valgono davvero gli “intangible assets” di Alitalia? Al loro interno gli elementi di maggior valore sono soprattutto gli “slot”, i diritti di decollo e atterraggio in orari determinati. Il valore degli slot, qualora ceduti quando sono ancora in uso su una determinata rotta, è in grado di incorporare anche il valore per il vettore acquirente della clientela che su quella rotta viaggia abitualmente in quella fascia oraria. La vendita di Alitalia deve necessariamente fare i conti con gli slot poiché, pur non essendo di proprietà diretta della compagnia aerea, possono essere ceduti nei paesi dell’Unione Europea dal vettore che ne dispone e hanno in conseguenza un valore e un prezzo di mercato.
Con la comunicazione del 30 aprile scorso, la Commissione Europea ha di fatto introdotto un mercato secondario per gli slot estendendo a tutti i paesi quanto già si verificava in Gran Bretagna, tanto che la stessa Alitalia aveva venduto lo scorso 26 dicembre, tre coppie di slot nell’aeroporto di Londra Heathrow ricavando la somma di 54 milioni di euro (ben 18 milioni di euro in media per coppia). Un valore così elevato deriva dal fatto che l’aeroporto londinese è fortemente congestionato (e lo rimane anche dopo il recente ampliamento che ha visto la costruzione del Terminal 5). Non tutti gli slot di Alitalia hanno evidentemente un valore così elevato come quello realizzato su Heathrow, ma tutti gli slot di cui dispone su aeroporti e orari congestionati hanno un valore, almeno per quanto riguarda tutti gli aeroporti dell’Unione Europea.
Gli slot hanno valore perché essi sono assegnati tramite un sistema di grandfather’s rights: la compagnia storica che lo occupa ha il diritto di conservarlo e lo mantiene anche nella stagione successiva se lo ha utilizzato per almeno l’80% del tempo. È dunque necessario utilizzare lo slot per mantenerlo, mentre in caso di inutilizzo ritorna tra quelli disponibili che sono assegnati alle compagnie che si erano collocate in lista d’attesa secondo il seguente criterio: 50% a nuove compagnie interessate a operare sullo scalo e 50% a compagnie già presenti.
La metodologia di assegnazione è la ragione per la quale il valore degli slot di Alitalia è consistente: sono infatti proprio le compagnie storiche a “detenere” i diritti di atterraggio più preziosi poiché sono quelle che hanno avviato i collegamenti più indietro nel tempo, in periodi in cui non vi era scarsità, e hanno in conseguenza scelto le fasce orarie più interessanti per i consumatori. Non a caso i vettori low cost, cresciuti dopo la liberalizzazione europea, utilizzano in maggior parte aeroporti secondari o comunque poco congestionati (tra i quali anche Milano Malpensa); Alitalia, invece, detiene diritti di atterraggio e decollo nei principali scali europei, tendenzialmente congestionati, nei quali la possibilità di aprire una nuova rotta è subordinata all’acquisto oneroso dei relativi slot.
Quanto valgono gli slot di Alitalia? Abbiamo provato a fare una stima prudenziale (che è stata pubblicata da “L’Espresso” del 19 settembre ed è riportata nella tabella allegata): il valore dei soli slot presso gli aeroporti di Linate e Fiumicino utilizzati per la navetta Milano-Roma, calcolato sulla base della redditività della tratta, ammonterebbe a circa 140-180 milioni di euro; il valore delle circa 130 coppie di slot detenute in aeroporti di altri paesi europei, quasi tutti di primario livello e congestionati, circa 260-390 milioni (valorizzandoli in media appena 2-3 milioni ciascuno contro i 18 milioni di Heathrow); il valore dei rimanenti slot in aeroporti nazionali (utilizzati sia per voli domestici che internazionali) circa 115-230. Nel complesso gli slot di Alitalia potrebbero valere tra i 550 e i 900 milioni di Euro, cifra consistente che rappresenta a nostro avviso la componente dominante degli intangible assets del vettore.
Se assumiamo come valore degli slot “nudi”, cioè privi dei collegamenti offerti da un vettore con un determinato marchio, un valore intermedio nella forbice appena indicata, ad esempio 700 milioni di euro (che sono inferiori agli 837 milioni di intangible assets di AirOne), e ipotizziamo in maniera prudenziale che non vi siano altri intangible assets di valore (quali il marchio Alitalia), possiamo portare a conclusione la nostra valutazione dell’azienda. Sostituiamo infatti il valore di 700, nuova stima degli intangible assets, al valore di 53, iscritto nel bilancio 2007 del vettore e incrementiamo in tal modo di 650 milioni la stima del patrimonio netto che a fine settembre reputiamo esser negativo per 120 milioni. Otteniamo in tal modo un valore positivo di poco superiore ai 500 milioni di euro che è la nostra stima del valore del vettore e che avevamo già ricavato in precedenza con metodo diverso.
Con un valore del patrimonio netto pari a 500 milioni di euro, inclusi gli intangible assets stimati con criterio prudenziale, tutti i creditori e obbligazionisti di Alitalia sarebbero pienamente rimborsabili e gli azionisti recupererebbero poco più di 30 centesimi per azione. Non è tuttavia il caso che si facciano illusioni: la nostra stima riguarda il prezzo che si potrebbe conseguire vendendo sul mercato con procedura trasparente e competitiva Alitalia funzionante e nella sua integrità.
Rispetto a queste condizioni vi sono stati tuttavia scostamenti notevoli: il requisito della proprietà nazionale ha allontanato chi era disponibile a pagare di più per acquisirne il controllo (Air France-Klm e Lufthansa) e ha ridotto in tal modo il valore di cessione dell’azienda, mentre il commissariamento, la possibilità dello spezzatino degli asset e della trattativa privata per la vendita ne hanno depauperato ulteriormente e in maniera significativa il valore, danneggiando azionisti e creditori.
Un ultimo appunto per quanto riguarda i consumatori: la nuova compagnia sarà in una posizione di quasi monopolio sul mercato nazionale. La concorrenza, limitata di fatto dal decreto legge del Governo di fine agosto, non permette un intervento dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato. È logico chiedersi quale sarà l’effetto di tale restrizione della concorrenza sui consumatori. Dai dati a disposizione, il viaggiatore che utilizzerà la nuova compagnia di bandiera subirà costi superiori del 36% rispetto ad esempio a quanto pagato dai clienti che utilizzano Iberia sui cieli spagnoli. Il ricavo per posto chilometro offerto della vecchia Alitalia, invece, era solo del 4% superiore a quello del vettore iberico.
La nuova Alitalia, sulla base dei suoi stessi dati, prevede quindi di aumentare i ricavi per posto chilometro offerto del 32% sulle rotte nazionali rispetto alla vecchia compagnia e ciò si verifica grazie alla possibilità che è stata offerta al nuovo vettore di operare in un mercato domestico molto meno concorrenziale.
Alla fine di questo pasticcio all’italiana riteniamo che rimarranno un mucchio di cocci nelle mani del cittadino-contribuente, del creditore, dell’azionista e del consumatore, mentre il sistema italiano del trasporto aereo, e con esso lo sviluppo del turismo, potrà risultare compromesso in maniera non facilmente rimediabile.