Pochi giorni or sono l’Agcom, Autorità di regolazione delle comunicazioni, ha assunto due decisioni in tema di mercato telefonico che non sono indipendenti tra loro.

La prima è molto semplice da spiegare e riguarda l’aumento di circa il 10% del canone degli utenti residenziali che dal prossimo febbraio passerà da 12,14 a13,40 euro al mese. Grazie a questa decisione i consumatori spenderanno 160 milioni di euro in più all’anno, ovviamente a meno che non intendano privarsi del telefono fisso o abbiano la possibilità di distaccarsi dal principale operatore nazionale e migrare verso un competitore.

I maggiori ricavi così ottenuti dovrebbero essere impiegati da Telecom per migliorare la qualità del servizio, ma è più probabile che siano indirizzati al miglioramento del bilancio, appesantito dall’elevato indebitamento e caratterizzato da ricavi resi stazionari dalla maturità del mercato (e divenuti declinanti nel corso degli ultimi trimestri).

La seconda decisione è molto più complessa da illustrare e non presenta conseguenze almeno direttamente percepibili dal consumatore, ma potrebbe generare conseguenze di segno positivo sul grado di apertura effettiva del mercato e sui processi competitivi che vi si possono svolgere.

L’Autorità ha infatti accettato una serie di impegni vincolanti presentati, dopo almeno due anni di rapporti conflittuali col regolatore, da Telecom «per una maggiore trasparenza e apertura ai concorrenti nella gestione della rete di telefonia fissa». Si tratta di una serie di condizioni, descritte in un documento di 28 pagine, le quali dovranno essere garantite da “Open Access”, la funzione aziendale che all’interno di Telecom ha il compito di gestire la rete di accesso aperta ai competitori.

Peccato tuttavia che questi impegni non possano essere considerati spontanei, avendo quale contropartita la chiusura di diversi procedimenti in corso per pratiche anticompetitive condotte in passato da Telecom e la conseguente rinuncia dell’Autorità a comminare sanzioni. Sono in realtà un do ut des attraverso il quale Telecom rinuncia, o almeno dichiara di rinunciare, agli ostacoli frapposti in passato ai concorrenti e l’Autorità, sul versante opposto, rinuncia a perseguirli.

È per questa ragione che il Commissario europeo ai Media, Viviane Reding, ha richiesto al presidente dell’Agcom di notificare preventivamente alla Commissione UE le decisioni, evidenziandone il carattere di regolazione “contrattata” in grado di produrre conseguenze sulla concorrenza.

Non giova, inoltre, a caratterizzare positivamente la nostra regolazione il fatto che a vigilare sul rispetto degli impegni sia chiamata una commissione formata per 3/5 dal regolatore e 2/5 dallo stesso regolato, e neppure che l’annuncio dell’accordo sia stato dato attraverso una conferenza stampa congiunta delle due parti.

Riassumendo gli effetti dei due provvedimenti possiamo dire che Telecom incassa un sostanzioso incremento del canone residenziale in cambio dell’impegno a non reiterare un comportamento anticompetitivo che non avrebbe in ogni caso dovuto tenere.

Come ricordato da Stefano Parisi, amministratore delegato di Fastweb, in un’intervista su Affari e Finanza di ieri: «Open Access non è una novità rivoluzionaria, ma è l’ammissione delle distorsioni che ci sono state finora sul mercato italiano. […] non introduce nuove regole ma applica quelle che già ci sono e che sono state sinora eluse». Per di più senza sanzioni per i comportamenti passati.

In sostanza è come se, scoprendo uno studente a copiare durante un esame non solo non si adottassero provvedimenti disciplinari ma lo si lasciasse proseguire nello svolgimento, promettendogli un voto più alto in cambio della promessa a non reiterare nella copiatura. Non ci sembra, sinceramente, una buona soluzione.

Ma il possibile premio non finisce qui poiché nello scorso ottobre Telecom ha richiesto all’Autorità un incremento anche delle tariffe pagate dai concorrenti per l’utilizzo del cosiddetto ultimo miglio delle linee Telecom, necessario per accedere ai clienti fissi da essi acquisiti.

Questa richiesta, che ha suscitato una comprensibile opposizione da parte dei competitori nel mercato della telefonia fissa (Fastweb, Wind, Tiscali, e Vodafone), è stata giustificata dall’operatore dominante col fatto che la tariffa italiana, pari a 7,64 euro al mese, risulterebbe sensibilmente inferiore alla media europea, pari a 9,6 euro. Telecom ha chiesto in conseguenza un aumento a 9,39 euro, corrispondente a un incremento di 1,75 euro (+23%).

Il semplice riferimento alla media europea non è ovviamente condivisibile: anche il livello generale dei prezzi è superiore nel resto d’Europa e altrettanto avviene per salari e stipendi; la stessa Telecom potrebbe facilmente convincersene confrontando il costo medio dei suoi dipendenti con quello degli operatori stranieri che nei rispettivi paesi godono delle tariffe di accesso più elevate.

Come sostenuto in un intervento su Il Sole 24 Ore dall’ex ministro delle Comunicazioni Paolo Gentiloni: «A sostegno della richiesta di un sostanzioso aumento del canone dell’unbundling, Telecom ricorda che l’Italia è, con Olanda e Regno Unito, nella fascia dei Paesi con canone più basso. È vero. Ma diversi argomenti spingono in senso contrario: nel 2009 i canoni europei avranno un trend decrescente, l’aumento italiano sarebbe controcorrente; la quota di mercato del nostro incumbent resta alta rispetto alla media europea. I livelli competitivi fin qui raggiunti grazie all’unbundling, per quanto insufficienti, non vanno dunque sacrificati sull’altare della retorica dei “campioni nazionali”: sarebbe un danno per i consumatori».

A conferma dell’analisi di Gentiloni occorre ricordare che proprio recentemente l’Autorità spagnola per le telecomunicazioni ha adottato un provvedimento riduttivo, abbassando il canone da 9,72 euro al mese a 7,79 euro al mese (-20%), un valore molto simile a quello attuale italiano che Telecom vorrebbe aumentare.

Purtroppo sembra che l’Autorità italiana sia propensa ad approvare l’incremento richiesto nella misura di 0,9 euro, poco più della metà rispetto agli 1,75 richiesti. Non si tratta certo di una misura procompetitiva e in grado di accrescere gli spazi per gli operatori alternativi a Telecom.

In conclusione, grazie alle decisioni adottate dall’Autorità di settore pagheranno di più sia gli utenti di Telecom che gli utenti degli operatori fissi alternativi. I primi potranno forse consolarsi di fronte alla possibilità di trovare meno ostacoli in futuro da parte di Telecom se desidereranno trasferirsi ad un operatore differente, i secondi di essere comunque riusciti a liberarsi dall’ex monopolista.

Due magre consolazioni ma forse la seconda è ancora la più consistente e chissà che grazie a questi provvedimenti un po’ di italiani in più non decidano di provarla.