Il piano Intesa-Governo per Alitalia ha le sembianze di una staffetta: nei giorni scorsi abbiamo assistito alla prima tappa, l’accordo tra i sedici imprenditori per la costituzione della nuova Compagnia Aerea Italiana; ieri il testimone è passato al Governo il quale ha cucito un nuovo vestito giuridico su misura, modificando la legge Marzano; oggi sarà nelle mani del Consiglio di Amministrazione di Alitalia il quale non potrà fare a meno, date le consistenti perdite del primo semestre, di certificare l’ulteriore erosione del patrimonio netto e della liquidità e l’impossibilità di garantire la continuità aziendale.
La terza tappa è già nota: il Governo nominerà Commissario di Alitalia per la gestione dell’amministrazione straordinaria l’ex Ministro e prestigioso tributarista Augusto Fantozzi; a quel punto il testimone rimarrà in mano a lui sino a quando la nuova cordata avrà scelto i pezzi di Alitalia (principalmente un po’ di aeromobili e il minor personale possibile) che riterrà utili per trasportare i passeggeri ereditati dalla vecchia Alitalia sulle rotte ex Alitalia, utilizzando gli slot ereditati da Alitalia senza sborsare un euro.
Le tappe successive sono un po’ meno chiare tranne l’ultima, che è possibile intravedere estrapolando dalle notizie pomeridiane pervenute da Parigi: la trasformazione dell’alleanza con Air France, destinata a essere confermata dalla nuova compagnia italiana, in cessione del controllo aziendale al vettore francese (la mia previsione è tra un triennio).
Con l’obiettivo di aggiornare i lettori mi focalizzo sulla principale novità di ieri, relativa alla seconda delle tappe indicate. Il Consiglio dei Ministri ha infatti dato nuove ali alla legge Marzano, approvando un decreto legge e un disegno di legge delega in tema di procedure di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi.
Il punto di maggior rilievo del disegno di legge è il superamento della dicotomia sinora esistente tra ristrutturazione dell’azienda da parte del commissario e sua cessione, con l’introduzione della possibilità di dismettere singole attività o rami aziendali.
Il decreto legge anticipa alcuni punti della riforma complessiva, in particolare l’introduzione, nell’ambito della procedura di amministrazione straordinaria per le grandi imprese in crisi, della possibilità di cedere complessi aziendali a fianco della ristrutturazione economico-finanziaria. Il decreto prevede inoltre misure destinate alla tutela dei lavoratori e all’indennizzo per i piccoli azionisti ed obbligazionisti mediante accesso al fondo costituito dalle giacenze dei conti bancari “dormienti”.
Se questi contenuti del decreto ci trovano favorevoli, non pochi aspetti appaiono invece problematici in quanto possono dare spazio a scelte ambigue e non favorevoli all’azienda in crisi da parte dei decisori che si troveranno ad applicarli. Li elenco in ordine crescente di dissenso:
1) Il decreto introduce un regime speciale per le “imprese in crisi operanti nei servizi pubblici essenziali” nel quale è previsto un ruolo diretto del Presidente del Consiglio dei Ministri il quale, in alternativa al Ministro dello sviluppo economico, ha il compito di accordare l’ammissione alla procedura, nominare il Commissario straordinario e, persino, “prescrivere specifiche attività per il raggiungimento dell’obiettivo di risanamento”. Non sapendo quali possano essere tali prescrizioni la norma ci preoccupa non poco.
2) Il Ministro dello sviluppo economico approva il programma del Commissario, nomina l’istituzione finanziaria indipendente per la stima dei beni aziendali da vendere, autorizza affitti e cessioni dei complessi aziendali, operazioni ammissibili anche prima dell’autorizzazione del programma.
Qui le ragioni del dissenso sono essenzialmente due: (a) sarebbe preferibile che la nomina dell’istituzione incaricata della stima dei beni fosse sottratta alla sfera politica, ad esempio affidata al Tribunale competente; (b) appare imprudente autorizzare la cessione di rami d’azienda prima che sia pronto un programma organico poiché il Commissario, che per tutelare gli interessi legittimi deve necessariamente valorizzare al massimo gli asset, deve evitare che la vendita di singole parti “profittevoli” pregiudichi la cessione delle rimanenti.
3) Il Commissario straordinario individua l’acquirente mediante trattativa privata o in esclusiva, in base a requisiti specifici (compresi quello di nazionalità e controllo effettivo), e fissa il prezzo di cessione ad un valore non inferiore a quello risultante dalla perizia effettuata. In questo caso ci preoccupano sia gli eccessivi elementi discrezionali che gli eccessivi vincoli (nazionalità e controllo). Non è forse maggiormente in grado di valorizzare gli asset e favorire il rimborso dei creditori una procedura competitiva per la vendita? E se l’aspirante acquirente fosse uno straniero disponibile a pagare meglio degli altri, per quali ragioni dovremmo dirgli di no? È evidente come queste norme siano state scritte in favore di chi acquista e ha fretta, non dei legittimi portatori d’interesse nell’azienda in crisi (coloro che vorrebbero rientrare dei soldi incagliati).
Infine la disposizione più grave e discutibile: le operazioni di concentrazione connesse, contestuali o previste nel programma di ristrutturazione non sono soggette ad autorizzazione ai sensi della normativa antitrust ma solo alla loro notifica preventiva, congiuntamente “…all’assunzione di impegni a tutela dei creditori per evitare aumenti dei prezzi o l’applicazione di gravose condizioni contrattuali per l’utenza”.
Non è infatti né efficiente né equo che una cessione d’impresa all’interno di un’amministrazione straordinaria possa restringere la concorrenza: non è efficiente perché danneggia i consumatori in misura maggiore dei vantaggi creati all’impresa, causando perdita di benessere sociale; è inoltre profondamente iniquo per il vantaggio immotivato creato in favore dell’azienda aggregante, per i danni ingiusti prodotti nei confronti dei competitori e anche in relazione alla stessa azienda andata in crisi se si pensa che una tempestiva restrizione della concorrenza in favore della medesima avrebbe potuto salvarla.
In sintesi: il decreto appare dettato dagli interessi degli specifici compratori di Alitalia ed è portatore di sicuri e consistenti svantaggi per gli utenti del trasporto aereo e di svantaggi probabili per gli interessi coinvolti nell’azienda in crisi (creditori commerciali, obbligazionisti, azionisti); inoltre, anche se appare rivolto a regolare una casistica generale (imprese in crisi operanti nei servizi pubblici essenziali) è in realtà un provvedimento ad hoc.
Ha infatti mai visto il lettore prima d’ora una public utility in crisi industriale? La risposta è negativa: le utilities si caratterizzano infatti per essenzialità dei consumi (nessuno ne può fare a meno) e assenza o scarsità di concorrenza e sembra difficile che un’impresa che vende beni o servizi essenziali in monopolio od oligopolio possa andare in crisi.
Per incontrare questo cigno nero bisogna venire in Italia e recarsi non in uno zoo ma in un aeroporto: il trasporto aereo è l’unico mercato tra le utilities in cui è possibile molta concorrenza e la concorrenza è una valida cartina al tornasole che segnala le inefficienze anche più piccole.
Alitalia è l’azienda pubblica di trasporto più efficiente del nostro paese (includendo tutte le possibili modalità: terra, cielo, mare) ma l’elevata concorrenza, che ha enormemente avvantaggiato i consumatori e sviluppato il mercato, l’ha mandata irrimediabilmente in crisi. I
In tutti i paesi normali dell’Occidente industrializzato si sarebbe cercato di porre rimedio rendendola competitiva; in Italia invece si preferisce comprimere quanto più possibile la concorrenza sul mercato per permettere al (nuovo) vettore di starci il più comodamente possibile. In sostanza si preferisce mandar via tutti i cigni bianchi per evitare che ci si accorga che il nostro è nero o, usando un’altra metafora, si preferisce tessere un tappeto più grande per nascondere meglio la crescente polvere sul pavimento anziché prendere in mano la scopa.
Postilla: il maxitappeto usato in Italia per occultare tutte le nostre inefficienze si chiama debito pubblico ed è tessuto con cadenza mensile al Ministero dell’Economia attraverso le emissioni dei titoli pubblici.