Oggi dovrebbe essere la giornata decisiva della difficile trattativa su Alitalia e se tutto andrà come previsto potrebbe concludersi con un accordo tra le organizzazioni sindacali e i rappresentanti della nuova compagnia, premessa indispensabile al decollo della new company. La giornata tuttavia è tra le più infauste per l’aviazione mondiale poiché ricorre il settimo anniversario degli attentati alle Torri gemelle, tragedia che diede l’avvio a un periodo non brevissimo di caduta della domanda di trasporto aereo e di conseguente crisi gestionale per i vettori. Già in passato, inoltre, abbiamo assistito a giornate annunciate come decisive e che tali non si rivelarono, come quella conclusa con l’abbandono delle trattative da parte di Air France nello scorso mese di aprile. La prudenza non è quindi mai troppa ed è meglio non formulare previsioni e limitarci a fare il punto della situazione, evidenziando sinteticamente luci ed ombre della fase attuale.



In positivo non si può che evidenziare il senso di responsabilità delle organizzazioni sindacali: vi è un’evidente intenzione da parte loro di chiudere la trattativa e firmare un accordo purché le condizioni non siano eccessivamente penalizzanti per i lavoratori in termini di condizioni lavorative e numero degli esuberi (ancor più che in termini di trattamento economico). È quindi prevedibile un esito positivo a condizione che i rappresentanti di CAI non siano tentati dall’idea di stravincere mettendo alla corda i rappresentanti dei lavoratori; pur praticabile nell’immediato per via dell’elevata criticità della situazione aziendale (la liquidità sta nuovamente per terminare e tra pochi giorni non vi saranno più neppure i soldi per riempire i serbatoi degli aerei), non credo che nel medio periodo risulterebbe una strategia vincente. Una valutazione positiva va anche all’attività di mediazione del Governo, affidata alla capacità di dialogo e alla competenza personale di Maurizio Sacconi. Mi sembra una scelta felice avergli assegnato il compito di guidare le trattative. Sulla pagina positiva di questa pagella colloco anche, con riserva, la cordata dei sedici imprenditori e il ruolo catalizzatore di Intesa: l’interesse per Alitalia è benvenuto, ma solo alla condizione che i sedici soci si comportino effettivamente da imprenditori e assumano sulle loro finanze il rischio di non recuperare l’investimento o di non ottenere l’auspicata redditività. È fondamentale che non abbiano contrattato e ottenuto la garanzia di recuperare con compensazioni su altri versanti dei loro rapporti col settore pubblico eventuali esiti negativi dell’investimento.



Qui finisce la mia good list e inizia la bad list, a conferma che non sono diventato improvvisamente buonista, lasciando per strada il necessario approccio critico. Sul lato negativo della pagella colloco tre aspetti rilevanti della fase attuale:

L’eccessiva sponsorizzazione governativa della cordata CAI al posto di un preferibile atteggiamento di neutralità, giustificato dal fatto che il Governo è venditore e come tale controparte di CAI. Deve portare a casa quanto più possibile nell’interesse delle parti danneggiate dal dissesto di Alitalia: creditori commerciali e finanziari, obbligazionisti, piccoli azionisti. In taluni casi sembra invece comportarsi come il 17mo socio della cordata (o il primo).



L’eccessivo adattamento delle norme alla specifica situazione e all’esito prefigurato dalla politica, realizzato attraverso il decreto del 29 agosto scorso. La sospensione della normativa antitrust, la deresponsabilizzazione degli amministratori della vecchia società, la possibilità data al commissario di vendere a trattativa privata singoli asset o rami aziendali prima ancora che sia approvato un piano di ristrutturazione appaiono strumenti distorsivi del diritto consolidato e come tali totalmente inaccettabili. 

Lascio per ultima la critica maggiore: il piano industriale ha diversi lati oscuri e proprio non mi convince. Trovo rischioso e immotivato l’eccessivo ridimensionamento della flotta così come la sostanziale marginalizzazione del lungo raggio in favore del breve, soggetto sui cieli europeo ad un’elevata concorrenza da parte dei vettori low cost che beneficia i consumatori ma impedisce una gestione profittevole del segmento da parte delle compagnie tradizionali. I vettori europei più volano (più sono grandi), più guadagnano; inoltre, più volano sul lungo raggio (come quota di attività), più guadagnano. Grazie al piano Intesa, invece, la compagnia si rimpicciolisce di molto e si rintana sui cieli domestici. Non mi sembra una strategia vincente: un ridimensionamento minore della flotta permetterebbe all’azienda di presidiare meglio il mercato, attenuare il problema degli esuberi del personale e facilitare l’accordo con le organizzazioni sindacali.

Evidenzio infine una possibile contraddizione tra i dati del piano industriale pubblicati dai media: la riduzione della flotta dai 245 aerei che nel 2007 erano complessivamente utilizzati dalle due compagnie ai 137 previsti nel 2009 per la nuova Alitalia non può essere in grado di garantire i ricavi che i giornali hanno pubblicato come indicati per il 2009 dal piano d’impresa, 4,3 miliardi di euro. Questo valore non può essere ottenuto solo incrementando notevolmente la produttività degli aeromobili attraverso un maggior tasso d’utilizzo e un più elevato load factor, ma sono necessari anche aumenti tariffari non indifferenti.

Secondo calcoli che abbiamo effettuato presso il Centro di ricerca CRIET dell’Università Bicocca al massimo la produttività media degli aeromobili potrebbe passare (ma lo riteniamo comunque poco probabile) dai 129 mila passeggeri annui del 2007 (per l’insieme delle due compagnie) ai 161 mila del 2009 (+ 24%). In tal caso, tuttavia, i passeggeri complessivamente trasportati dalla nuova Alitalia si attesterebbero solo sui 22 milioni, quasi 10 in meno rispetto ai passeggeri che hanno volato nel 2007 con Alitalia o Airone. Essi, in ogni caso, non garantirebbero 4,3 miliardi di ricavi nel 2009 a meno di consistenti incrementi tariffari che noi stimiamo dover essere superiori al 20% rispetto al 2007. Ma poiché tali incrementi non sarebbero sostenibili in un mercato concorrenziale, siamo giunti alla conclusione che deve essere vera almeno una delle seguenti ipotesi:

Vi sono incoerenze non indifferenti tra i dati del piano industriale;

I media che hanno potuto consultarlo si sono sbagliati a trascrivere i dati;

Il piano incorpora implicitamente una forte riduzione della concorrenza sul mercato del trasporto aereo, ad esempio attraverso la riduzione per via regolamentare della capacità degli aeroporti e il congelamento degli slot che la nuova Alitalia non intenderebbe più usare al posto della loro riassegnazione ad altri vettori.

Non siamo in grado di dare una risposta sull’ipotesi più probabile. La terza è tuttavia molto pericolosa e nociva per il sistema economico nazionale. Risponderebbe però ad una logica ben precisa: poiché l’azienda non è grado di adeguarsi al mercato, allora sarà il mercato a doversi adeguare all’azienda. In fondo è una strategia già sperimentata con successo con la rimonopolizzazione del mercato postale, avvenuta nel 1999, che ha dato all’Italia l’azienda postale con la redditività più alta tra tutte le imprese europee del settore, ma al costo di avere il mercato del recapito meno sviluppato e le tariffe postali più alte. Ne valeva davvero la pena visto che nel 2011 l’Unione impone la liberalizzazione completa?