Poiché nulla di nuovo è emerso nella giornata di ieri sul caso Alitalia possiamo permetterci di fare una pausa e riflettere sul “metodo” col quale Governo, altre parti in causa, media e opinione pubblica hanno affrontato il tema nel complicato dibattito che si è svolto.
Tre difetti possono essere identificati, i quali hanno allontanato la discussione dai corretti binari di un confronto tra opinioni, che, legittimamente differenziate, avrebbero dovuto tuttavia basarsi su informazioni accertate e coerenti: le preferenze preconcette (tanto delle parti in causa quanto di una buona fetta di comuni cittadini), l’assenza di approfondimento da parte dei media (i quali si sono limitati ad inondare i lettori con le infinit e dichiarazioni delle parti, senza adempiere al loro dovere di cercare di accertare in maniera adeguata i fatti); i numeri che ballano (e che continuano ad essere incoerenti tra di loro).
Le preferenze preconcette delle parti
Quando si hanno preferenze preconcette tendiamo, di fronte a fatti che smentiscono le nostre opinioni, a modificare i fatti (nascondendoli o travisandoli) anziché a mutare le nostre opinioni. Se, ad esempio, preferiamo essere fumatori anziché non fumatori tenderemo a minimizzare le notizie relative alla pericolosità del fumo. Questa tendenza, finalizzata a ridurre la dissonanza cognitiva prodotta dallo scarto tra informazione attesa e informazione reale, può essere innocua se non siamo noi chiamati a decidere (ad esempio è innocua la nostra preferenza preconcetta per un attaccante della squadra del cuore se non siamo noi l’allenatore che deve decidere se schierarlo in campo), ma può portare a scelte non razionali nell’ipotesi contraria.
Nel caso specifico la preferenza preconcetta di elettori del centrodestra per la soluzione CAI o di elettori di centrosinistra per la vecchia proposta Air France, quale emerge da molti interventi sul web, non produce alcun esito problematico. Profonda differenza si ha, invece, se ad avere preferenze preconcette sono i decisori pubblici, perché in tale ipotesi il rischio di scelte errate (che non ricadono su di loro ma sui cittadini/contribuenti/utenti dei servizi) è molto elevato.
Proviamo a fare un passo indietro: autunno 2006, crisi Alitalia. Il governo Prodi compie una scelta molto coraggiosa e opportuna: decide di porre in vendita l’azienda. Sul come farlo, tuttavia, inciampa prima in una preferenza preconcetta per lo status quo e pubblica un bando nel quale l’aspirante compratore avrebbe dovuto sottostare a una tale quantità di vincoli che solo con un prezzo negativo elevato (il Tesoro che paga l’acquirente affinché si porti via Alitalia) si sarebbe forse potuto trovare qualcuno.
Fallito il primo tentativo, dimostra nel secondo (fine 2007, inizio 2008) una “simpatia” elevata per la soluzione francese e prosegue con Air France trattative esclusive, estromettendo Intesa-AirOne, mentre era assai più opportuno mantenere in gioco entrambi i contendenti cercando di spremere dallo loro competizione le condi zioni migliori per il venditore.
Anno nuovo, governo nuovo, stessa crisi Alitalia: Intesa, su mandato del governo, mette miracolosamente in piedi (ma forse sarebbe meglio dire in volo) la cordata CAI e il governo si innamora pazzamente di questa soluzione (come si sa l’innamoramento è il caso più forte di preferenza preconcetta: un innamorato non può prendere in considerazione soluzioni alternative). Il risultato è che il governo nega la possibilità di qualsiasi altra soluzione rispetto alla proposta CAI e pure la possibilità che essa, essendo già perfetta, possa essere modificata e migliorata.
Anno nuovo, governo nuovo, stessa crisi Alitalia, stesse preferenze preconcette, stessi rischi per i contribuenti. Il governo, contento per la proposta CAI, non si è accorto che Intesa, l’advisor che aveva incaricato per l’operazione, ha colto la possibilità che le era stata data nella nomina ed è divenuto advisor della cordata compratrice e azionista essa stessa, senza peraltro smettere di essere advisor del venditore. Che faremmo noi se il perito che, a titolo di amicizia, ci ha stimato la casa che vogliamo vendere ora è divenuto consulente del compratore? Semplice: faremmo controllare la sua perizia da un altro perito che non sia in relazione con nessuna delle parti in causa. Cosa avrebbe dovuto fare il governo, che invece non ha fatto? Sottoporre il piano CAI-Intesa a un advisor indipendente per verificare, al di là della (assolutamente legittima) “simpatia” per la soluzione italiana, se sta in piedi oppure no.
Ci ritroviamo invece con quasi tutti i Ministri che ci ripetono più volte al giorno che il piano è ottimo, il migliore dei piani possibili e bisogna adottarlo al più presto altrimenti Alitalia fallirà, 20mila famiglie finiranno sul lastrico e i turisti non si affacceranno più nel Bel Paese. Ovviamente, poiché nessuno di essi ha mai gestito sinora con successo una grande compagnia aerea (e neppure i banchieri di Intesa) la somma delle loro dichiarazioni non riesce a rassicurarci (come avrebbe invece potuto farlo il parere di un advisor indipendente, esperto dell’industria del trasporto aereo).
L’Italia è una Repubblica fondata sulle dichiarazioni? (Ovvero come hanno fatto i media a dirci così poco in così tante parole?)
Si è molto discusso, a seguito delle dichiarazioni del regista Nanni Moretti, se in Italia vi sia ancora un’opinione pubblica. L’opinione pubblica necessita tuttavia, al fine di formulare valutazioni, di essere adeguatamente informata sui fatti. Solo sulla base di fatti, accertati come veri o falsi, è possibile costruire valutazioni, basate su argomentazioni razionali, e porle a confronto (poiché difficilmente saranno convergenti sin dall’inizio). Verificare e falsificare i fatti, quelli economici in particolare, è compito degli esperti e dei mezzi di comunicazione di massa, non dei comuni cittadini che non dispongono delle competenze per farlo in prima persona.
Nel caso Alitalia i media hanno fallito in questo compito: non hanno posto le domande giuste ai protagonisti e non hanno verificato/falsificato le risposte (con l’aiuto degli esperti per le domande/risposte più complesse); in cambio hanno inondato i lettori con le dichiarazioni quotidiane di tutti i protagonisti del dibattito (politici di governo e opposizione, imprenditori e manager della cordata, sindacalisti). In tal modo quanto più i giornali riportavano, tanto meno i lettori capivano.
Una piccola dimostrazione. Se si digita su Google News la parola Alitalia vengono fuori nell’ultimo mese circa 32mila citazioni di notizie, articoli, note di agenzie. In queste 32mila notizie tutti i protagonisti del dibattito sono molto citati: Berlusconi in 11.500 di esse, Sacconi in 6.000 , Colaninno 5.400, Sabelli 1.800, Bonanni 1.700, Matteoli 1.600, Passera 1.500, Epifani 1.200, Angeletti 1.000, Veltroni 900.
Ancor più interessante è verificare in quante news compaiono le parole chiave del dibattito: “trattativa” in 4.200, “ esuberi” 3.300, “ piano industriale” 2.600. Si tratta di numeri elevati ma, se si passa a verificare i termini in grado di identificare se nelle news vi è stato un approfondimento, i valori calano drasticamente; alcuni esempi: “hub” 570, “rotte” 560, “strategia” 410, “collegamenti” 400, “slot” 250, per arrivare in ultimo alle sole 10 volte (10 notizie su 32mila complessive) di “quanto costa” per la collettività il piano della nuova Alitalia.
I media sono evidentemente molto interessati al salvataggio e all’italianità di Alitalia, ma non ad approfondire quanto costano e a farlo sapere ai cittadini/lettori (sui quali l’onere ricade).
La danza dei numeri e i quesiti che non sono ancora stati posti
Se i media non sono interessati ad approfondire i numeri e a indagare su eventuali loro incoerenze per farle conoscere ai lettori che pagano (per leggere i giornali, ma anche per salvare la compagnia di bandiera) non stupisce che i numeri continuino a essere ballerini e che nel grande affaire di Alitalia anche la matematica sia divenuta un’opinione come tutte le altre. Un esempio per tutti: 22.500 occupati delle due aziende (Alitalia e AirOne) meno 12.500 dipendenti della nuova Alitalia in versione CAI uguale 3.000 esuberi. L’aritmetica avrebbe detto 10.000, ma la politica purtroppo non la usa.
Nella realtà i 3.000 o 3.250 “esuberi” sono gli attuali occupati di Alitalia che non troveranno posto nella nuova azienda ma per i quali entrerà in campo un ampio sistema di protezione per la durata di sette anni; non sono invece considerati “esuberi ” circa 3.500 lavoratori già ora a tempo determinato, e quindi precari, e per i quali questo sistema di protezione non ci sarà. In sostanza penalizzati prima, bastonati dopo e senza neppure la considerazione di essere rilevati in una statistica. Infine i residui 3.000 circa che sono al momento nel limbo: non verranno presi dalla nuova azienda e la loro sorte è legata al fatto di svolgere servizi, quali la manutenzione pesante, che potranno essere acquistati dalla nuova Alitalia ma a prezzi molto inferiori a quelli attuali e se d’interesse per il vettore (i numerosi addetti alla manutenzione dei vecchi aerei MD80, destinati a uscire rapidamente dalla flotta, non sono forse esuberi?).
Sarebbe più corretto dire che il salvataggio di Alitalia avverrà al costo di 10.000 occupati diretti in meno, ma questo i media non lo fanno, ingannando l’opinione pubblica. In più vi saranno i minori occupati nell’indotto, tra i fornitori di beni e servizi, ma in questo caso non ci si è neppure preoccupati di fare delle stime.
Si perviene infine al crocevia di tutti i problemi: i dati chiave del piano industriale. Se sono ballerini i numeri sugli esuberi e persino sugli occupati attuali di Alitalia, dati oggettivi e facilmente accertabili (quante buste paga sono state emesse a fine agosto?) figuriamoci i dati del piano industriale, prospettici e non storici, frutto di previsioni e non di misurazioni oggettive. Di essi è stato pubblicato molto poco ma quel poco basta a preoccuparci.
L’unico dato stabile è il numero di aerei che tutti i media indicano in 136-137 nel primo anno del piano, destinati a risalire sino oltre i 150 negli anni successivi. Poiché gli aerei di Alitalia più AirOne nel 2007 erano oltre 240, la riduzione è consistente e supera il 40%. Anche ipotizzando un incremento non trascurabile di efficienza, con un aumento significativo del fatturato medio per velivolo, ci si attende comunque una riduzione molto elevata del fatturato complessivo che non trova tuttavia corrispondenza nel piano industriale. I media riportano un valore di 4,3 miliardi di euro, destinato a crescere negli anni successivi sino a 5,2 miliardi, mentre il dato aggregato di Alitalia e AirOne era nel 2007 di 4,9 miliardi. In sostanza mentre nel 2007 un aereo delle due compagnie procurava in media 20 milioni di euro di ricavi, già nel primo anno di attività della nuova Alitalia ne porterebbe a casa ben 31 milioni (il 56% in più). Un risultato strabiliante, non c’è che dire, per degli imprenditori che non si sono mai occupati in precedenza di trasporto aereo.
Si arriva infine al numero dei passeggeri: 31,5 milioni tra Alitalia e AirOne nel 2007 trasportati da oltre 240 velivoli; quanti potranno essere trasportati dalla nuova società nel 2009 con soli 137 aerei? La mia previsione è che non possano superare i 22 milioni e anche se tutti i voli viaggiassero con tutti i sedili occupati non si potrebbe andare oltre i 26 milioni. I media sostengono invece che il piano industriale prevede 28 milioni di passeggeri, destinati a salire sino a 30. Ma con 28 milioni di passeggeri la produttività degli aeromobili sarebbe di 20 mila viaggiatori annui per velivolo mentre nelle vecchie compagnie era (nel 2007) solo di 130mila passeggeri.
Poiché anche in questo caso l’aumento di produttività risulterebbe strabiliante (+58%), qualche chiarimento da parte di CAI su questi numeri sarebbe opportuno. Così se siamo noi a non aver capito possiamo metterci il cuore in pace, mentre se è CAI a dover aggiustare qualche numero nel piano d’impresa può farlo in tempo.