Il piano Fenice si regge su un’unica idea fondamentale che purtroppo è sbagliata. La ricetta chiave di chi ha elaborato il piano è infatti l’incremento consistente della produttività degli aerei della nuova Alitalia operanti sul breve e medio raggio; associato a un incremento quasi equivalente della produttività dei dipendenti esso permetterebbe un notevole miglioramento del rapporto ricavi operativi/costi operativi e il riequilibrio economico finanziario dell’azienda nell’arco di un triennio.
Questa idea, che non è mai venuta in mente a Spinetta di Air France, a Mayrhuber di Lufthansa e neppure a O’Leary di Ryanair, è tuttavia insensata e inapplicabile sulla tipologia di voli operati da Alitalia sul breve e medio raggio (voli europei, da e per il Medio Oriente e l’Africa Mediterranea).
Cercherò di spiegare sia questa soluzione del piano Fenice che le sue criticità, ma prima è necessario sgombrare il campo da alcune ipotesi che avevo formulato negli articoli dei giorni scorsi. Alcune di esse, infatti, desunte da incoerenze nei dati del piano pubblicate dai media, si sono rivelate infondate alla luce di una migliore conoscenza del progetto Fenice:
1. Il piano Fenice non incrementa in maniera consistente le tariffe della nuova Alitalia. È un’ipotesi che avevo formulato come possibile quadratura della notevole differenza tra la consistente riduzione degli aerei e del personale della nuova compagnia rispetto alle due preesistenti da un lato e la limitata riduzione dei ricavi dall’altro. L’incremento delle tariffe è in fondo la via più breve per riequilibrare i conti di un’azienda pubblica dissestata ed è stato efficacemente impiegato nel ‘risanamento’ di Poste Italiane sia durante la gestione di Passera che quella di Sarmi; sembra inoltre essere nelle intenzioni di Trenitalia in versione Moretti.
2. Il piano Fenice non riduce drasticamente, almeno all’apparenza, la concorrenza sul mercato del trasporto aereo. Poiché la via tariffaria al risanamento di un’azienda pubblica è incompatibile con un mercato di concorrenza, il fatto che il piano Fenice non punti a un aumento drastico dei prezzi riduce (ma non cancella) i nostri timori che la quadratura strategica del cerchio sia una forte restrizione delle concorrenza sul mercato. La tentazione rimane comunque sullo sfondo, alimentata dal successo della strategia di Maometto e della montagna conseguito quando fu applicata al caso Poste: se un’azienda pubblica non può adeguarsi al mercato (di concorrenza) allora sarà il mercato a doversi adeguare all’azienda (cancellando la concorrenza). Questo fu esattamente quanto chiese l’allora amministratore delegato di Poste e ottenne dal governo D’Alema nell’ormai lontano 1999.
3. Il piano Fenice non lascia a terra nove milioni di clienti, come avevo ipotizzato, e non farà viaggiare i passeggeri uno sopra l’altro. Poiché gli aerei utilizzati da Cai si riducono di oltre il 40% rispetto a quelli impiegati dalla vecchia Alitalia e AirOne, avevo ipotizzato una drastica riduzione dei passeggeri trasportati (da 31,5 milioni del 2007 a 22 milioni), non potendo ovviamente realizzarsi tassi medi di occupazione dei posti superiori al 100% e neppure troppo vicini a tale valore (sopra l’80% sono difficili, sopra il 90% sostanzialmente impossibili).
4. Il piano Fenice si limita a far volare di più, molto di più, gli aerei (e gli equipaggi). Siamo ovviamente soddisfatti che il piano Fenice non aumenti le tariffe, non riduca drasticamente la concorrenza sul mercato, non lasci a terra svariati milioni di passeggeri disponibili a pagare prezzi non proprio da Ryanair o EasyJet, metta a disposizione un sedile per ogni viaggiatore e riesca comunque a riequilibrare i conti. La quadratura del cerchio tra tutti questi vincoli e obiettivi è di una semplicità sconcertante e geniale nello stesso tempo: far volare molto di più gli aerei (e i loro equipaggi, ma con salari più bassi).
Nel 2007 gli aerei Alitalia impiegati hanno mediamente volato per 2.500 ore. Il piano Fenice prevede che questo valore aumenti dapprima a 3.000 ore anno e successivamente a 3.300, con un incremento complessivo del 32%.
Questo risultato verrebbe realizzato integralmente grazie al maggior utilizzo delle macchine impiegate sul breve e medio raggio (Europa, Nord Africa, Medio Oriente) a fronte di una stazionarietà di utilizzo dei pochi aerei ancora adibiti al lungo raggio.
A questo punto è possibile riepilogare i dati chiave (vedi anche la tabella allegata) del piano Fenice (riferiti al 2009 e al piano Fenice di fine luglio) con quelli delle due compagnie preesistenti (2007):
Aerei utilizzati: scendono da 238 a 151 nella versione del piano Fenice di fine luglio scorso, con una riduzione del 37% (ma diminuirebbero invece a 137 nella versione più recente secondo quanto riportato dai media)
Capacità offerta (Posti chilometro): da 58 a 49 miliardi di posti km (-17%).
Tasso di occupazione dei posti: dal 72% al 76% (76% deriva da: 73% sui voli nazionali, 70% sui voli europei e medio raggio, 84% sul lungo raggio).
Passeggeri km (il percorso complessivo di tutti i viaggiatori): da 42 a 37 miliardi (-13%).
Passeggeri: da 31,5 a 28,1 milioni (-3,5 milioni, -11%).
Produttività degli aerei: passeggeri anno per aereo da 132 mila a 186 mila (+40%); ricavi annui da passeggeri per aereo da 18 a 25 milioni di euro (+40%).
Possiamo a questo punto sostenere che è bene quel che finisce bene e che il piano Fenice è accettabile per i consumatori, i contribuenti e il trasporto aereo italiano (anche se lo è di meno per i lavoratori)? Purtroppo no perché da un punto di vista di organizzazione del trasporto aereo un aumento di quelle dimensioni della produttività tecnica degli aerei non è realizzabile. Il piano Fenice, basato su quest’unica idea, non sta pertanto in piedi.
Gli aerei, impiegati su collegamenti preesistenti, possono volare di più solo se compiono più voli (visto che la distanza tra ogni coppia di città e il tempo di volo necessario per coprirla è costante). Il maggior numero di voli, annui e quotidiani, deve essere realizzato nella fascia oraria economicamente utile (quella nella quale vi sono passeggeri disponibili a volare) che per il breve raggio è di circa 16 ore al giorno, grosso modo dalle 7 di mattina alle 23 (se un vettore organizzasse un volo da Milano a Roma alle 3 di mattina non avrebbe nessun cliente a bordo). Quanti voli si possono fare nel breve raggio in quella fascia temporale? Anzi, quante coppie di voli, visto che a fine giornata ogni velivolo ritorna alla sua base? Lo standard per il breve raggio è di tre coppie di voli, ciò di sei voli quotidiani. Se si vuole volare di più si deve passare a quattro coppie di voli, cioè a otto voli quotidiani e in questo caso l’incremento è proprio del 33%.
È possibile realizzare quattro coppie di voli in una fascia complessiva di 16 ore? Si, ma solo a condizione che la durata di ogni volo sommata al tempo a terra per sbarco, verifiche della macchina, rifornimento e imbarco non ecceda in alcun modo le due ore. Questo vuol dire che sui collegamenti dall’Italia verso il resto d’Europa è sostanzialmente impossibile e che su collegamenti interni è forse possibile ma solo su tratte brevissime che utilizzano aeroporti non congestionati e in grado di non trattenere troppo a terra gli aerei. In sostanza è forse possibile ma solo su una percentuale limitatissima dei collegamenti e non sulla generalità, come invece incorporato nel piano Fenice.
Applicando l’incremento di produttività tecnica previsto dal piano Fenice, i voli medi giornalieri per velivolo passerebbero dai 5,8 di Alitalia ai 7,5 della Cai. Purtroppo per Cai persino Ryanair riesce a fare in media solo 6 voli al giorno.
Ma se lo sono chiesto gli estensori del piano Fenice come mai questa loro brillantissima idea non è venuta prima a Spinetta di Air France-Klm nel piano AliFrance del marzo 2008, a Mayrhuber di Lufthansa e neppure al tirchissimo O’Leary di Ryanair per la sua compagnia?