Nei giorni scorsi si è riacceso il dibattito tra i sostenitori di Malpensa come hub nazionale, che già si erano opposti con successo dieci mesi fa alla cessione da parte del Governo Prodi di Alitalia ad Air France, e i sostenitori di Fiumicino, aeroporto nel quale a partire dalla scorsa stagione estiva (fine marzo, fine ottobre 2008) l’allora amministratore delegato di Alitalia Maurizio Prato aveva riportato gran parte dei voli intercontinentali, rovesciando la decisione presa dieci anni prima con l’inaugurazione della nuova Malpensa.



Le forze politiche si sono schierate su basi territoriali, con gli amministratori lombardi e la Lega a sostegno, pur con sfumature differenti, di soluzioni ritenute favorevoli per il sistema lombardo: in primo luogo l’alleanza della nuova Alitalia con Lufthansa, in subordine la liberalizzazione degli accordi bilaterali vigenti nel trasporto aereo con i paesi extra Unione Europea (tranne il Nord America) i quali limitano alle compagnie e agli aeroporti designati dai Paesi contraenti la possibilità di servire le rotte, privilegiando in conseguenza il vettore di bandiera nazionale e l’aeroporto da esso scelto come riferimento.



Vorrei utilizzare questo intervento per argomentare tre tesi:

1)Con il doppio ridimensionamento di Alitalia, quello attuato da Prato e quello successivo deciso dagli uomini di Cai, è stato di fatto chiuso anche l’hub di Fiumicino e non solo quello di Malpensa. Alitalia opererà di fatto senza hub intercontinentale fungendo nei suoi aeroporti principali (Fiumicino, Linate e Malpensa) da spoke rispetto all’hub del suo partner internazionale, in sostanza Parigi Charles De Gaulle.

2) La soluzione Lufthansa non sarebbe risolutiva dei problemi di Malpensa e avrebbe la conseguenza negativa di impedire nel tempo rimedi più validi.



3) L’unica politica adeguata, utile non solo a Malpensa (ma anche a Linate e a Fiumicino) è la liberalizzazione del segmento intercontinentale attraverso la revisione degli accordi bilaterali esistenti.

Riguardo alla prima tesi sono i numeri a parlare: il piano Cai, illustrato poche settimane fa ai media, prevede collegamenti a lungo raggio (Americhe, Africa subsahariana e lontano oriente) con solo 12 città, tre delle quali saranno coperte sia da Malpensa che da Fiumicino e le rimanenti solo da Fiumicino. Su queste quindici rotte complessive sono previsti 88 collegamenti settimanali per realizzare i quali Cai ha acquisito 16 aerei a lungo raggio dalla vecchia Alitalia e altri due da AirOne.

Ma gli aerei che la vecchia Alitalia adibiva al trasporto passeggeri a lungo raggio erano 23 e le rotte servite prima del ridimensionamento di Prato 22, i collegamenti settimanali 125. E nel 2000, prima che gli attentati alle Torri gemelle dell’anno successivo spingessero gli amministratori di Alitalia a ridimensionare in maniera permanente l’offerta sul lungo raggio, i collegamenti intercontinentali dall’Italia erano 170 alla settimana, dei quali quasi l’80% da Malpensa.

Dalla massima offerta del 2000 all’attuazione del piano Cai la riduzione complessiva sull’intercontinentale è di quasi il 50% e già nel 2000, peraltro, Alitalia era la compagnia meno presente tra i maggiori vettori europei sul lungo raggio, considerato il più remunerativo dopo la completa liberalizzazione dei voli infracomunitari avvenuta nel 1997.

Questi dati evidenziano come l’Italia dei patriottici azionisti di Cai non avrà più collegamenti diretti sul lungo raggio offerti da un vettore nazionale salvo la piccola eccezione rappresentata dalle 12 città che continueranno a essere servite (Tokyo e Osaka; Accra e Lagos; San Paolo, Buenos Aires e Caracas; New York, Miami, Boston, Chicago e Toronto). I passeggeri diretti in tutte le rimanenti grandi città del mondo dovranno fare riferimento a vettori esteri: compagnie dei Paesi in cui intendono recarsi, se arrivano in Italia, oppure un grande vettore europeo i cui voli intercontinentali potranno essere presi raggiungendo dall’Italia il suo hub.

Alitalia dirotterà i suoi clienti destinati a mete che non serve sul partner internazionale e con Air France, tramite l’allenza SkyTeam, è possibile arrivare in oltre 900 città al mondo grazie a circa 17 mila voli quotidiani.

Di fronte a questi numeri la disputa tra sostenitori di Malpensa e sostenitori di Fiumicino non sembra avere senso: si sta litigando per un torta, l’hub della compagnia di bandiera, che in realtà non c’è più e la stessa Alitalia in versione Cai altro non è che un vettore regionale, destinato ad alimentare per il lungo raggio principalmente l’hub del suo protettore internazionale.

Cambierebbe qualcosa se l’alleato di Cai fosse Lufthansa? Abbastanza poco, in realtà: il non hub che Cai ha previsto di conservare a Fiumicino ritornerebbe a Malpensa, aggiungendo nove destinazioni sul lungo raggio e una cinquantina di voli settimanali. Il maggior traffico preventivabile sull’intercontinentale sarebbe però alimentato non più da voli nazionali aggiuntivi, come avveniva prima della gestione Prato, bensì da voli trasferiti da Linate, che dovrebbe essere limitato tramite regolamentazione ad aeroporto destinato esclusivamente al collegamento con Roma.

Il gioco non sembra valere la candela: Linate, che già fu sacrificato dieci anni fa con una riduzione di capacità per favorire l’hub di Malpensa, dovrebbe perdere ora oltre il 70% del suo traffico residuo (di cui circa il 30% relativo a collegamenti europei e il 40% relativo a collegamenti nazionali diversi da Fiumicino). Scenderebbe pertanto a 2,5 milioni di passeggeri annui dai quasi 10 del 2007 e dagli oltre 14 del 1997, ultimo anno prima dell’apertura della nuova Malpensa.

Purtroppo per Sea, che gestisce sia Linate che Malpensa, i costi di esercizio del tenere aperto Linate si ridurrebbero in misura molto meno che proporzionale rispetto alla diminuzione del traffico e con questa soluzione verrebbe inoltre scontentata la gran parte degli utenti di Linate i quali, sia che viaggino per affari sia per motivi personali, preferiscono servirsi di un aeroporto cittadino.

Perché allora non lasciar fare alle dinamiche del mercato, liberalizzando gli accordi internazionali e permettendo ai vettori extraeuropei che lo desiderano di servire Malpensa? Premesso che a mio avviso l’ottimo è di liberalizzare completamente anche i collegamenti extracomunitari, una soluzione minimale potrebbe essere quella di rivedere gli attuali accordi bilaterali includendo in ognuno Malpensa tra gli aeroporti che possono essere serviti dai vettori esteri (ed estendendo, ovviamente, a tutti i vettori italiani la possibilità di servire quei Paesi). Poiché questa richiesta da parte italiana non crea oneri ma genera solo benefici per i paesi stranieri, non si vede perché non dovrebbero accoglierla in tempi rapidi.

Alcuni numeri possono essere chiamati in causa per difendere la proposta liberalizzatrice: nel 2008 sono giunti in Italia poco più di 7 milioni di turisti provenienti da altri continenti e si sono recati in altri continenti oltre 6,5 milioni di italiani. Si tratta complessivamente di oltre 13,5 milioni di persone le quali hanno generato una domanda di circa 27 milioni di viaggi, quasi tutti riconducibili al mezzo aereo.

A fronte di una domanda potenziale così rilevante, quanti posti sarà in grado di offrire la nuova Alitalia sui voli intercontinentali? Sul lungo raggio il conto è presto fatto: 88 voli alla settimana dall’Italia fanno circa 4600 voli all’anno che diventano 9200 sommandovi i voli di ritorno. I posti offerti sono stimabili in 2,4 milioni e i passeggeri trasportati in 1,9-2 milioni al massimo. Ad essi vanno aggiunti non più di un milione di persone sulle rotte di medio raggio per l’Africa Mediterranea e il Medio Oriente.

Arriviamo pertanto ad un massimo di tre milioni di viaggiatori, che utilizzeranno presumibilmente Alitalia in voli da/per altri continenti, a fronte di una domanda potenziale di 27 milioni. È evidente per i gestori aeroportuali, e per Sea in particolare, che i vettori differenti da Alitalia sono molto più importanti per lo sviluppo dei traffici e che l’attenzione nei loro confronti non può essere distolta da una disputa campanilistica per un hub che non c’è più.