In un’intervista a Sergio Rizzo sul Corriere del 2 ottobre, il leader della Cisl Bonanni ha sostenuto che «non c’è che una soluzione per riaprire i rubinetti del credito alle imprese: le Poste. […] Basterebbe fare come la Francia, che attraverso le poste ha creato La Banque postale. Funziona benissimo. Le Poste italiane raccolgono molti soldi e hanno 14 mila sportelli: nessuno ha una rete così capillare. Ma per fare mutui o servizi bancari devono ricorrere alle altre banche, come la Deutsche bank». Che cosa propone? – gli chiede Rizzo – «che le Poste diventino una banca a tutti gli effetti, perché sono in grado di far costare meno i servizi. Che prestino direttamente loro i soldi alle imprese».

Naturalmente chiunque ha il diritto di formulare proposte economiche, a maggior ragione il segretario di un grande sindacato; tuttavia fa una certa impressione associare questa idea all’influenza consistente che la Cisl ha sempre avuto e conserva inalterata sulla gestione di Poste Italiane (o forse addirittura accresciuta se si considera che nella primavera 2008 il governo appena costituito ha nominato alla presidenza dell’azienda, e si tratta della prima volta dalla riforma del 1994, un ex sindacalista Cisl ed ex presidente dell’Ipost, l’istituto di presidenza dei postelegrafonici).

Una quindicina d’anni e una dozzina di governi fa il compianto senatore Beniamino Andreatta si riferiva alla Cisl come all’“azionista di riferimento” delle Poste. Molto buste sono transitate da allora nelle cassette delle lettere: le Poste, che ai tempi della frase di Andreatta erano una delle direzioni del Ministero delle Poste e Telecomunicazioni e registravano deficit paurosi, sono divenute ente pubblico economico nel 1994 e società per azioni nel 2008. I partiti di allora sono tutti scomparsi; la prima repubblica ha ceduto il passo alla seconda; il sistema multipartitico proporzionale è stato sostituito da quello bipolare e maggioritario; il centrodestra ha vinto nel 1994, perso nel 1996, rivinto nel 2001, riperso nel 2006 e ririvinto nel 2008. Ma l’azionista di riferimento delle Poste non è mai cambiato.

Sottolineato il ruolo improprio del sindacato come “azionista di riferimento” dell’azienda postale, mai messo in discussione in due diverse repubbliche, almeno una trentina d’anni e una ventina di governi, compresi quelli che hanno gestito le privatizzazioni degli anni ’90, diversi aspetti della proposta di Bonanni, prima ricordata, si possono anche condividere.

Le Poste vogliono diventare banca a tutti gli effetti? Può essere utile che lo facciano: così si accresce la concorrenza nel sistema e si riesce probabilmente a far arrivare più credito anche alle piccole e medie imprese, una volta acquisito il know how della banca che fa impieghi, non solo raccolta (e quindi non entro l’orizzonte temporale dell’attuale crisi, per quanto lunga possa essere). Però debbono anche accettare tutte le regole che vigono per le banche: dal pieno assoggettamento alla legislazione bancaria, alle regole antitrust (se si aggregassero banche per 14 mila sportelli verrebbero autorizzate?), alla costituzione di un patrimonio dedicato (sul quale Bankitalia insiste da tempo, del tutto inascoltata dal Cda di Poste).

 

A partire dalla gestione Passera le Poste hanno operato una crescente e positiva concorrenza alle banche sul fronte della raccolta. Si sono tuttavia avvalse di alcuni vantaggi rilevanti: a) un costo del lavoro per dipendente molto inferiore alle banche, dovuto ai differenti contratti; b) l’uso di una grande rete di sportelli i cui costi sono stati scaricati in maniera prevalente sul cosiddetto “servizio universale” del recapito; c) rapporti privilegiati e commissioni di favore dal principale cliente, quello che gli garantisce il 35% dei ricavi e si chiama Stato italiano.

 

Le Poste, inoltre, se vogliono fare la banca dovrebbero lasciare che altri soggetti possano fare il recapito. Questo sinora non è avvenuto: le poste di Passera iniziarono a fare concorrenza alle banche nello stesso periodo in cui ottennero dal governo D’Alema (anno 1999) di blindare il mercato del recapito, accrescere il monopolio legale (unico paese dell’UE ad aumentare il monopolio mentre recepiva una direttiva liberalizzatrice), cancellare le concessioni alle agenzie di recapito cittadine e obbligare le medesime a lavorare per Poste, pena la chiusura e il licenziamento dei loro dipendenti.

 

Col 1° gennaio 2011 il mercato del recapito nell’UE sarà pienamente liberalizzato, ma sapete quale sarà la regola che i sindacati chiederanno e otterranno dal governo (PdL, ma sarebbe lo stesso se fosse PD)? Quella di obbligare i nuovi entranti nel mercato allo stesso contratto di lavoro di Poste Italiane. Si tratta proprio della regola che, qualora fosse stata applicata in passato ai lavoratori bancopostali rispetto al contratto Abi, accrescendone notevolmente il costo del lavoro, avrebbe impedito qualsivoglia sviluppo dei servizi finanziari delle Poste.