I cambiamenti del mercato del trasporto aereo dopo la crisi della vecchia compagnia di bandiera sono stati al centro di un convegno che si è tenuto ieri pomeriggio alle ore 15 a Milano presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università Statale. Per la prima volta dalla controversa nascita della nuova Alitalia, esperti e rappresentanti delle istituzioni e delle imprese del settore si sono incontrati per discutere dell’attuale assetto del trasporto aereo in Italia e delle sue prospettive dopo la crisi della compagnia di bandiera e la recessione internazionale.

È stata l’occasione per fare il punto sulle caratteristiche strutturali del settore e le regole che lo governano, sulle attuali dinamiche congiunturali, sui comportamenti che si dovrebbero adottare in futuro per far crescere il mercato e che non possono non tener conto di alcuni errori rilevanti compiuti in passato.

 

Caratteri principali dell’industria dei servizi di trasporto aereo

L’industria dei servizi di trasporto aereo si basa su due tipologie di operatori principali: da un lato le infrastrutture aeroportuali e le loro società di gestione, dall’altro lato i vettori aerei. Le società di gestione aeroportuali sono in Italia, salvo alcune eccezioni di rilievo come AdR e l’aeroporto di Napoli, a controllo pubblico, grazie a una pluralità di attori territoriali che ne hanno promosso in passato la costituzione e lo sviluppo. I vettori aerei, invece, sono a proprietà privata dato che la rilevante eccezione rappresentata dal controllo statale della vecchia Alitalia è stata cancellata dalla crisi del vettore e dalla cessione alla cordata Cai.

Mentre gli aeroporti, inoltre, sono controllati da soggetti nazionali, i vettori sui quali viaggia la maggior parte dei passeggeri che si imbarcano e/o sbarcano in aeroporti italiani sono stranieri. Solo sul segmento domestico, attraverso la nuova Alitalia che, dopo l’aggregazione con AirOne, detiene da sola quasi i due terzi del mercato, vi è una predominanza di offerta nazionale. Sul segmento internazionale infraeuropeo, invece, solo circa un passeggero su sei viaggia su vettori nazionali, mentre tre dei rimanenti cinque utilizzano vettori low cost. Sul segmento intercontinentale, infine, solo un passeggero su quattro viaggia su vettori nazionali, rappresentati dalla nuova Alitalia e da vettori charter.

Per quanto riguarda l’assetto dei differenti mercati, quello dei voli intracomunitari, compresi quelli domestici, è integralmente liberalizzato da oltre un decennio, mentre i voli extracomunitari, con l’eccezione dell’accordo “open sky” col nordamerica, sono soggetti ancora agli accordi bilaterali tra stati che danno in genere luogo a duopoli (i due vettori di bandiera si spartiscono l’offerta) e a una stringente regolamentazione.

La liberalizzazione comunitaria ha accelerato la crescita del mercato che è stata molto forte per il segmento internazionale intracomunitario, soprattutto grazie al rapido sviluppo dei vettori low cost, e minore per il segmento domestico, liberalizzato per ultimo e in genere occupato in maniera più robusta dai vettori nazionali di bandiera.

CONTINUA LA LETTURA DELL’ARTICOLO, CLICCA IL PULSANTE >> QUI SOTTO

Non vi è sottodotazione infrastrutturale, ma lo sviluppo dei traffici è molto sotto la media europea

In Italia il settore aereo non presenta, contrariamente ad altre modalità di trasporto, sottodotazione infrastrutturale, bensì una presenza di sedi aeroportuali in linea con i maggiori paesi europei: da noi l’80% del traffico è garantito da una trentina di aeroporti, lo stesso numero della Gran Bretagna e della Spagna, paesi che vedono tuttavia uno sviluppo del traffico aereo molto maggiore del nostro. In Francia l’80% del traffico è coperto da 40 aeroporti, mentre in Germania solo da 25, tuttavia la Francia ha un territorio molto più esteso del nostro, mentre la Germania si caratterizza per un’elevata densità abitativa e per un minor utilizzo del trasporto aereo negli spostamenti nazionali.

 

I dati precedenti non evidenziano una sovra dotazione infrastrutturale, semmai l’anomalia italiana consiste nel fatto che mentre vi è sottodotazione nelle infrastrutture terrestri (autostrade e ferrovie) altrettanto non si verifica in quelle aeroportuali. È davvero stupefacente, in conseguenza, che ci si lamenti di avere un gap infrastrutturale complessivo e contemporaneamente troppi aeroporti.

 

L’attuale dotazione è in grado di soddisfare l’incremento di domanda di trasporto aereo che vi sarà presumibilmente nei prossimi anni, una volta archiviata l’attuale crisi economica e non vi saranno particolari necessità di costruire nuove piste, ma solo di adeguare al numero dei passeggeri la capacità delle aerostazioni (e di adeguare le connessioni con la viabilità terrestre).

 

L’attuale dotazione infrastrutturale permetterà inoltre di sopportare un’auspicabile maggior crescita del nostro trasporto aereo, dato che esso è tuttora meno sviluppato rispetto agli altri paesi. Nonostante la sua vocazione turistica, la sua conformazione geografica (paese lungo e stretto con due grandi isole) e la crescita robusta dell’ultimo decennio l’Italia è ancora all’ultimo posto tra i paesi dell’UE-15 per indice di mobilità internazionale (numero di viaggiatori annui su rotte internazionali in rapporto agli abitanti). Si tratta di una posizione a partire dalla quale sono auspicabili percorsi e politiche di recupero del gap e che mette un luce una scarsità relativa di domanda piuttosto che un’abbondanza di offerta infrastrutturale.

 

In Italia ogni 100 abitanti vi sono all’anno 13 viaggiatori su rotte internazionali, nell’Unione Europea dei 15 paesi pre allargamento sono oltre 20. Se questo gap fosse recuperato il nostro mercato vedrebbe circa 150 milioni di passeggeri all’anno, 45 milioni in più rispetto a quelli attuali, con evidenti effetti benefici sul sistema economico in generale e sul comparto turistico in particolare.

 

CONTINUA LA LETTURA DELL’ARTICOLO, CLICCA IL PULSANTE >> QUI SOTTO

Perché in Italia il trasporto aereo risulta ancora sottoutilizzato per i viaggi internazionali rispetto agli altri paesi dell’Unione? La risposta è duplice, da un lato la minore competitività del nostro sistema turistico che si rivela meno attrattivo rispetto allo spagnolo e al francese. In Italia arrivano meno turisti stranieri rispetto a questi paesi; inoltre la ripartizione modale dei turisti in entrata vede una netta predominanza del mezzo automobilistico rispetto all’aereo.

 

In Spagna 75 turisti stranieri su 100 (quasi 45 milioni su 60 nel 2007) arrivano per via aerea; se si includono anche gli escursionisti, cioè coloro che entrano nel paese ma non vi pernottano, l’auto recupera la distanza ma supera solo di pochissimo il mezzo aereo. In Italia, invece, i viaggiatori stranieri in arrivo per via stradale sono il doppio di quelli per via aerea e, tra gli italiani che si recano all’estero, l’auto batte l’aereo 2,5 volte a uno.

 

Se il mercato italiano è solo la metà del britannico e due terzi dello spagnolo e del tedesco per numero di passeggeri annui trasportati, nel caso del cargo il sottosviluppo è ancora più evidente. Le tonnellate annue trasportate per via aerea erano, prima dell’attuale recessione e del disimpegno della nuova Alitalia dal segmento cargo, la metà rispetto all’Olanda e alla Francia, poco più di un terzo rispetto alla Gran Bretagna e un quarto rispetto alla Germania.

 

Quali sono le ragioni di questo sviluppo ancora più ridotto rispetto ai passeggeri? Certamente non la mancanza di domanda, sia export che import, ma la scarsità di offerta. Il traffico cargo, al contrario di quello passeggeri è prevalentemente di lungo raggio, intercontinentale: nell’UE-27, il traffico cargo domestico pesa solo per il 5% del totale, l’internazionale intra UE per circa il 15% e l’extra UE per ben l’80%.

 

Dal lato dell’offerta sono pertanto necessari vettori in grado di coprire adeguatamente il lungo raggio, caratteristica che non valeva per la vecchia Alitalia e vale ancora meno per la nuova. Nel nostro paese il trasporto cargo non si è mai sviluppato per l’assenza di un vettore nazionale robusto sul lungo raggio e questa è la ragione per la quale l’aeroporto più importante per l’export italiano è, tradizionalmente, quello di Francoforte.

 

(1. continua)