Sino a tutti gli anni ’90, le Poste godevano di una cattiva fama: chiudevano i bilanci con forti perdite, non facevano arrivare le corrispondenze in tempi accettabili e la valutazione veicolata dai media verso l’opinione pubblica era negativa.
Con la gestione di Corrado Passera prima e di Massimo Sarmi dopo la realtà dell’azienda, e con essa anche la sua immagine, è radicalmente mutata. Ora le Poste chiudono i bilanci con attivi consistenti e crescenti da un anno all’altro, hanno una redditività record in Europa e i giornali ne parlano generalmente bene.
Si scordano tuttavia spesso di ricordare, accanto alle cose buone che sono state realizzate in questi anni, che il risanamento non è avvenuto perché l’azienda ha saputo diventare una buona impresa postale, ma perché si è progressivamente trasformata in un’azienda di servizi bancari e assicurativi. Oggi essa è l’unica realtà postale al mondo nel quale il fatturato proveniente dai servizi di recapito tradizionali ed espresso si è ridotto a solo un terzo del totale del gruppo; in Europa l’azienda postale col peso più elevato del bancoposta dopo Poste Italiane è quella francese, ma essa trae dai recapiti ancora più di tre quarti del fatturato totale.
Cosa è avvenuto, invece, in Italia nel tradizionale mercato postale? Assolutamente nulla. L’operatore pubblico ha continuato a comportarsi in maniera insoddisfacente per i consumatori e ha potuto farlo in quanto protetto da un ampio monopolio postale che nel 1999, in occasione del recepimento di una direttiva europea “liberalizzatrice” è stato persino ampliato, cancellando i pochi operatori privati esistenti nelle grandi città.
Da un punto di vista strettamente legale il monopolio terminerà tuttavia con la fine del 2010, come previsto dalla terza direttiva postale dell’Unione Europea, e già nell’ultimo quinquennio si è ridotto in diverse tappe sino a poco più della metà del mercato.
Perché a fronte della riduzione del monopolio legale non abbiamo sinora visto l’arrivo di agguerriti concorrenti e Poste Italiane continua a essere (quasi) monopolista di fatto laddove non lo è più di diritto?
Si può iniziare a dare una risposta esaminando diversi casi, oggetto di interventi dell’Antitrust, nei quali l’azienda ha ampiamente usato la sua posizione sul mercato per ostacolare tale arrivo e il regolatore pubblico, anziché comportarsi da arbitro, è sceso in campo in favore della squadra di casa.
Il recapito dei giornali è libero ma solo con Poste si hanno gli aiuti pubblici
Il primo esempio riguarda le agevolazioni tariffarie per le spedizioni di quotidiani, periodici e comunicazioni degli enti non profit, ritenute meritorie dal legislatore. In questo caso il regolatore pubblico non ha mai tenuto conto del fatto che queste tipologie di invii postali rientrano nel regime legale di libera concorrenza e ha sempre concesso i contributi pubblici alle spedizioni solo in favore di chi utilizzava Poste Italiane, definendo per decreto le tariffe agevolate e compensando la sola azienda pubblica per l’onere così generato.
Poiché avvalersi di tariffe ridotte (mediamente di oltre il 60%) è possibile solo se si spedisce con Poste Italiane, è evidente che non vi possono essere concorrenti in questo segmento di mercato; nessuno è in grado di praticare tariffe inferiori a quelle scontate dell’operatore pubblico. Questo regime spiega anche, almeno in parte, perché l’Italia sia agli ultimi posti in Europa per sottoscrizioni di abbonamenti a giornali e riviste.
L’unico meccanismo possibile in grado di non distorcere la concorrenza consiste nel concedere la sovvenzione direttamente agli speditori postali, in modo che possano scegliere liberamente il fornitore del servizio. Esso in realtà era stato introdotto nella legge finanziaria per il 1999, con decorrenza prevista dall’inizio del 2000, ma non è mai entrato in vigore: dapprima rinviato di anno in anno, finanziaria dopo finanziaria, è stato definitivamente cancellato nel 2003 in favore della perpetuazione del vecchio sistema e a nulla è valsa una segnalazione dell’antitrust al governo trasmessa nel 2007.
Posta elettronica ibrida: ti sconto solo se ti chiami Postel
Un secondo caso di distorsione della concorrenza riguarda la “posta elettronica ibrida”, quella tipologia di corrispondenza che è trasmessa in modalità elettronica dal mittente a un’azienda incaricata della stampa, imbustamento e inoltro postale e viene recapitata in formato cartaceo al destinatario finale.
Questo prodotto è in monopolio solo nella fase finale del recapito ed è invece liberalizzato nella fase produttiva a monte. Gli operatori a monte, che affidano il recapito all’operatore pubblico, avrebbero dovuto avvalersi di una tariffa scontata rispetto ai normali invii in funzione dei costi evitati a Poste Italiane per il fatto di non svolgere l’intero ciclo produttivo.
Tariffa scontata e condizioni di accesso alla rete erano affidate al ministero regolatore il quale vi ammetteva le imprese del settore solo in presenza di una serie notevole di condizioni restrittive: erano richiesti quantitativi minimi annui molto elevati, sia su base nazionale che locale, e la presenza di attività di stampa diffusa sul territorio nazionale.
Si tratta di condizioni che potevano essere rispettate solo da Postel, controllata da Poste Italiane, e da pochissime altre imprese nazionali di rilevanti dimensioni. Tutti gli operatori di dimensioni medie e piccole erano invece sottoposti a tariffa piena in quanto non dotati dei “requisiti” richiesti dall’arbitro della “competizione”.
L’Antitrust ha sancito questo comportamento, accertando nel febbraio 2006 l’abuso di posizione dominante, e ha stabilito una sanzione di 1,6 milioni di euro per Poste Italiane, importo peraltro non in grado di incidere sui profitti annui dell’azienda.
Come l’utente singolo è obbligato a sovvenzionare i grandi speditori affinché non passino alla concorrenza
Come ha reagito il regolatore “indipendente” a questo provvedimento antitrust? È ovviamente ridisceso rapidamente in campo in favore del suo protetto e pochi mesi dopo, nel giugno 2006, ha rivoluzionato le tariffe postali: da un lato ha generalizzato, andando oltre la posta elettronica ibrida, la possibilità per Poste Italiane di praticare sconti anche consistenti verso i grandi speditori, legati al carattere “massivo” delle spedizioni (cioè alla loro numerosità), alla standardizzazione degli invii e all’area geografica di spedizione rispetto a quella di destinazione (metropolitana, urbana, ecc.).
Gli sconti, tuttavia, non sono lesivi della concorrenza solo se commisurati ai costi che gli speditori permettono a Poste di evitare grazie alle prelavorazioni e alla spedizione in prossimità del destinatario finale; nel decreto tariffario del 2006 non vi è tuttavia garanzia del rispetto di questo requisito e, inoltre, nella loro definizione e nell’individuazione delle modalità per usufruirne, sono concessi margini discrezionali elevati all’operatore pubblico che possono lasciare spazio alla reiterazione di pratiche anticompetitive. In presenza di sconti più consistenti rispetto ai costi effettivamente evitati si realizza infatti una violazione dei principi di concorrenza, permettendo a Poste Italiane di offrire un servizio a prezzi non replicabili dai competitori.
Se le tariffe per i grandi speditori scendono, per scoraggiarne il passaggio ai concorrenti nei segmenti liberalizzati, al di sotto dei costi generano perdite. Chi le sovvenziona? In primo luogo le famiglie e chi, in generale, spedisce corrispondenze singole e, comunque, non massive. Il decreto tariffario del 2006 ha infatti provveduto anche ad abolire il francobollo ordinario e a trasformare magicamente tutte le corrispondenze ordinarie in prioritarie, sottoponendole alla relativa tariffa: 60 centesimi anziché 45, con un incremento del 33%.
In questo modo i consumatori più deboli, quelli che dovrebbero essere tutelati dal regolatore, hanno subito tariffe molto più alte senza essere garantiti sui maggior standard qualitativi, ai quali peraltro potevano anche non essere interessati. È come se le ferrovie, a parità di offerta, sostituissero in tutte le carrozze le etichette della seconda classe con quelle della prima.
Come ti contrattualizzo i concorrenti
Dopo la sanzione del 2006, l’Antitrust è nuovamente intervenuta sul mercato postale aprendo nell’agosto 2007 un’istruttoria sui comportamenti assunti da Poste Italiane nel contrattualizzare le ex agenzie cittadine di recapito che nel regime regolatorio pre 1999 disponevano di concessioni su base municipale e che, dopo la loro revoca, hanno dovuto scegliere se chiudere i battenti o lavorare per Poste.
Tali comportamenti sono stati valutati come idonei a limitare sensibilmente l’attività degli ex concessionari e ad alterare le condizioni di concorrenza nell’offerta di servizi postali, rappresentando un abuso di posizione dominante. L’Autorità ha evidenziato in particolare come Poste abbia utilizzato il maggior potere contrattuale, favorito dal nuovo regime regolatorio, per imporre agli ex concessionari contratti fortemente squilibrati a suo favore, in grado di vincolarne complessivamente l’attività e di ridurne in maniera consistente la capacità di competere negli ambiti di attività postale non soggetti a riserva.
Tali contratti evidenziavano infatti caratteristiche invasive da parte di Poste nella normale gestione di queste aziende, lesive della loro autonomia (come il divieto di fatto di venderle a soggetti non graditi a Poste), e pesantemente limitative riguardo alla possibilità di operare in concorrenza sui segmenti di mercato legalmente liberalizzati (clausole di esclusiva e persino tetti massimi ai ricavi conseguibili dalle agenzie).
Nonostante la gravità delle violazioni accertate, il procedimento dell’antitrust è stato chiuso nel 2008 in maniera sostanzialmente innocua per Poste, poiché l’Autorità si è limitata ad accogliere una serie di impegni dell’azienda pubblica finalizzati alla non reiterazione dei comportamenti in oggetto e non ha comminato alcuna sanzione monetaria per le violazioni pregresse. Tutti i vantaggi acquisiti da Poste con queste pratiche sono stati in conseguenza lasciati nelle mani di Poste.
Come ti faccio concorrenza
Neppure il 2009 è trascorso senza che l’Antitrust dovesse occuparsi dell’azienda postale: lo scorso 15 ottobre ha infatti deciso di avviare una nuova istruttoria per verificare se l’azienda abbia abusato della sua posizione dominante nel mercato del recapito, ostacolando i concorrenti nell’ormai ampio segmento dei servizi (solo) legalmente liberalizzati.
Le Poste, in particolare, avrebbero adottato comportamenti ostruzionistici cercando di ostacolare l’offerta da parte dei concorrenti di servizi innovativi quali le consegne certificate entro data e ora certa. Avrebbero infatti proposto servizi similari ai principali clienti dei loro concorrenti proponendo prezzi estremamente bassi, sostenibili, secondo i ricorrenti all’Antitrust, solo grazie alla rete integrata di Poste e all’utilizzo di sovvenzioni incrociate da altri prodotti.
Anche nel caso dell’offerta alla pubblica amministrazione e ad altri enti di servizi postali liberalizzati Poste avrebbe messo in atto una condotta di ostacolo alla concorrenza di tipo escludente, presentando alle gare a evidenza pubblica offerte sostenibili solo grazie alla sua posizione dominante in altri mercati e alla utilizzazione della rete integrata. Secondo l’Autorità garante della concorrenza e del mercato le condotte abusive potrebbero, se confermate dall’istruttoria, rappresentare una strategia unitaria di tipo escludente nei confronti dei concorrenti.
Quali insegnamenti trarre?
Dai casi precedenti si possono trarre almeno tre insegnamenti:
1- Le Poste entreranno come socio promotore nella Banca del mezzogiorno di Giulio Tremonti, forse si trasformeranno in banca esse stesse, hanno pensato di candidarsi a gestire persino lotterie istantanee e sono sempre in predicato di entrare nel capitale di Telecom, magari al posto dei Benetton o della spagnola Telefonica. Così vogliono fare tutto ma soprattutto impedire agli altri di fare il mestiere postale che a loro interessa pochissimo e che non sanno fare granché.
2- I casi esaminati spiegano come sia possibile da un lato aprire legalmente quasi metà di un mercato e dall’altro non assistere ad alcuna crescita della concorrenza.
3. In un vecchio blog dell’Istituto Bruno Leoni avevo definito la “liberalizzazione” (all’italiana) come la “sostituzione dei divieti normativi che impediscono il libero accesso a un mercato con ostacoli di altra natura ed equivalente efficacia”. Direi che il mercato postale è una buona dimostrazione di questa definizione.