Un emendamento alla legge finanziaria in corso di approvazione alla Camera rischia di compromettere seriamente l’indipendenza (finanziaria, e quindi complessiva) delle cosiddette Autorità indipendenti (Consob, Antitrust, Agcom, Autorità per l’Energia, Covip, Garante della Privacy, Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici, Isvap e Commissione di garanzia per gli scioperi).
Si tratta di una proposta presentata da alcuni deputati del Pdl che, se accolta, priverebbe le differenti Autorità delle proprie fonti autonome di finanziamento, convogliate a un “fondo unico perequativo” istituito presso il Tesoro e da qui “redistribuite” per il loro funzionamento secondo criteri evidentemente nelle mani del Tesoro stesso.
L’emendamento ha suscitato reazioni negative delle Autorità interessate, in particolare di quelle maggiormente in grado di autofinanziare le loro attività istituzionali attraverso i contributi obbligatori posti a carico dei soggetti regolati.
L’Autorità per l’energia elettrica e il gas, ad esempio, ha inviato una segnalazione a governo e parlamento per richiamare l’attenzione sulle sue criticità. Per l’Autorità “la norma proposta finanzierebbe – con onere a carico delle sole imprese che operano nei settori regolati (settore elettrico, del gas, delle telecomunicazioni, assicurativo e degli scambi finanziari) – anche amministrazioni del tutto estranee a tali settori nonché autorità che operano a livello trasversale su tutti i mercati svolgendo attività di vigilanza su tutte le imprese soggette alla concorrenza (introducendo una sostanziale forma di tassazione occulta sui suddetti settori regolati)”.
L’Istituto Bruno Leoni ha giudicato gravissima l’eventualità dell’approvazione dell’emendamento. Come osservato in maniera condivisibile da Carlo Stagnaro, direttore ricerche e studi dell’istituto, “l’indipendenza dei regolatori è una condizione necessaria per il buon funzionamento dei mercati. Al di là dei problemi tecnici di implementazione dell’emendamento, mettere in mano al Tesoro la possibilità di stabilire discrezionalmente chi e quanto deve essere finanziato significa potenzialmente minare l’autonomia delle autorità e, dunque, turbare i meccanismi di mercato.
Le autorità, specie quelle attualmente indipendenti dal punto di vista finanziario, sarebbero ricattabili e il loro operato potrebbe essere indirizzato secondo criteri politici. A farne le spese sarebbero la credibilità del nostro paese e, in ultima analisi, i consumatori. […] Screditare i mercati mettendo in discussione l’indipendenza dei regolatori non è nell’interesse di nessuno”.
L’emendamento appena ricordato non è che l’ultimo di numerosi tentativi realizzati in passato, per fortuna senza conseguenza di rilievo, per cercare di riportare sotto un maggiore controllo dell’esecutivo l’operato di queste Autorità, le quali sono istituzionalmente indipendenti dai governi, dato che svolgono attività amministrative connotate solo da aspetti tecnici e non politici, e rispondono direttamente al Parlamento.
Poiché la loro attività è ovviamente regolata dalla legge, i tentativi precedenti hanno cercato di comprometterne l’indipendenza modificando le norme che le riguardano, ad esempio in relazione alla composizione e modalità di nomina dei loro vertici, mentre ora si sta provando a farlo intercettandone le autonome risorse finanziarie.
Se i tentativi di ridurre l’indipendenza delle Autorità esistenti non hanno avuto sinora successo non bisogna tuttavia dimenticare che nell’ultimo decennio non si è provveduto a istituire diverse Autorità che erano esplicitamente richieste da norme di legge, tuttora in vigore. I servizi postali, ad esempio, non sono regolati da Autorità indipendente mentre questo si verifica in 25 dei 26 altri paesi appartenenti all’Unione Europea; le infrastrutture di trasporto (autostrade, rete ferroviaria, porti, aeroporti) neppure; idem i servizi di trasporto non esercitati in regime di concorrenza quali quelli ferroviari, il trasporto pubblico locale e le rotte aeree domestiche divenute in regime di monopolio dopo la fusione Alitalia-AirOne.
Nelle scorse settimane è stata approvata un’importante riforma dei servizi pubblici locali che modifica soprattutto il settore dei servizi idrici ma anche in questo caso non è previsto il suo assoggettamento a un’Autorità indipendente di regolazione; anzi, il ministro competente, quello dell’ambiente Prestigiacomo, ha dichiarato trattando del tema delle tariffe: “In relazione a questa esigenza di garanzia per i cittadini […] si è discusso in questi giorni della opportunità di istituire una Authority: io non credo serva una nuova Autorità per l’acqua. La regolamentazione della qualità e del prezzo del servizio è svolta dal ministero dell’Ambiente attraverso la Conviri, la Commissione nazionale di vigilanza sulle risorse idriche da poco rinnovata”.
Questa affermazione non solo non è condivisibile, dato che la regolazione dei servizi effettuata in ambito ministeriale non è in grado di garantire né i clienti dei servizi né coloro che comprano azioni delle aziende ed era considerata inefficace già 15 anni fa da governi e Parlamento, ma la posizione del ministro è anche in contrasto con precise norme di legge, approvate nel lontano 1994, le quale richiedono l’istituzione di Autorità indipendenti di regolazione delle utilities prima di avviare processi di privatizzazione, che dopo l’ultima riforma potranno in effetti essere realizzati anche per i servizi idrici.
L’art. 1 bis della legge 474 del 1994 contenente “Norme per l’accelerazione delle procedure di dismissione di partecipazioni dello Stato e degli Enti pubblici in società per azioni” stabilisce infatti che le dismissioni di partecipazioni azionarie “sono subordinate alla creazione di organismi indipendenti per la regolazione delle tariffe e il controllo della qualità dei servizi di rilevante interesse pubblico”.
È in applicazione di tale norma che la legge n. 481 del 1995 ha riformato la regolazione attribuendone i compiti ad Autorità indipendenti appositamente costituite. Nel suo disegno originale prevedeva l’istituzione di quattro differenti autorità di settore: per l’energia elettrica e il gas, per le comunicazioni, per i trasporti, per i servizi idrici.
Nelle diverse fasi di discussione del provvedimento, tuttavia, succedeva che, come nel racconto di Agata Christie “Dieci piccoli indiani”, tutte le autorità previste finivano col cadere e ne rimaneva solo una, quella dell’energia elettrica e il gas. L’Autorità per le comunicazioni veniva infatti costituita solo un paio d’anni dopo, ma deviando dal modello originario e stralciando dalle sue competenze il mercato postale; quella dei trasporti non vedeva mai la luce, nonostante diversi progetti nelle successive legislature, e quella dei servizi idrici neppure.
Quindici anni dopo l’unico tentativo di istituirla il ministro dice che non serve e che il suo ministero può bastare; peccato che tutti gli studiosi di regolazione sostengano il contrario e altrettanto facciano i pessimi risultati delle regolazioni ministeriali in tutti i comparti i in cui sono state attuate.
Nell’ultimo decennio sono state effettuate privatizzazioni di utilities in settori privi di Autorità, violando la legge del 1994. Un esempio è la privatizzazione della società Autostrade per l’Italia, uno più recente è quella di Alitalia; in calendario vi è la privatizzazione di Tirrenia e in un futuro prossimo potranno essere effettuate privatizzazioni nei servizi idrici e cedute sul mercato quote di Poste Italiane. Di Autorità indipendenti di regolazione non parla tuttavia più nessuno se non per dire che se ne può fare a meno. Eppure non è necessario, tranne che nei trasporti, istituirne di nuove dato che il mercato postale potrebbe essere affidato all’Autorità per le comunicazioni e i servizi idrici all’Autorità per l’energia elettrica e il gas.
La regolazione economica delle utilities serve a tutelare i consumatori, dal punto di vista sia delle tariffe che della qualità, in settori produttivi in cui non è possibile, a causa di rilevanti economie di scala, la presenza di numerosi operatori in concorrenza tra di loro. In questi casi i processi di privatizzazione rischiano di trasformare monopoli pubblici in monopoli privati e le inefficienze produttive tipiche dei primi in profitti monopolistici.
La regolazione economica è un’attività solo tecnica e non ha implicazioni politiche dato che non deve scegliere tra obiettivi collettivi reciprocamente incompatibili. Tuttavia i politici vogliono generalmente mantenerla sotto il loro controllo per poterla usare per finalità che nulla hanno a vedere con la tutela dei consumatori di fronte al potere di mercato di imprese in mercati poco concorrenziali.