In questi giorni abbiamo potuto leggere su ilsussidiario.net e sui quotidiani tradizionali molti e autorevoli commenti sul caso Chrysler-Fiat, il quale sembra avviato sulla buona strada grazie agli accordi con i sindacati e i creditori bancari e ai buoni auspici dell’amministrazione del presidente Obama.

Trattandosi del salvataggio di una grande azienda è interessante esaminare analogie e differenze col “salvataggio” da poco avvenuto di un’importante azienda italiana, l’Alitalia, e chiederci come sarebbe avvenuto quest’ultimo se si fosse utilizzato lo stesso percorso del caso americano.



In Italia governo e opposizione hanno identicamente e giustamente plaudito al successo della Fiat che si è inserita in maniera efficace nel progetto di ristrutturazione della Chrysler in crisi ma non sembrano essersi resi conto che, se si fosse seguito l’esempio Obama nel caso Alitalia, l’intervento pubblico e il relativo piano di salvataggio sarebbero risultati profondamente diversi. Ecco dunque perché Chrysler-Fiat non è Alitalia-Cai attraverso l’esame di quattro analogie e di quattro differenze tra i due casi.



Analogie: Le analogie sembrano essere essenzialmente quattro: (a) il ruolo attivo del governo; (b) l’impiego rilevante di fondi pubblici; (c) il passaggio attraverso procedure di fallimento pilotato; (d) la scissione tra una bad e una good company al fine di permettere la cessione degli asset non problematici, quelli produttivi in particolare, a nuovi azionisti. Anche all’interno di questi fattori simili si evidenziano tuttavia differenze rilevanti.

1)              Ruolo del governo. Il ruolo del governo è molto simile dato che in entrambi i casi si è assunto il compito di guidare il processo di salvataggio e di pilotare la compagnia in crisi verso esiti non traumatici. È stato, nel caso italiano, ed è in quello statunitense l’attore principale del processo.



Vi sono tuttavia alcune differenze importanti: nel caso americano l’impresa era privata, il governo non poteva pertanto utilizzare la leva gestionale per impedire/attenuare la crisi ma è intervenuto tempestivamente dopo che si è verificata; nel caso italiano l’impresa era pubblica ma i diversi governi non sono stati in grado di utilizzare la gestione aziendale per evitare la crisi, contribuendo anzi al suo emergere in maniera grave; inoltre si sono dimostrati tutt’altro che tempestivi dato che l’amministrazione Prodi decise di vendere l’azienda nell’autunno 2006 e ci sono voluti oltre due anni e il sostanziale fallimento della vecchia azienda per portare a termine il progetto.

2)              Fondi pubblici. Sono consistenti e dello stesso ordine di grandezza ma con due differenze di rilievo: nel caso americano sono stati erogati dopo il manifestarsi della crisi e hanno assunto la forma di prestiti che sono previsti in restituzione all’amministrazione pubblica nel piano di ristrutturazione; nel caso italiano sono stati erogati prima, durante e dopo la fase maggiormente critica, assumendo la forma di ripianamenti di perdite gestionali, di conferimenti patrimoniali e quella di oneri netti per il bilancio pubblico derivanti dal piano di salvataggio. Mentre la restituzione dei fondi ai contribuenti statunitensi non è certa, la non restituzione ai contribuenti italiani è invece sicurissima.

3)              Procedura concorsuale. Vi sono molte somiglianze tra il Chapter 11 statunitense e l’amministrazione straordinaria utilizzata nel caso italiano con la differenza, tuttavia, che nel caso Chrysler il passaggio per un “fallimento pilotato” è considerato un second best dalle maggiori parti in causa, reso necessario dal mancato accordo con i creditori non bancari. Governo Usa, Fiat, sindacati e creditori bancari avrebbero invece preferito evitarlo, non considerandolo esente da rischi.

Nel caso Alitalia, invece, è stato fortemente voluto dai “salvatori” Intesa-Cai (ne avevo evidenziato i rischi in un contributo su ilsussidiario.net a inizio agosto 2008). Nel caso italiano, inoltre, sono state modificate ad hoc le norme che regolano la procedura mentre negli Usa una cosa del genere sarebbe impensabile.

4)              Bad e good company. La scissione in una bad company, in cui infilare gli asset problematici e destinata alla liquidazione, e in una good company, a cui attribuire gli asset produttivi e destinata alla cessione ai nuovi soci, è una conseguenza dell’utilizzo della specifica procedura fallimentare. In Italia, tuttavia, essa è stata utilizzata per ritagliare il perimetro aziendale più favorevole per gli acquirenti e permettere una valutazione di estrema convenienza (Alitalia è stata pagata da Cai meno di 1,5 volte AirOne pur fatturando oltre 6 volte). Non si ha sentore che altrettanto possa verificarsi nel caso Chrysler.

Differenze: Le differenze tra i due casi sembrano più sottili rispetto alle analogie ma risultano in realtà di portata molto più ampia. Esse riguardano i seguenti aspetti: (a) consenso sul piano di salvataggio; (b) patriottismo economico; (c) natura economica dell’acquirente; (d) rilancio e dimensioni dell’azienda.

1)              Consenso sul piano. Negli Usa un aspetto molto positivo è rappresentato dalla convergenza che l’amministrazione Obama è riuscita a ottenere tra tutte le parti principali (azionisti uscenti ed entranti, creditori principali, sindacati) sul piano di ristrutturazione. In Italia c’è stata Intesa (banca suggeritrice di Cai) senza consenso dato che il piano è stato imposto agli azionisti di minoranza, agli obbligazionisti, ai creditori e persino ai clienti i quali, dopo la rimonopolizzazione delle più importanti rotte domestiche, non possono neppure scegliere con chi volare.

2)              Patriottismo economico. All’amministrazione Obama non sarebbe mai venuto in mente di restringere la ricerca di un’azionista di controllo della nuova Chrysler entro confini degli Stati Uniti (pur essendo notoriamente più ampi, sia in senso geografico che economico, di quelli italiani).

3)              Natura economica dell’acquirente. All’amministrazione Obama non sarebbe mai venuto in mente che la soluzione proprietaria per la nuova Chrysler potesse avere natura diversa da quella industriale. Di fronte a un’azienda dell’auto in grave crisi il nuovo azionista non poteva che essere un industriale dell’automobile, in grado di pilotare con efficacia il rilancio. Lo stesso ragionamento si applica al caso italiano e lo ho esposto in molte occasioni: di fronte a una media azienda del trasporto aereo in grave crisi l’unica soluzione valida era rappresentata da una grande ed efficiente azienda del trasporto aereo (date le restrizioni proprietarie vigenti in Europa solo AF-Klm, Lufthansa o British).

4)              Rilancio e dimensioni dell’azienda. I principali attori del caso Chrysler-Fiat hanno ben chiaro che il rilancio e il successo passa attraverso la crescita dimensionale delle aziende. Marchionne ha dichiarato che la dimensione minima efficiente per un operatore mondiale dell’auto è di sei milioni di vetture prodotte all’anno, quasi il triplo della sua azienda. Si dà il caso che anche Air France-Klm sia il triplo della vecchia Alitalia e che Lufthansa lo stia diventando grazie alle acquisizioni recentemente effettuate e in corso. Nel caso della nuova Alitalia si è invece puntato a un’azienda molto più piccola delle due preesistenti e rintanata nei cieli domestici. In sostanza le due strategie di risanamento sono completamente antitetiche ed è molto difficile pensare che ambedue abbiano possibilità di successo.

L’epilogo mancato. Come sarebbe andata nel caso italiano con Prodi-Padoa Schioppa in versione Obama-Geithner? Semplice: con buona pace del patriottismo tricolore avrebbero avviato trattative dirette con AF-Klm e Lufthansa (dopo aver accertato il non interesse di British) per un piano di rilancio e crescita di Alitalia da avviarsi entro un trimestre. Il partner scelto sarebbe entrato con una quota di minoranza e la responsabilità della gestione avendo la possibilità di crescere nella quota e di conseguire il controllo al raggiungimento di precisi e predefiniti obiettivi di risanamento. Una strategia non difficile ma purtroppo impossibile da attuare nel sistema politico italiano, non storicamente orientato alla ricerca teleologica delle soluzioni razionali ai problemi.