La richiesta di rinnovo degli incentivi alle auto formulata la scorsa settimana dall’a.d. di Fiat Sergio Marchionne al salone di Francoforte ha avuto ampio risalto sui media. Come ha riportato la Stampa (il 17 settembre):

«Nel breve periodo c’è un’incognita che pesa sul settore: gli incentivi dei governi per sostenere le vendite. Per l’Ad di Fiat e Chrysler, la fine del sostegno pubblico alle vendite avrebbe un effetto “disastroso” per l’industria dell’auto europea. E nel caso italiano, “per il bene del Paese spero vengano rinnovati”, dice l’Ad. Una scelta che spetta al governo, precisa, ma che potrebbe avere effetti “disastrosi” sui livelli occupazionali. (…)



Il tema degli incentivi è stato uno di quelli affrontati dalla riunione dell’Associazione europea dei costruttori di auto, che si svolta sempre a Francoforte nella mattinata e il ragionamento fatto dai costruttori, in estrema sintesi, è che senza gli aiuti gli stabilimenti dovranno chiudere. In Germania non saranno rinnovati e la previsione per il mercato locale è di un crollo, ricorda l’ad. E visto che sul tema è mancato un coordinamento a livello europeo “stanno tutti aspettando cosa farà l’Italia, cosa farà la Francia, cosa farà la Gran Bretagna”, dice l’Ad».



La posizione di Marchionne è sostenuta dal Presidente di Confindustria Marcegaglia, per la quale è necessario «continuare a sostenere settori basilari come l’auto o l’edilizia», mentre il numero uno di Piaggio Colaninno ha formulato una richiesta analoga anche per il mercato della moto: «Il mercato su gomma a due, tre e quattro ruote, ha assolutamente bisogno di incentivi per rinnovare il parco auto e moto e per sostenere il volano positivo della ripresa. (…) Gli incentivi sono stati fondamentali per gestire una crisi che non è ancora finita. E l’anno prossimo potrebbe andare anche peggio» (Il Sole 24 Ore del 18 settembre).



Il Governo, nelle dichiarazioni del Ministro Scajola e del sottosegretario Saglia, ha manifestato sostanziale disponibilità ad andare incontro a queste richieste anche se vi è la possibilità che gli incentivi in vigore sino a fine anno siano attenuati nel prossimo, come ha scritto (lo stesso giorno) Milano Finanza: «Le intenzioni del Governo sarebbero quelle di andare verso una riduzione graduale degli incentivi auto per evitare sia che gli stessi diventino una droga permanente per il settore sia uno choc derivante da uno stop immediato».

 

Ragioni contro gli incentivi

Vi sono molte argomentazioni che possono essere utilizzate contro le politiche di incentivo in generale e per lo specifico settore in particolare. Provo a illustrarle in sintesi: (a) gli incentivi settoriali temporanei generano distorsioni temporali nello specifico settore in quanto inducono i consumatori ad anticipare la domanda ma provocano “cannibalizzazione di acquisiti futuri, cioè …ridiscesa delle vendite a seguire” come ricordato da Oscar Giannino su Chigagoblog; (b) generano distorsioni tra settori produttivi poiché inducono spostamenti di spesa da altri capitoli di consumo; (c) producono in conseguenza riduzione di efficienza allocativa e anche problemi di equità, dato che rischiano di danneggiare settori non meno meritevoli ma che hanno minore possibilità di farsi ascoltare nel chiedere aiuto ai governi (ad esempio in quanto non caratterizzati da imprese di grandi dimensioni); (d) il settore specifico è meno rilevante di un tempo nell’economia italiana (solo 900 mila auto prodotte nel 2007 sul territorio nazionale) a causa delle ampie delocalizzazioni che sono state attuate nell’ultimo decennio e pesa molto meno di quanto si verifichi in Germania, Francia e Spagna, paesi nei quali la produzione è stata nel 2007 rispettivamente di 5,7 milioni, 2,6 e 2,2 milioni.

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Non si può che essere d’accordo con Oscar Giannino quando sostiene (sempre su Chicagoblog) che «gli altri settori produttivi generalmente non beneficiano dei pingui aiuti diretti riservati all’auto. Occorrerebbe, da parte della politica, una capacità di analisi più equanime di che cosa pesa davvero l’auto nella realtà produttiva italiana odierna, rispetto ai settori in cui occorrerebbe concentrare qualche incentivo volto ad agevolare nella generalità dei casi un balzo di produttività. Si tratti della ripatrimonializzazione delle piccole imprese manifatturiere esportatrici, o della banda larga che continuiamo a non avere, deprimendo il risultato di tutte le aziende incardinate fuori dalle grandi città».

 

Bisogna ancora aggiungere che non sembra valere per l’Italia della Fiat ciò che vale invece per la Francia di PSA e Renault e che il Presidente Sarkozy ha efficacemente sintetizzato, in occasione del “Pacte automobile” e dei consistenti aiuti all’industria dell’auto francese stanziati nella prima parte di quest’anno (circa 7,5 miliardi di euro), con le seguenti parole: “La France ne laisse pas tomber son industrie automobile mais l’industrie ne doit pas laisser tomber la France”. In sostanza, se la Francia non si scorda di sostenere la sua industria dell’auto a sua volta l’industria non deve scordarsi di sostenere la Francia (mantenendovi gli impianti produttivi). Nel caso italiano questa reciprocità non c’è stata e se storicamente tutti i governi hanno sempre sostenuto il gruppo Fiat (non meno di quanto abbiano fatto i governi francesi con i gruppi nazionali) le delocalizzazioni sono state molto più consistenti e hanno portato ad una riduzione evidente della produzione nazionale, come i due grafici sottostanti, tratti da uno studio del Ministero dell’Industria francese, dimostrano.

 

Produzione di autovetture (Indici 1995=100)

 

 

Posta uguale a 100 nel 1995 la produzione di autovetture nei maggiori paesi europei, nel 2008 la Germania ne produceva circa 190, la Francia e la Spagna circa 150, persino la Gran Bretagna si attestava a 120 mentre solo l’Italia risultava al di sotto del dato di partenza (dopo essere salita a circa 120 nell’anno 2000). In sostanza l’attenzione dei governi italiani verso il gruppo Fiat non sembra essere stata granché ricambiata (in gran parte, ovviamente, anche per effetto della debolezza del gruppo e del suo management prima dell’era Marchionne).

 

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Ragioni a favore degli incentivi

A favore degli incentivi sembra esservi un’unica ragione apparente: hanno prodotto gli effetti desiderati in corso d’anno e quindi è opportuno mantenerli e, comunque, potrebbe essere rischioso abbandonarli. Non è un’argomentazione fortissima, tuttavia i dati molto differenziati che provengono dai differenti paesi europei sconsigliano di correre rischi: in agosto, complessivamente nei 15 paesi dell’Unione pre allargamento, le immatricolazioni hanno registrato un +8% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente, contribuendo a limitare a un -6% il dato relativo ai primi otto mesi dell’anno rispetto agli stessi del 2008.

 

Rispetto ai valori con cui era iniziato l’anno dovremmo parlare di scampato pericolo per il mercato dell’auto. Tuttavia il dato generale nasconde dinamiche molto differenziate nei diversi paesi, dato che molti stati piccoli hanno ancora tassi di variazione nei primi otto mesi del -20, -30 e anche -40%, pur se in miglioramento. L’Italia è in negativo nei primi otto mesi (-7%) ma, grazie agli incentivi, ha chiuso la voragine del primo bimestre ed è in positivo nei mesi più recenti (+7/8,5% in luglio/agosto). La Francia, paese in cui gli incentivi erano già presenti nel 2007 e sono stati rafforzati nel 2008, è in positivo nei primi otto mesi (+1%) e in misura maggior nei più recenti (+3% in luglio, +7% in agosto). La Germania, paese i cui automobilisti hanno beneficiato di incentivi molto generosi nell’anno delle elezioni legislative, sta vivendo addirittura un boom di domanda con tassi di crescita superiori al 25% sia  nella media dei primi otto mesi che in quelli più recenti. In questo caso gli incentivi finiscono con la scadenza elettorale e sarà il nuovo governo a decidere sul da farsi, mentre in Francia il ministro dell’industria Christine Lagarde ha già annunciato da un mese che saranno riconfermati nel prossimo anno.

 

L’eccessiva tassazione dell’auto in Italia e la necessità di riequilibrarla

I due gruppi di argomentazioni illustrate non permettono di dirimere in maniera netta la questione incentivi sì/incentivi no: se utilizziamo un modello di valutazione deontologico/proceduralista, come è tipico dei liberali (posizione nella quale mi ritrovo), dovremmo concludere che gli incentivi non sono difendibili; se invece utilizziamo un modello conseguenzialista (à la Sarkozy-Lagarde) dovremmo approvarli, dati i risultati positivi che essi stanno producendo.

 

La domanda, a questo punto, è se non sia possibile trovare argomenti per effettuare una sintesi tra i due modelli di valutazione e le posizioni che da essi scaturiscono. A mio avviso l’unica motivazione possibile è da ricercarsi nell’attuale eccessiva e squilibrata tassazione dell’auto nel caso italiano e nella necessità di riformarla e riequilibrarla. Non di incentivi dovremmo quindi parlare, ma di modifiche permanenti alla fiscalità.

 

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La tassazione dei consumi connessi all’auto è eccessiva nel nostro paese in quanto il gettito complessivo che ne deriva per il settore pubblico è quasi il doppio della spesa pubblica complessiva realizzata per i trasporti da tutte le amministrazioni pubbliche. Nel 2007, come possiamo desumere dai dati del Conto nazionali dei trasporti elaborato dal ministero omonimo, il settore pubblico italiano ha speso complessivamente per tutte le finalità connesse ai trasporti e per tutte le tipologie di trasporto, non solo il trasporto su strada, 45,9 miliardi di euro dei quali 22,4 per spese di funzionamento (conto corrente) e 23,5 per investimenti (conto capitale). Nello stesso anno un’indagine dell’Anfia ha stimato che i cittadini italiani abbiano versato al fisco a causa dell’automobile 70,5 miliardi di euro (di essi ben 32,4 solo per fiscalità sui combustibili), i quali corrispondono al 4,6% del Pil italiano (contro il 3,4-3,5% a carico dei cittadini tedeschi, britannici e francesi e il 2,9% per quelli spagnoli). Il settore auto, in conseguenza, è forse l’unico sul quale il settore pubblico risulta in forte attivo.

 

L’alta tassazione italiana appare ancora più iniqua se si considera che una quota consistente della spesa connessa all’auto non avviene per motivi voluttuari ma per ragioni di lavoro, per permettere alle persone di arrivare in ufficio o in fabbrica, ed è quindi una spesa necessaria per la produzione del reddito, trattata tuttavia diversamente dal punto di vista fiscale (totalmente deducibile se l’utilizzo dell’auto è realizzato dalle imprese, parzialmente deducibile se l’auto è assegnata a dipendenti oppure nel caso di lavoratori autonomi, del tutto non deducibile per i lavoratori dipendenti). Un riordino finalizzato ad una maggiore equità è pertanto necessario.

 

Una seconda ragione per un riordino è legata all’esigenza, ben presente nella posizione dell’Unione Europea, di incentivare attraverso la fiscalità veicoli a basso impatto ambientale e, simmetricamente, disincentivare veicoli ad alto impatto. A queste finalità sono stati indirizzati gli incentivi francesi introdotti nel 2007, un sistema bonus-malus, indipendente dalla rottamazione, il quale stabiliva un contributo pubblico per veicoli al di sotto di una certa soglia di emissioni di CO2, crescente al diminuire delle emissioni (da 200 euro sino a un massimo di 5 mila nel caso di zero emissioni) e una tassa sui veicoli al di sopra di una certa soglia di emissioni, crescente all’aumentare delle emissioni (sino a un massimo di 2600 euro). Gli incentivi italiani in vigore presentano elementi simili alla parte bonus, mentre non è prevista la parte malus.

 

Questi meccanismi, introdotti in sede di incentivi, potrebbero tuttavia essere stabilizzati ad esempio attraverso un’imposta d’immatricolazione modulata sulla base delle emissioni inquinanti, come già avviene in diversi paesi europei tra i quali la Spagna (che ha aliquote, crescenti al crescere dell’impatto ambientale del veicolo, comprese tra lo zero e il 14,75%). Se un’imposta di questo tipo partisse da un’aliquota di segno negativo avremmo un contributo/incentivo a scelte pro ambiente dei consumatori che potrebbe autofinanziarsi attraverso la componente malus e supererebbe molte delle critiche indirizzate ai semplici incentivi transitori introdotti per aiutare le vendite delle case automobilistiche.

 

In alternativa o in aggiunta anche la tassa annua di circolazione potrebbe essere riordinata seguendo questa logica, ad esempio esentando del tutto i veicoli al di sotto di una determinata soglia di emissioni inquinanti. La riforma più radicale, tuttavia, consisterebbe nel trasformare le attuali imposte di fabbricazione sui combustibili per autotrazione in una tariffa per l’uso delle infrastrutture stradali, nell’indirizzarne in maniera diretta il gettito alla manutenzione e miglioramento qualitativo e quantitativo della rete stradale (ma l’attuale gettito basta anche per le altre reti di trasporto) e nell’introdurre meccanismi di mercato per ottenere un efficiente impiego di tali risorse. Su questa proposta ritornerò in un prossimo contributo.