A cosa serve lo scambio di partecipazioni in grandi imprese pubbliche previsto prossimamente tra Cassa Depositi e Prestiti da un lato e Ministero dell’Economia e Finanze dall’altro? La Cassa Depositi ha infatti deliberato di cedere all’Economia alcune sue partecipazioni, in particolare il 17% detenuto in azioni Enel, il 35% di Poste Italiane e il 50% della holding di controllo di St-Microelectronics; in cambio riceverà dal Ministero circa il 7% di azioni Eni della quale attualmente detiene già il 10%, mentre il Ministero di Tremonti ne possiede la quota di maggioranza relativa, pari al 20%.

Al termine di questi passaggi, il controllo delle aziende pubbliche coinvolte rimarrà saldamente in mani statali e il mercato non vedrà neppure un’azione in più disponibile per eventuali investitori privati interessati. Nello stesso tempo, ai fini del controllo di queste aziende, non vi saranno differenze significative se dopo il passaggio il Ministero avrà un partecipazione più consistente di prima oppure sarà la Cassa Depositi e Prestiti a ritrovarsi in questa situazione. Infatti la Cassa è saldamente controllata dal Ministero che detiene il 70% del suo capitale (il 30% fu invece ceduto alcuni anni fa ad un pool di Fondazioni bancarie) e tutte le decisioni rilevanti sulle imprese partecipate anche dalla Cassa sono prese dal Ministero di via XX settembre.

A questo punto il lettore avrà capito ben poco se non il fatto che il mercato è tenuto saldamente al di fuori di tutta questa storia, in linea col dichiarato antimercatismo di Giulio Tremonti. Conviene quindi ricordare che lo swap azionario appena illustrato risponde all’esigenza, in realtà puramente formale (e quindi pienamente coerente col gattopardismo del settore pubblico italiano il quale riesce sempre a riprendersi gli spazi che finge di liberare), di rispondere a un provvedimento dell’Autorità antitrust.

Il Garante della concorrenza aveva infatti criticato il fatto che la Cassa fosse azionista di controllo di Terna, l’azienda che gestisce la grande rete elettrica nazionale, e nello stesso tempo azionista di rilievo di Enel, principale operatore elettrico nazionale, che è il maggiore utente di quella rete per la trasmissione di energia in concorrenza con gli altri operatori presenti in un mercato ormai liberalizzato.

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Valutando l’esistenza di un possibile conflitto di interessi in capo alla Cassa, l’Autorità con un provvedimento già di alcuni anni fa chiese le chiese di rinunciare a una delle due partecipazioni, dando due anni di tempo per realizzare l’operazione. I due anni sono scaduti nel luglio 2009, ma è stata concessa una proroga annuale, in via anch’essa di esaurimento, in considerazione della crisi economica e della debolezza dei mercati finanziari.

 

Ora che Cassa e Ministero riusciranno ad adempiere, seppure solo formalmente, a questa richiesta, non riusciamo tuttavia a vedere quali problemi potranno essere risolti o anche solo attenuati mentre risultano ben evidenti tutti quelli, piccoli e grandi, che permarranno anche in seguito. Proviamo a illustrarli brevemente partendo dai minori e in direzioni dei maggiori.

 

1. Dopo lo swap il Ministero controllerà saldamente Enel, il principale operatore elettrico, in via diretta mentre controllerà saldamente Terna, gestore della rete, seppure in via indiretta, attraverso il controllo della Cassa.

 

2. Dopo lo swap la Cassa sarà il primo azionista di Eni, la quale controlla Snam rete gas, che è l’azienda equivalente a Terna per il settore del gas. In questo caso non è stata attuata neppure una separazione proprietaria formale e il principale operatore nazionale, l’Eni, controlla direttamente tutte le infrastrutture essenziali al settore. Il mercato del gas, inoltre, risulta molto più concentrato di quello elettrico e l’effettiva apertura alla concorrenza molto meno realizzata a causa della più consistente posizione dominante dell’Eni, messa ripetutamente in evidenza e contestata con impegno, ma sinora senza grandi successi, dal regolatore di settore, l’Autorità per l’energia elettrica e il gas.

 

3. Corre voce che la Cassa sarà utilizzata per risolvere un’altra grana antitrust, questa volta proveniente dalla Commissione europea. L’Eni è stata infatti oggetto di un provvedimento per abuso di posizione dominante in relazione al gasdotto europeo Tag rispetto al quale si è impegnata a cedere la sua quota proprietaria a un soggetto italiano. Sembra che tale soggetto debba essere proprio la Cassa che si ritroverebbe così a essere sia il principale azionista di Eni, sia, in via “separata” da Eni, quello del gasdotto Tag. Si accontenterà la Commissione Ue. di questa ennesima soluzione all’italiana? Ne dubitiamo.

 

4. Vi sono altri comparti delle public utilities, diversi da quelli energetici, nei quali la proprietà pubblica delle reti convive infelicemente (per i consumatori e per gli operatori concorrenti) con la proprietà pubblica degli operatori dominanti che usano le reti per erogare i servizi. Un esempio è il trasporto ferroviario per il quale FS, posseduta al 100% dal Ministero dell’Economia, possiede a sua volta al 100% sia RFI, la società che possiede e gestisce la rete, sia Trenitalia, operatore dominante nel segmento passeggeri a lunga distanza e nel segmento merci e operatore esclusivo nel trasporto regionale.

 

Dal prossimo anno sulla rete ad alta velocità opererà anche la nuova azienda NTV, Nuovo trasporto viaggiatori, promossa da Montezemolo, Della Valle e Sciarrone. Questa azienda userà la rete di proprietà di RFI-FS, pagando una tariffa di utilizzo, e opererà in concorrenza con Trenitalia-FS. L’intero settore, inoltre, sarà regolato non da un soggetto indipendente, come nel caso dei due mercati energetici, ma dal Ministero dei trasporti. Siamo proprio sicuri che questo sia un assetto condivisibile dal punto di vista delle tutela della concorrenza e della tutela del consumatore?

 

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Un caso per diversi aspetti simili, salvo il fatto che qui non c’è la rete fisica, è il mercato postale. Dal prossimo 1° gennaio sarà completamente liberalizzato (per iniziativa europea, non italiana) e mentre nelle aree a più alta densità di popolazione e traffico postale sarà economicamente sostenibile la presenza di più operatori in concorrenza, non altrettanto si verificherà nelle aree rurali. Ma in esse occorrerà garantire tariffe di accesso in grado di far pervenire al destinatario finale corrispondenze che il mittente avrà scelto di spedire tramite un concorrente. Anche in questo caso non è stato sinora attivato un regolatore indipendente del settore.

 

5. Le riflessioni precedenti, che riguardano singoli settori, possono tuttavia essere generalizzate all’insieme delle utilities: nel momento in cui soggetti privati dimostrano di poter operare efficacemente e profittevolmente, realizzando vantaggi per se stessi e per i consumatori, in mercati ora aperti alla concorrenza ma in precedenza oggetto di monopoli pubblici, è evidente che si realizza una sconfessione del precedente modello pubblicistico: non solo la proprietà pubblica dell’operatore del servizio non è più necessaria per il benessere del consumatore, ma si rivela controproducente, perché induce lo stato azionista a favoritismi nei suoi confronti, alterando la concorrenza. La proprietà pubblica dovrebbe quindi essere limitata alle reti e i servizi, invece, restituiti al mercato.

 

6. Ma sulla necessità della proprietà pubblica delle reti siamo poi così sicuri? Vi è davvero il rischio che proprietari privati possano deciderne un uso incompatibile col benessere collettivo e che tale uso non possa essere contrastato da una regolazione di settore efficace? E se poi la proprietà delle reti dovesse cadere nelle mani di soggetti non nazionali? Sradicherebbero forse le reti per trasportarle a casa loro? Davvero improbabile. Cercherebbero di continuare a utilizzarle per realizzare profitti e i profitti li ottengono mettendole a disposizione dei consumatori nazionali, esattamente come prima.

 

Vi sono diversi esempi a dimostrazione di questa tesi: (a) negli Usa le reti infrastrutturali non sono mai state di proprietà pubblica e non risulta che i consumatori né l’interesse nazionale ne abbiano sofferto; (b) in Italia le reti di comunicazione telefonica radiomobile sono di proprietà dei relativi operatori, tutti meno uno a controllo straniero: non risulta che le utilizzino diversamente da quest’ultimo; perché dovremmo pensare che per la rete fissa dovrebbe avvenire qualcosa di differente?

 

Si perviene in tal modo a una riflessione conclusiva: siamo sicuri che sia meglio continuare a (tar)tassare cittadini e imprese con una fiscalità stellare e a tagliare la spesa pubblica per servizi che il mercato non può fornire per continuare a permettere che il settore pubblico continui a fare l’azionista di controllo di imprese che, vendendo servizi sul mercato, potrebbero essere tranquillamente restituite al medesimo?