Qualora ci fosse stato bisogno di un’autorevole conferma internazionale che la politica economica dell’Italia è completamente sbagliata e l’Agenda Monti da rottamare, per usare una parola in voga di questi tempi, essa è ora pervenuta con le previsioni autunnali sulle principali economie mondiali pubblicate dall’Ocse martedì 27 novembre. Ma il lettore che desideri leggere la stroncatura delle scelte italiane nei documenti originali dell’Ocse non la troverà nei testi scritti in inglese, i quali appaiono qua e là edulcorati (forse perché limati in collaborazione col Governo italiano?), bensì nei numeri riportati nella tabelle, i quali raccontano la nuda verità sull’economia italiana. Partiamo però dall’analisi del sommario della scheda previsiva sul nostro Paese:



“La politica complessiva dell’Italia di riforme strutturali pro crescita e di consolidamento fiscale è ben avviata. Ciò nonostante si prevede che l’economia continuerà a contrarsi nel breve termine per effetto della stretta di bilancio, della debole fiducia e della stretta all’offerta di credito. La debole crescita genererà ulteriore pressione al ribasso sui salari, l’occupazione e i prezzi al consumo. Con il graduale miglioramento della competitività, della fiducia e delle condizioni finanziarie, l’economia dovrebbe tornare a crescere nel corso del 2013. La previsione assume che il Governo conseguirà i suoi obiettivi di equilibrio strutturale di bilancio nel 2013 e 2014. Tuttavia, poiché tali previsioni di crescita sono più deboli di quelle del Governo, il deficit risulta in crescita nel periodo della proiezione. Se la previsione Ocse fosse realizzata, un ulteriore inasprimento fiscale sarebbe necessario nel 2014 per conseguire il percorso pianificato di riduzione del debito. Le riforme del mercato dei prodotti e del lavoro che il Parlamento ha adottato nel corso degli ultimi dodici mesi sono impressionanti, ma debbono essere pienamente e coerentemente attuate affinché producano risultati”. 



Difficile, anche sforzandoci, riuscire a leggere nel testo una critica esplicita alle scelte del Governo italiano, che anzi viene apparentemente elogiato all’inizio e alla fine del testo. In Italia sarebbero state avviate politiche “impressionanti” di riforma pro crescita e di consolidamento fiscale. Peccato, tuttavia, che le prime siano solo agli inizi e quindi debbano essere “pienamente e coerentemente attuate affinché producano risultati” e peccato, soprattutto, che le seconde abbiano prodotto contrazione economica, indebolimento della fiducia e pressioni riduttive su occupazione e salari.



Tuttavia questo nesso causale non viene esplicitato nel testo di sintesi della scheda sull’Italia. Restano però tracce evidenti delle conseguenze delle scelte fiscali recessive sui numeri delle principali grandezze macroeconomiche, questi davvero impressionanti. Cominciamo a vedere il Pil e le sue componenti nei dati previsivi Ocse per il triennio 2012-14 (tabella a fondo pagina):

1 – Il Pil reale si riduce del 2,2% nell’anno in corso e di un ulteriore 1% il prossimo per un totale di -3,2%. Solo nel 2014 accennerebbe a una timidissima ripresa.

2 – La recessione è interamente imputabile alla caduta della domanda interna: -3,6% quest’anno che diventa -4,6% se si include la riduzione delle scorte; -1,9% il prossimo anno per un totale nel biennio di -6,3%.

3 – Tutte le componenti della domanda interna sono in calo nel biennio 2012-13: i consumi pubblici dell’1,4% complessivo, i consumi privati del 4,3% e gli investimenti fissi lordi addirittura del 12,9%! Come potrà il nostro sistema produttivo ritornare competitivo dopo tale calo? Solo l’export, congiunto al crollo delle importazioni, ci salva da possibili esiti ben peggiori.

Quali sono le conseguenze di tali dinamiche sul mercato del lavoro? E quelle sui conti pubblici? Molto semplici. In relazione al mercato del lavoro l’occupazione totale si contrarrà in ognuno dei prossimi due anni dopo averlo già fatto nel 2012, le retribuzioni restano praticamente ferme per tutto il triennio, mentre il tasso di disoccupazione sale dall’8,4% che il precedente Governo aveva lasciato in eredità ai tecnici sino all’11,8% del 2014, quasi tre punti e mezzo in più, il 40% in più del dato di partenza.

E sulla finanza pubblica? Il disavanzo è previsto al 3% del Pil quest’anno, al 2,9% il prossimo e al 3,4% nel 2014. Il Governo lo prevede al 2,6% quest’anno nell’aggiornamento al Def di settembre scorso, ma lo prevedeva invece all’1,2% nella relazione al Parlamento del dicembre 2012, dopo aver realizzato la terza manovra dal nome profetico di “salva-Italia” (i dati sono riassunti nella tabella a fondo pagina).

Cosa implica una previsione Ocse al 3%? Tradotta in cifre vuol dire un disavanzo di 47 miliardi di euro. Il Governo lo prevede ora a 41, ma a dicembre scorso, dopo la manovra “salva-Italia” che aggiunta alle due precedenti di Tremonti correggeva la finanza pubblica italiana per 49 miliardi nel 2012 e 81 nel 2014, dichiarava in Parlamento che non avrebbe superato i 20 miliardi. Tutti quelli che mancano, come abbiamo evidenziato la settimana scorsa, se ne sono andati con la recessione economica prodotta dalla stretta fiscale, totalmente sottovalutata e imprevista dai tecnici che l’hanno realizzata.

Come conseguenza della mancata riduzione del disavanzo pubblico, il rapporto debito/Pil continuerà a crescere sino a valori mai registrati nella storia della Repubblica e visti in un solo periodo storico: quello del Regno d’Italia. Già nel solo 2012 del Governo tecnico, il rapporto sale di ben sette punti percentuali in un solo anno: dal quasi 121% del 2011 al quasi 128%. E l’anno prossimo sfonderà il 130% per portarsi nel 2014 al 132%. Per trovare un anno nella storia d’Italia in cui raggiunse e superò tale valore bisogna andare molto indietro nel tempo, a tempi molto difficili e portatori di grandi guai: il 1919 e anni seguenti. Quello fu l’unico periodo dall’unità d’Italia a oggi in cui si raggiunsero valori altrettanto elevati (si veda al proposito il grafico a fondo pagina), e cosa successe dopo è ben noto.

 

 

Ma ritorniamo all’attualità. L’Ocse certifica, senza dichiararlo esplicitamente con le parole ma solo con i numeri, il totale fallimento delle manovre dello scorso anno, confermando ciò che avevamo già scritto su queste pagine. Nel secondo semestre 2011 sono state fatte manovre con effetti pari a tre punti di Pil nel 2012, che a partire da un disavanzo del 3,8% del Pil nel 2011 lo avrebbero fatto scendere solo al 3% (secondo l’Ocse, molto meno secondo noi). Nel 2014 le tre manovre impattavano per ben 5 punti di Pil, ma il disavanzo, partendo dal 3,8% del 2011, sarà invece del 3,4% secondo l’Ocse. Il miglioramento è dunque di 0,4 punti di Pil, meno di un decimo dei 5 punti previsti.

Morale della favola? Il Governo tecnico ha perseguito il pareggio del bilancio senza preoccuparsi dell’effetto recessivo della stretta fiscale (e delle sue conseguenze sulle famiglie). Come si legge nella scheda sull’Italia del rapporto Ocse, “il consolidamento fiscale di quasi tre punti di Pil ha indebolito la domanda domestica e i consumi privati sono caduti al tasso più elevato dalla Seconda guerra mondiale”. Peccato che in tal modo non vi sia più stato alcun consolidamento fiscale. Con la manovra il Governo ha prodotto una grande recessione senza conseguire alcun miglioramento significativo dei conti pubblici.

Erano necessari dei tecnici per ottenere simili risultati? Credo di sì. Infatti, un Governo politico, di qualunque colore potesse essere, avrebbe tenuto in conto gli effetti sui suoi cittadini nonché elettori. Il timore di perdere consenso lo avrebbe certamente frenato. E inoltre avrebbe avuto contro molti organi di stampa, quelli dell’opposizione almeno, e forse diverse manifestazioni di piazza. Invece ora quanti giornali (e quanto) hanno in questi giorni correttamente informato i loro lettori sulle conseguenze dei numeri sull’Italia pubblicati dall’Ocse?