Nelle scorse settimane ci siamo occupati di pressione fiscale in Italia mettendone in evidenza l’abnorme crescita che ha contribuito a riportare il Paese in recessione e ad accentuarne la gravità rispetto al resto dell’Europa. Al fine di rimarcare meglio la crescita inopportuna della pressione fiscale in tempi di crisi abbiamo usato anche un diverso modo di misurarla, chiamandolo pressione fiscale “incrementale”. Mentre la pressione fiscale normalmente utilizzata nei confronti temporali e tra paesi diversi è semplicemente il rapporto tra il gettito fiscale (tributi totali e contributi sociali versati in un anno al fisco) e il Prodotto interno lordo, la pressione fiscale “incrementale” mette a rapporto l’aumento di gettito fiscale da un periodo a un altro con la variazione del Pil che si è verificata nel medesimo intervallo di tempo. Essa risponde alla domanda: “Quanto del maggior Pil prodotto è stato assorbito dal maggior gettito fiscale?”.
La rilevanza di questo quesito è facilmente spiegabile se passiamo da un punto di vista macro a uno micro: quello di un singolo operatore economico “tipo”. Immaginiamo che il nostro operatore nell’anno 2011 abbia prodotto per 1000 euro e nell’anno 2012 per 1100. Sarà ovviamente molto interessato a sapere alla fine dell’anno quanto dei 100 euro in più prodotti gli rimarranno a disposizione. Immaginiamo che egli scopra che non gli resterà proprio nulla perché nell’anno il governo gli ha aumentato le tasse esattamente di 100 euro. Secondo voi lettori, sarà interessato l’anno successivo a darsi da fare per produrre, ad esempio, per 1200 euro? Chi scrive teme proprio di no. Ma allora è evidente che, generalizzando il comportamento del nostro operatore economico tipo a tutti gli operatori, il Pil non potrà più crescere.
Due settimane fa, esaminando un periodo di tempo abbastanza lungo (gli ultimi sette anni, dal 2005 al 2012 che sta per chiudersi) nel quale l’Italia è stata governata prima dal centrosinistra, poi dal centrodestra e quindi dal governo tecnico in carica, abbiamo scoperto che il Pil nominale del nostro paese è aumentato di 128 miliardi mentre il gettito fiscale è cresciuto di 124 miliardi, per cui il maggior gettito risulta aver assorbito il del maggior Pil. Siamo quindi molto vicini all’esempio, all’apparenza assurdo, del 100% di maggior prelievo utilizzato prima.
La settimana scorsa abbiamo invece scoperto qualcosa di anche peggiore. Ci è infatti venuto in mente che poiché il Pil stimato dall’Istat è la somma di una componente emersa e di una sommersa, allora anche la variazione nel tempo del Pil sarà scomponibile nella variazione della componente emersa e in quella del sommerso. Ma poiché il sommerso economico, come ricordato dallo stesso Istat, “deriva dall’attività di produzione di beni e servizi che, pur essendo legale, sfugge all’osservazione diretta in quanto connessa al fenomeno della frode fiscale e contributiva”, è evidente che i nostri calcoli sulla pressione fiscale dovremmo più correttamente farli riferendoci solo al Pil emerso. E avendoli dunque rifatti in base a queste nuove considerazioni abbiamo scoperto che in Italia dal 2005 al 2013 (con i dati 2012 e 2013 previsti dal governo nel recente aggiornamento al Def) il Pil nominale risulterà essere aumentato di 146 miliardi di cui 25 imputabili alla crescita del sommerso (nell’ipotesi molto prudenziale che il peso del sommerso non sia cresciuto durante la recessione). L’aumento di Pil non sommerso si limita in conseguenza a 121 miliardi a fronte di una crescita del gettito fiscale nello stesso periodo di ben 141 miliardi. Abbiamo dunque scoperto che nel 2013, se si confermeranno le previsioni del governo, “il maggior gettito risulterà aver assorbito il del maggior Pil non sommerso formatosi negli ultimi 8 anni”. Forse una spiegazione valida del perché l’Italia non appare più in grado di crescere da molto tempo l’abbiamo trovata.
Arrivati quindi alla terza puntata della nostra indagine, ci chiediamo che cosa abbiano fatto in tema di pressione fiscale gli altri paesi europei, in primo luogo quelli che la crescita continuano ad avercela. E il primo di essi non può che risultare la Germania guidata da Angela Merkel, la quale impone un rigido rigore fiscale a tutti (gli altri) paesi dell’Eurozona. Sappiamo che Monti segue Merkel sulla strada delle tasse da essa indicata. Siamo però sicuri che Merkel abbia preceduto Monti sulla stessa strada?
Svolgiamo anche per la Germania gli stessi calcoli già fatti per l’Italia per il periodo dal 2005 a oggi. Da Eurostat sappiamo che nel 2005 la pressione fiscale (quella tradizionale: gettito in % del Pil) era molto simile in Italia (meno del 41%) e in Germania (40%). Anche la crescita economica era stata molto simile e molto debole nei due paesi negli anni precedenti: circa l’1% in media all’anno nel quinquennio precedente in entrambi. Cosa è avvenuto dal 2005 a oggi nei due paesi? Per l’Italia già lo sappiamo dalla nostra prima puntata: dal 2005 al 2011 (governi politici di Prodi e Berlusconi) il Pil nominale è aumentato di 144 miliardi e il gettito fiscale di 96 miliardi. Il maggior gettito ha quindi assorbito il del maggior Pil, valore destinato a salire al 97% se includiamo il 2012. In Germania, invece, il Pil nominale è aumentato di 328 miliardi e il gettito fiscale di 133 miliardi. Il maggior gettito ha quindi assorbito qualche decimo in più del del maggior Pil, una percentuale simile alla pressione fiscale dalla quale la Germania era partita. In sintesi, in Germania non vi è stata alcuna accentuazione della pressione fiscale negli ultimi anni, pur non essendosi verificato neppure un alleggerimento.
La nostra scoperta può sembrare ovvia: la Germania non aveva alcune esigenza di inasprire le tasse in tempo di crisi dato che, a differenza dell’Italia, era entrata nella fase recessiva con un bilancio pubblico in pareggio e con un rapporto debito/Pil in alcun modo problematico. Tuttavia, è evidente che Merkel ha indirizzato Monti su una strada che lei non aveva necessità di seguire e che non ha seguito. Non facendolo ha tuttavia ottenuto un risultato molto interessante per il suo Paese: nonostante la recessione del 2009, intensa nel caso tedesco per l’elevato peso del manifatturiero, il Pil della Germania risulta essere cresciuto nell’ultimo quinquennio (2006-11) del 6,3%, un punto in più del quinquennio precedente. Invece, in Italia nell’ultimo quinquennio si è ridotto del 2,8% a fronte di una crescita del 5,4% in quello prima.
Merkel non ha seguito la strada sbagliata che ha indicato a Monti e il suo Paese è cresciuto lo stesso, nonostante la pressione fiscale sia rimasta stabile, mentre in tempo di crisi poteva risultare ragionevole abbassarla. Cosa sarebbe successo se la Germania avesse abbassato la pressione fiscale, potendoselo permettere data la solidità della sua finanza pubblica? Non possiamo saperlo con esattezza, ma di certo avrebbe stimolato l’intera economia europea, attenuando il suo enorme attivo commerciale, e migliorato le condizioni economiche dei paesi europei “periferici”, quelli in maggiore difficoltà.
In Europa, un Paese interessante in cui le aliquote fiscali sono state ridotte, la pressione fiscale è sensibilmente diminuita e la crescita è rapidamente ripartita esiste e si può osservare con facilità. Per nostra sfortuna si chiama Svezia e non Germania. Infatti, la Svezia non può essere il locomotore del treno europeo, mentre la Germania potrebbe ma il suo macchinista non lo desidera. Aggiungiamo allora la Svezia alla nostra analisi, trasformandola in confronto a tre paesi: chi ha aumentato le tasse (Italia), chi non le ha aumentate (Germania) e chi le ha diminuite (Svezia).
La Svezia ha una tradizione di elevato peso dello Stato nell’economia, sistema di welfare efficiente ma molto esteso e oneroso, alta pressione fiscale. All’inizio del decennio 2000 la pressione fiscale era attorno al 50% e pur essendosi attenuata negli anni successivi nel 2006 era ancora al 48,5%. Cosa è avvenuto dopo il 2006? Semplicemente che il nuovo governo liberal-conservatore, succeduto ai socialdemocratici, ha puntato su politiche di più consistente attenuazione della pressione fiscale che hanno prodotto risultati interessanti negli anni post-recessione.
A quale livello si è attestata la pressione fiscale “incrementale” in Svezia? Quanto della crescita del Pil dell’ultimo quinquennio si è trasformato in maggior gettito fiscale? I conti sono presto fatti: dal 2006 al 2011 il Pil svedese è cresciuto di 550 miliardi di corone (corrispondenti a circa 50 miliardi di euro) mentre il gettito fiscale è aumentato di 138 miliardi di corone. Il fisco svedese si è dunque preso solo il del maggior Pil che si è formato in questo periodo. E l’economia svedese è cresciuta dell’8% nel medesimo periodo. La pressione fiscale, tradizionalmente calcolata, è scesa di quasi quattro punti percentuali forando il “pavimento” del 45%. Nel 2012 sarà inferiore a quella dell’Italia. Nel solo biennio post-recessione (2010-11) l’economia svedese è crescita dell’11%, quella tedesca del 7%, quella italiana del 2%. Forse qualche esempio sulla strada giusta da prendere potremmo prenderlo.
Il Pil di Italia, Germania e Svezia (Indici 2000=100)