L’Euroarea a guida Merkel, più sinteticamente Merkelarea, assomiglia sempre di più a un specie di “Aereo più pazzo del mondo” nel quale i sottoposti di un comandante miope, probabilmente divenuto tale senza accorgersene (miope intendo, non comandante) e senza che nessuno abbia avuto il coraggio di dirglielo, ne eseguono pedissequamente, ma senza dimostrare di crederci, gli ordini che si riveleranno fallimentari. Una specie di quarto reich, tuttavia interpretato dalla famiglia comica dei fratelli Marx.
L’esempio più clamoroso, tra i protagonisti di questo dramma farsesco, è quello della Grecia. A forza di seguire le ricette di austerità provenienti da Berlino, ovviamente in aggiunta ai numerosi problemi interni, il suo Pil è in contrazione da ormai cinque anni. A fine 2012 risulterà più basso di oltre un sesto, probabilmente di un quinto, rispetto al dato del 2007, l’ultimo anno prima della grande recessione internazionale. Non credo che da quando è stata scoperta la politica economica qualche altro Paese sia riuscito a perdere così tanto per ragioni diverse da eventi bellici.
Rispetto alla Grecia vanno un po’ meno peggio il Portogallo, che alla fine di quest’anno risulterà aver perso, sempre rispetto al 2007, il 7% di Pil reale, l’Italia con un -6% e la Spagna con un -3%. Dal punto di vista della crescita, ma è più corretto dire della recessione, la Spagna sembra messa meno peggio degli altri paesi periferici dell’Europa, ma non dobbiamo trascurare che il nuovo premier Rajoy è stato obbligato a realizzare tre dure manovre in soli cinque mesi di governo per complessivi 40 miliardi di euro.
È l’esatto copione già sperimentato in Italia da luglio a dicembre 2011, con Tremonti prima e con Monti dopo. Anche la dimensione complessiva dell’insieme di manovre spagnole è molte simile a quella delle manovre italiane, una volta ponderata per le dimensioni del Paese. È quindi probabile che quel -3% complessivo in cinque anni che si ottiene sommando ai dati degli ultimi quattro anni le previsioni dell’Unione europea per il 2012, tuttavia formulate senza tener conto della totalità delle manovre di Rajoy, si rivelerà alla fine ottimistico e sarà più probabilmente un -4%.
E a cosa servono tutte questa manovre recessive in paesi che hanno già problemi di assenza crescita e di elevata disoccupazione? Secondo l’approccio della Merkel, fatto proprio dall’intera Euroarea, a ridurre il disavanzo pubblico degli stati sino a pervenire in pochi anni al pareggio del bilancio, grazie al quale il debito degli stati smetterà di crescere in valore assoluto e si ridurrà progressivamente in rapporto al Pil. Verrebbe rimosso in tal modo uno dei principali problemi di (mancata) convergenza economica che hanno continuato a interessare la finanza pubblica dei diversi paesi anche dopo la loro ammissione all’euro.
A questo punto non ci resta che andare a vedere di quanto si ridurrà nei diversi paesi il rapporto debito/Pil grazie alle severe politiche di austerità indotte dal cancelliere Merkel. E scopriamo così che esso non si ridurrà proprio, ma continuerà invece a crescere. Ad esempio, in Spagna è atteso quest’anno avvicinarsi all’80% dal 68,5% del 2010. Questo fenomeno si verifica non solo per il fatto ovvio che nel 2012 in nessuno di questi paesi vi sarà pareggio di bilancio e che, anzi, essi si trovano tutti, tranne l’Italia, su valori molto distanti. Ma anche se per miracolo essi dovessero chiudere in pareggio, il rapporto debito/Pil continuerebbe a salire. E possiamo quindi concludere che l’auspicato (dalla rigorista Merkel) pareggio di bilancio e conseguente arresto della crescita del valore assoluto del debito non è in alcun modo condizione sufficiente per fermare la crescita del rapporto debito/Pil. Bisogna infatti essere anche certi che il Pil che sta al denominatore non si riduca.
Si scopre in questo modo il difetto visivo che interessa il cancelliere Merkel: una miopia selettiva che si manifesta solo di fronte alle frazioni e che impedisce di vedere il denominatore, mentre il numeratore resta perfettamente a fuoco. Un vero caso di oculistica, più che di economia. Mettiamo allora a fuoco il denominatore: è il Pil nominale ed esso varia sia in funzione delle dinamiche del Pil reale (quantità di beni e servizi prodotti nel sistema economico), sia del deflatore (dinamiche dei prezzi dei medesimi). In Italia, ad esempio, il Pil nominale nel 2011 è cresciuto dell’1,7% attestandosi a 1580 miliardi rispetto ai 1554 dell’anno precedente. Di questa crescita il Pil reale risulta responsabile solo dello 0,4% mentre il deflatore del Pil ha determinato il restante 1,3%. Nel 2012 siamo tuttavia in recessione e la previsione Ue per l’Italia è di una riduzione del Pil reale dell’1,3%. Cosa succede se il Pil reale registrerà un -1,3% e il deflatore ancora un +1,3%? Semplicemente che il Pil nominale resterà invariato. Se invece la recessione si rivelerà, come è probabile, più grave allora il Pil sarà destinato a ridursi anche in termini nominali. Ad esempio, con un -2% di Pil reale e un +1,3% di deflatore, il Pil nominale si ridurrebbe dello 0,7%. E se anche il nostro bilancio pubblico del 2012 fosse per miracolo in pareggio il rapporto debito/Pil continuerebbe a salire.
Per gli altri paesi di cui abbiamo parlato andrà anche peggio: per la Grecia la previsione Ue. è di un calo del Pil reale del 4,4% nel 2012 e per il Portogallo del 3,3%. La variazione di segno positivo del deflatore compenserebbe solo in minima parte queste cadute, lasciando che anche il Pil nominale si riduca. Pertanto neanche un miracoloso pareggio di bilancio fermerebbe in questi paesi la crescita del rapporto debito/Pil. La situazione delle Spagna è meno certa: l’Ue prevede un calo reale solo dell’1% nel qual caso è improbabile che il Pil nominale si riduca. Ma siamo sicuri che il Pil spagnolo si ridurrà solo dell’1% dopo tutte le cure alla Tremonti che la Merkel ha imposto a Rajoy?
Possiamo a questo punto pervenire a una riflessione di sintesi. I contabili della Merkelarea ritengono che per arrestare la pericolosa crescita del rapporto debito/Pil nei paesi più problematici occorra fermare la crescita del debito, variabile che sta al denominatore del rapporto, attraverso il perseguimento del pareggio di bilancio. Così facendo trascurano tuttavia l’interdipendenza tra numeratore e denominatore e non colgono, o comunque non considerano, l’effetto pericolosamente riduttivo che le manovre di finanza pubblica fatte al piano di sopra della frazione generano inevitabilmente sulla variabile che sta al piano di sotto.
Gli stati europei alle prese con un elevato debito pubblico assomigliano sempre più a degli equilibristi di circo che devono percorrere un filo sottile. La pluriennale recessione economica ha assottigliato il filo che li sostiene (il Pil) e nello stesso tempo ne ha accresciuto il peso (la consistenza del debito). La ricetta della Merkel consiste nel fermare bruscamente la crescita del peso dell’equilibrista nonostante in questo modo si rischi di far assottigliare ulteriormente la corda. È una strategia sbagliata perché accresce pericolosamente il rischio di rottura. Quella corretta è l’opposto: irrobustire la corda di sostegno anche a costo di accettare che il peso sostenuto continui a crescere, purché ciò si verifichi a una velocità più bassa.
Nel frattempo si deve tuttavia chiedere all’equilibrista di privarsi di oggetti non necessari che continua a mantenere ostinatamente su di sé, di alleggerirsi di elementi che lo zavorrano. Se ritorniamo dalla metafora alla realtà si tratta semplicemente di alleggerire il peso del settore pubblico e attenuare il debito cedendo asset patrimoniali quali immobili e imprese pubbliche. Privatizzazioni che accrescono l’area del mercato al posto di tasse che la riducono. Ma di questa necessità nessuno parla.