In conseguenza di indagini della magistratura che hanno per oggetto ipotesi di reati economici per i quali sono indagati esponenti e intermediari di istituzioni ospedaliere e fondazioni sanitarie private, la sanità lombarda è da diverse settimane sotto i riflettori dei media. È pertanto normale che i cittadini lombardi, e tra essi i lettori de Il Sussidiario, si pongano accanto a domande specifiche sui casi messi in luce, alle quali solo le indagini della magistratura potranno dare risposta, quesiti più generali sulla validità e sulla performance del servizio sanitario della nostra regione del quale siamo stati sin qui abituati a considerare positivamente qualità e capacità di attrazione al di fuori della Lombardia. Vi è infatti il rischio che le recenti vicende, che nulla hanno a che vedere col funzionamento delle prestazioni sanitarie e i relativi sistemi di finanziamento pubblico, erogazione e controllo, possano riverberarsi negativamente e ingiustificatamente sull’intero sistema sanitario regionale.
Ad esempio, poiché il sistema sanitario lombardo fa maggiore affidamento rispetto ad altre realtà regionali sui servizi erogati da istituzioni private in regime di convenzione, già si assiste a chi trae dalle recenti vicende senza dimostrarla la conclusione che “uscire dallo statalismo e dalla gestione pubblica di tutti i servizi porti inevitabilmente al malaffare”, come ricordato da Gianluigi Da Rold. Chi sostiene questa tesi avrebbe ragione a contestare l’attuale modello sanitario regionale anche solo nell’ipotesi di un eccesso di costi a parità di qualità o con qualità più bassa. Se invece sia i costi che la qualità fossero più alti dovremmo verificare che i maggiori costi siano giustificati dalla maggiore qualità. Infine, se i costi fossero più bassi e la qualità più alta, come abbiamo sin qui creduto e come abbiamo ovviamente il dovere di documentare, allora saremmo in grado di smontare completamente e definitivamente questo tipo di critica.
In sintesi, per capire se il nostro sistema regionale è valido e difendibile, abbiamo bisogno di documentarne quanto più oggettivamente possibile costi e qualità in raffronto alle altre esperienze regionali. A tal fine possiamo fare riferimento agli studi in tema di economia sanitaria condotti da diversi anni dal centro di ricerca Cerm diretto da Fabio Pammolli, docente di Economia e Management presso l’Università di Firenze e Direttore di I.M.T. Alti Studi Lucca.
Tra gli studi più recenti del Cerm è di particolare interesse per le nostre domande il Working Paper n. 2/2011 di Fabio Pammolli e Nicola Salerno il cui titolo è: “Le differenze regionali nella governance della spesa sanitaria”. Ci limitiamo a trarne i risultati principali per dare un’informazione essenziale al lettore senza tuttavia la possibilità, per ragioni di spazio e di complessità della ricerca, di riportarne una sintesi adeguata che renda giustizia al medesimo.
Prima domanda: i costi pro capite della sanità lombarda sono più alti o più bassi rispetto alle altre regioni?
È la domanda più ovvia: quanto costa per abitante (al netto della mobilità) la sanità lombarda? Come si colloca tale valore nel panorama delle regioni italiane?
1 – Nel 2009 lo studio Cerm evidenzia in Lombardia una spesa sanitaria corrente pro capite di 1741 euro, il 9.3% in meno rispetto al dato medio italiano che è stato di 1910 euro (pag. 19 ).
2 – Nelle media del periodo 2000-2007 il costo pro capite della sanità pubblica lombarda è stato, espresso in euro costanti 2000, di 1221 euro, il 3% in meno del dato medio italiano di 1259 euro (pag. 20). Vi è dunque un vantaggio di costo della sanità lombarda che appare essersi ampliato nel tempo (risulta maggiore nel 2009 rispetto alla media 2000-07).
3 – È interessante ricercare un dato comparabile anche più indietro nel tempo: a differenza degli anni sopra ricordati nel 1995 la Lombardia risultava avere un costo sanitario pubblico pro capite più elevato (del 2,8%) rispetto alla media nazionale (Fonte: V. Mapelli, Il sistema sanitario nazionale, Il Mulino, 1999 pag. 110). Il Grafico 1 riporta gli scarti regionali nei tre periodi considerati per tutte le regioni del nord e centro Italia.
Grafico 1 – Spesa sanitaria regionale corrente pro capite. Differenza % rispetto alla media nazionale.
Seconda domanda: e i costi pro capite “standardizzati”?
I dati precedenti appaiono decisamente favorevoli per la regione Lombardia. Infatti la spesa sanitaria pro capite risulta notevolmente più bassa rispetto alla media nazionale e inoltre tale vantaggio, che non esisteva alla metà degli anni ’90, si è accentuato nel tempo. Bisogna tuttavia considerare anche l’ipotesi che la regione Lombardia possa risultare avvantaggiata da fattori demografici o di altra tipologia, in grado di attivare una minor spesa pro capite indipendentemente dalle capacità del gestore regionale del servizio sanitario. Uno di questi fattori, ad esempio, è sicuramente dato dalla minor quota di popolazione anziana o molto anziana rispetto ad altre regioni. In Lombardia, infatti, gli ultrasessantacinquenni sono il 18,9% della popolazione residente, nel nord Italia il 20,2%, in Italia il 19,1%, in Liguria che è la regione più anziana il 25,5% (studio Cerm, pag. 21). È quindi opportuno tener conto di questo tipo di fattori nello studio dei costi e stimare costi pro capite “standardizzati”.
Lo studio Cerm effettua stime con tecniche econometriche dalle quali emerge come regione più efficiente per spesa sanitaria standardizzata il Friuli, seguito da due regioni del Centro: l’Umbria e le Marche. La Lombardia, che rimane molto più efficiente della media nazionale (e anche più efficiente delle regioni del Nord), segue assieme all’Emilia Romagna le tre regioni di testa prima ricordate (nella stima preferita dagli autori dello studio la Lombardia risulta spendere 6 euro all’anno pro capite più dell’Emilia, in un’altra stima 22 euro in meno).
Il Grafico 2, ripreso dallo studio Cerm (pag. 38), riporta per ogni regione lo scarto in euro rispetto alla regione Friuli, valutata come più efficiente, sia nella spesa regionale pro capite effettiva (istogrammi verdi), sia in quella standardizzata (istogrammi rosa). Si noti come otto regioni abbiano un eccesso di spesa pro capite attorno ai 200 euro annui (in euro 2000), due regioni superino i 300 euro (Puglia e Sicilia), mentre la Campania oltrepassa i 400 euro.
Grafico 2 – Differenze nella spesa sanitaria pro capite effettiva (in verde) e standardizzata (in rosa) rispetto alla regione Friuli Venezia Giulia. Dati medi 1997-07 in euro 2000.
Terza domanda: e la qualità del servizio sanitario?
Le stime precedenti non considerano tuttavia la qualità del servizio sanitario. Potrebbe infatti accadere che una maggior spesa pro capite regionale sia in realtà giustificata da una più elevata qualità. Lo studio Cerm provvede pertanto a calcolare un indicatore sintetico di qualità del servizio sanitario (Isq), basato su oltre una cinquantina di indicatori elementari, che è riportato nel Grafico 3. Come si può osservare, la regione migliore, il cui indicatore è posto uguale a 100, è l’Umbria, ma tutte le regioni del Centro e del Nord (con l’esclusione di Liguria e Val d’Aosta) si collocano su valori superiori a 90. Esse registrano pertanto valori qualitativi molto simili. Al contrario tutte le regioni del Sud registrano valori molto bassi, compresi tra il minimo della Calabria (43) e il massimo dell’Abruzzo (62). Al Sud il servizio sanitario sembra appartenere, dal punto di vista della qualità, a un mondo a parte.
Grafico 3 – Indicatore sintetico di qualità delle prestazioni sanitarie. Umbria=100.
Quarta domanda: e i costi pro capite “standardizzati” tenuto conto anche della qualità?
La combinazione delle stime sull’eccesso di costo pro capite con i dati sui livelli qualitativi dei servizi sanitari permette allo studio Cerm di pervenire a una fotografia di sintesi molto efficace dei diversi sistemi sanitari regionali, riassumibile in poche considerazioni: “Un Paese spaccato in due parti, con il Centro-Nord su livelli di efficienza e qualità di gran lunga superiori rispetto al Mezzogiorno. Sovraspesa e bassa qualità vanno di pari passo, due facce della stessa medaglia, due espressioni interagenti di governi e di amministrazioni locali che hanno davanti ampi margini di razionalizzazione e ottimizzazione lungo entrambe le dimensioni. Il Lazio entra ‘a pieno titolo’ tra le Regioni più devianti. Nella comparazione tra aree geografiche, però, non si devono tacere i tre casi della valle d’Aosta, del Trentino Alto Adige e della Liguria (tutte e tre Regioni del Nord), dove la qualità è elevata, ma si spende troppo per ottenerla” (studio Cerm, pag. 55).
La “foto” finale dei sistemi sanitari regionali (Grafico 4) è dunque la seguente: (a) un gruppo di regioni ad alta qualità e con costi pro capite standardizzati contenuti (sono tutte le regioni del Centro e del Nord tranne Liguria, Trentino Alto Adige e Val d’Aosta); (b) un secondo gruppo di regioni, tutte del Sud e del Centro-Sud, in cui la bassa qualità si accompagna a consistenti eccessi di costo pro capite; tra esse i quattro casi più gravi di Calabria, Puglia, Sicilia e Campania.
Grafico 4 – Indicatore di qualità (Iqs) ed eccesso di spesa dei sistemi sanitari regionali.
Ringraziando il Cerm che ci ha permesso di fornire ai lettori una radiografia di sintesi molto efficace dei nostri sistemi sanitari regionali, chiudiamo questo articolo riprendendo dello studio del centro di ricerca (pag. 60) un’ultima immagine, molto efficace. È la cartina dell’Italia in cui la dimensione di ogni regione è ingrandita o ristretta in modo da rappresentare le risorse economiche pro capite che essa potrebbe liberare se producesse i servizi sanitari con costi efficienti e nello stesso tempo garantendo la qualità della regione ritenuta migliore che è l’Umbria (in tutte le regioni 12 miliardi di euro 2009).
Come si può osservare la Lombardia è presente, e ha quindi ancora qualche margine di miglioramento (circa una trentina di euro all’anno per cittadino secondo il Cerm), ma è ben poco evidente nella cartina e in ogni caso lo è molto meno rispetto a quanto non appaia sui giornali di questi giorni in tema di sanità.