Gli italiani sono chiamati alle urne tra poche settimane per esprimere le loro preferenze circa il Governo che desiderano per la prossima legislatura e sui media ferve un acceso dibattito preelettorale. Molti articoli sono dedicati a spiegare gli scontri tra i partiti, le alleanze, le scelte in tema di liste. Accanto a essi numerosi altri articoli riportano i disastrosi andamenti dell’economia: la caduta della produzione, del reddito, dell’occupazione, dei consumi. Tra le due tipologie di articoli non sembra tuttavia esservi nesso alcuno: nei primi non si imputa alle forze politiche e non si chiede conto di quanto riportato nei secondi e in questi ultimi non si evidenzia connessione alcuna con le scelte spesso sbagliate fatte in passato dalle forze politiche. Come se le due tipologie di articoli parlassero di paesi diversi e lontani.
Eppure le elezioni servono per scegliere un Governo il quale dovrà adottare delle politiche che vorrà rendere coerenti coi propri valori e le indicazioni degli elettori. Ma le politiche possibili saranno pesantemente condizionate dall’eredità economica lasciata dal precedente Governo e dalla precedente legislatura: il primo Governo nella storia della Repubblica lungo il cui mandato il Pil reale risulterà essersi continuamente ridotto, la prima legislatura che vedrà al suo termine un Pil minore rispetto all’anno in cui si era aperta.
L’eredità in grado di condizionare il nuovo Governo e la nuova legislatura concerne in primo luogo lo stato della finanza pubblica. È per l’incertezza al suo riguardo che nella seconda metà del 2011 lo spread è decollato sino a dimissionare il penultimo Governo e ad aprire la strada alla soluzione tecnica. È per mettere in sicurezza i conti pubblici che il ministro dell’economia Tremonti ha realizzato tra luglio e settembre 2011 due manovre il cui impatto già sul 2012 è stato stimato in 28 miliardi. E per le stesse ragioni il nuovo Governo Monti ha attuato nel dicembre successivo una terza manovra la quale, aggiungendo provvedimenti per ulteriori 21 miliardi, ha portato la correzione totale a 49 miliardi in un solo anno, corrispondenti a oltre tre punti percentuali di Pil. Gli effetti recessivi di questa tripla manovra già li conosciamo, dato che il calo 2012 del Pil sarà più vicino ai 2,5 punti percentuali che ai 2. E gli effetti sui conti pubblici?
Essi sono stati poco evidenziati. Eppure noi cittadini tartassati dal fisco vorremmo sapere a cosa sono serviti i nostri sacrifici, quali risultati hanno prodotto. Di quanto sono migliorati i conti pubblici 2012 a seguito della manovra? Purtroppo non abbiamo ancora i dati definitivi dell’anno e le statistiche Istat sui conti della Pubblica amministrazione in termini di competenza arrivano sino a ottobre, mentre i conti di cassa, da cui si ricava il fabbisogno, sono più aggiornati ma purtroppo discordanti tra Ragioneria Generale dello Stato e Banca d’Italia.
In assenza di dati definitivi e completi, un modo molto semplice per comprendere come stanno andando i conti pubblici consiste nell’osservare la crescita nel tempo del debito calcolata al netto della variazione dei depositi pubblici presso la Banca d’Italia e istituzioni finanziare monetarie e al netto dei prestiti del settore pubblico ad altri stati dell’Eurozona, bilaterali o via meccanismo Efsf. In questo modo si può facilmente osservare se vi è rallentamento nella crescita, stazionarietà o accelerazione. Per l’ultimo triennio i dati, di fonte Banca d’Italia, sono riportati nel grafico seguente (poiché il 2012 è noto solo sino a novembre, approssimiamo l’intero anno considerando i 12 mesi terminanti al 30 novembre 2012).
Come si può osservare:
1 – Tra novembre 2011 e novembre 2012 il debito pubblico lordo è cresciuto di 104,3 miliardi, ma i depositi presso Banca d’Italia e altre istituzioni sono cresciuti di 27,1 miliardi e i prestiti agli altri stati e i conferimenti al meccanismo Efsf di 18,6 miliardi. Al netto di tali componenti, il debito è cresciuto di 58,6 miliardi di euro.
2 – Nell’intero 2011 il debito pubblico lordo è invece cresciuto di soli 55,5 miliardi, principalmente per la difficoltà dello Stato italiano a presentarsi sui mercati con nuove emissioni dopo la crisi dello spread. Infatti, per finanziare la spesa pubblica si sono ridotti nei 12 mesi i depositi presso Banca d’Italia e altre istituzioni di 19,3 miliardi (mentre i prestiti agli altri stati sono cresciuti di 9,2 miliardi) Al netto di tali componenti, il debito è cresciuto di 65,6 miliardi .
3- Nell’intero 2010 il debito pubblico lordo è cresciuto di 79,2 miliardi, ma quello netto di 64 miliardi di euro.
Sintesi: nei 12 mesi noti di gestione Monti-Grilli, il debito pubblico netto dell’Italia, nonostante la tripla manovra 2011 da 49 miliardi nell’anno, è aumentato solo di 7 miliardi in meno rispetto all’intero anno 2011, l’ultimo a gestione Tremonti. 49 miliardi in più sono usciti dalla tasche degli italiani, ma solo 7 di essi, un settimo esatto del totale, sono pervenuti a migliorare la dinamica del debito, principalmente determinata dal fabbisogno. Gli altri sono andati in gran parte in fumo a causa delle recessione fiscale, prodotta avventatamente nell’intento di stabilizzare proprio i conti pubblici.
Soleva dire l’economista Arthur Okun che il secchio della spesa pubblica è sempre bucato: una parte delle risorse prelevate con le tasse ai cittadini si perde per strada prima di arrivare alla destinazione prevista. Anche il secchio che Monti ha utilizzato per sottrarre risorse ai cittadini in tempo di grave crisi per trasportarle nelle casse pubbliche si è rivelato bucato. Molto più del previsto, dato che ha perso per strada quasi tutta l’acqua che conteneva.
Sorge allora spontanea la seguente domanda: dati i limitati effetti delle tre ultime manovre, quali ulteriori tasse metterà e quanta ulteriore recessione creerà il Governo che uscirà dalle prossime elezioni? E, soprattutto, quale secchio utilizzerà? Lo stesso di Monti?
Date le precarie (pur se ignote ai più) condizioni della nostra finanza pubblica, le principali coalizioni politiche, quelle che hanno possibilità di competere per la formazione del Governo, si presentano di fatto alle urne con un programma unificato che è riassumibile in dieci parole: “Lo Stato è senza soldi e dunque ve li prende”.
A meno che nel frattempo cambino idea. Loro, oppure i loro elettori.