Come già accadde durante la campagna elettorale del 2008, Alitalia è di nuovo al centro del dibattito economico e politico. Nei quattro anni della nuova gestione, avviata col salvataggio governativo e l’intervento degli imprenditori “patrioti”, l’azienda ha continuato a registrare perdite e a consumare i mezzi propri che erano stati inizialmente conferiti dai soci italiani e dal gruppo franco olandese Air France-Klm. Pur non essendo ancora noti i risultati del bilancio 2012, si può stimare che siano andati sinora in fumo almeno tre quarti del patrimonio netto iniziale. Inoltre, il trimestre invernale in cui ci troviamo è tradizionalmente il peggiore per le compagnie aeree, a causa della bassa domanda stagionale, e quindi fonte di perdite ulteriori, e in Italia anche nel 2013 proseguirà la fase recessiva ampliata dalla stretta fiscale delle manovre di Tremonti e Monti.



Le prospettive per il mercato domestico italiano non sono dunque buone per i vettori che seguono il modello di business tradizionale. Windjet, il terzo vettore tricolore per numero di passeggeri, ha dovuto cessare le attività nel pieno della stagione estiva, periodo atipico per le crisi delle compagnie aeree (come se uno stabilimento balneare fallisse in agosto), e neanche Meridiana, il secondo vettore, se la passa bene, tanto che il principale azionista, il principe Karim Aga Khan, inventore della Costa Smeralda e della compagnia che un tempo si chiamava Alisarda, ha sostituito solo una settimana fa l’amministratore delegato, il comandante Giuseppe Gentile, che la guidava da poco più di anno dopo avervi conferito la sua azienda, Air Italy. Ma queste difficoltà non si estendono a tutti i vettori operanti in Italia e non derivano da una contrazione generalizzata della domanda.



Nei primi undici mesi del 2012, infatti, la domanda per voli nazionali si è contratta, per effetto della recessione economica e della crescente concorrenza del treno sulla Milano-Roma, di quattro punti e mezzo percentuali, ma la domanda per voli internazionali, che rappresenta oltre il 70% del mercato, è invece aumentata di due punti e in conseguenza la domanda complessiva risulta stazionaria (+0,2%). Peccato, tuttavia, che su questo segmento Alitalia sia debole, dato che il Piano Fenice, alla base dell’operazione combinata azionisti “patriottici”-Governo del 2008, aveva scelto di focalizzarla sul mercato domestico e sulla ricerca all’interno del medesimo di posizioni monopolistiche. È infatti poco presente nell’offerta di voli intercontinentali, gli unici rimasti remunerativi per le compagnie tradizionali, mentre sui voli europei è insidiata in maniera crescente dai vettori low cost, Ryanair e EasyJet in particolare, i quali hanno ormai occupato anche quote rilevanti dei voli domestici.



Nel 2011, ultimo anno disponibile, secondo l’annuario statistico dell’Enac, i vettori low cost hanno trasportato 11 dei 32 milioni di viaggiatori sulle rotte nazionali, quindi più di un terzo, e 36 degli 84 milioni di passeggeri sulle rotte internazionali, dunque il 43% del segmento. Se tuttavia togliamo dagli 84 milioni coloro che hanno viaggiato su rotte intercontinentali, ove i low cost non sono presenti, che sono pari a 15 milioni di passeggeri, scopriamo che i vettori low cost hanno trasportato più del 50% dei viaggiatori internazionali infraeuropei: 36 milioni su 69 milioni, quindi circa il 52%. Nel 2008, anno del salvataggio di Alitalia a spese di contribuenti, i viaggiatori low cost erano stati 7 milioni sui voli domestici e 29 milioni su quelli internazionali, per un totale di 36 milioni. In soli tre anni si è quindi verificato un aumento di passeggeri low cost pari a 4 milioni sui voli nazionali e 7 sugli altri, per un totale di 11 milioni.

Dai 36 milioni di viaggiatori totali low cost del 2008 si è dunque passati a 47 milioni, con un incremento in tre anni di oltre il 30%. E i vettori tradizionali? Sono lievemente diminuiti: 69,5 milioni totali nel 2008 e 69 nel 2011. Dunque tutto l’incremento di domanda è stato interamente soddisfatto dai vettori low cost e altrettanto è probabile si verifichi anche nel futuro. Quale spazio resta con queste tendenze per un debole vettore di bandiera?

Prima o poi, tra l’altro, il vettore Ryanair è destinato a divenire, proseguendo questo processo, il primo vettore italiano per numero di passeggeri. Nel 2011 ha trasportato in Italia più di 20 milioni di passeggeri, che sono divenuti più di 22 nel 2012 e sono previsti sopra i 24 nel 2013. Se il sorpasso non si verificherà ancora nell’anno in corso, esso è tuttavia molto probabile se non quasi certo nel prossimo anno. Ma oltre a Ryanair diversi altri vettori sono stabilmente insediati in testa alla classifica dei vettori, tanto nel segmento internazionale che in quello domestico. Qui sotto possiamo vedere i primi dieci per passeggeri trasportati nel segmento internazionale nel 2011: sono low cost oltre a Ryanair e EasyJet, rispettivamente primo e terzo, anche Wizz, Air Berlin e Vueling. Essi totalizzano complessivamente oltre 30 milioni di passeggeri contro neppure 24 dei cinque vettori tradizionali.

 

 

Anche nel trasporto nazionale, per ora saldamente presidiato da Alitalia con poco meno di 16 milioni di passeggeri su 32 dell’intero segmento, i due principali vettori low cost sono stabilmente insediati al secondo e al quarto posto, oltretutto senza risentire in alcun modo delle rilevanti difficoltà che interessano invece il primo e il terzo, le già citate Alitalia e Meridiana. Anzi, Ryanair ha da poco annunciato nuove rotte da Ciampino, da Catania e da Pisa, le quali contribuiranno ad accelerare il passo all’inseguimento di Alitalia.

I dati sopra riportati dimostrano ampiamente come fosse campato per aria il Piano Fenice per la nuova Alitalia, accolto in maniera acritica dal Governo dell’epoca, il quale confezionò anche l’abito normativo che i patrioti tricolori richiedevano. La legge salvAlitalia incluse la norma chiave del divieto all’Autorità Antitrust di occuparsi per tre anni delle numerose rotte interne che sarebbero state ricondotte a monopolio dopo l’aggregazione dell’allora secondo vettore nazionale, AirOne. Il triennio di moratoria è tuttavia scaduto nell’autunno 2011 e nell’aprile 2012 l’Antitrust ha imposto ad Alitalia di liberare, a partire dalla stagione invernale 2012-13, che è iniziata lo scorso 28 ottobre, alcuni slot a Linate sulla rotta Milano-Roma per metterli a disposizione di un secondo vettore che è stato successivamente individuato proprio in EasyJet.

Alitalia presentò tuttavia ricorso al Tar del Lazio, sostenendo che fosse sufficiente, per garantire un regime di concorrenza, quella modale del treno ad alta velocità. Il Tar tuttavia lo scorso mese di ottobre bocciò il ricorso, confermando il provvedimento dell’Autorità. Il successivo ricorso della compagnia al Consiglio di Stato aveva tuttavia portato il 19 novembre alla sospensione della sentenza del Tar, in attesa della decisione definitiva. Ieri il Consiglio di Stato ha definitivamente rigettato il ricorso, creando le premesse per l’effettivo ritorno della concorrenza su quella che era un tempo la prima rotta italiana. 

Cosa cambierà per il mercato e per Alitalia dopo questa sentenza? Per il mercato relativamente poco:

1 – Gli slot concessi al nuovo vettore sono pochi, solo sette, e la capacità di sette voli quotidiani per direzione equivale a quella di due soli treni ad alta velocità.

2 – L’appetibilità della rotta si è rapidamente ridotta negli scorsi anni in seguito al completamento della linea ad alta velocità tra Milano e Firenze. Quella che prima del salvataggio di Alitalia era la prima rotta italiana con quasi 2,5 milioni di passeggeri ha perso in pochi anni quasi un milione di viaggiatori, scendendo poco sopra 1,5 milioni e cedendo il primato alla Catania-Roma. Alitalia col monopolio ha finito col trasportare su questa rotta meno passeggeri di quanti ne trasportava quando era in concorrenza con AirOne.

3 – Il mercato si è ulteriormente modificato con il debutto del treno Italo e l’arrivo della concorrenza sulla modalità ferroviaria che ha sensibilmente ridotto i prezzi medi. Le prime informazioni disponibili sembrerebbero indicare che il successo di domanda del nuovo treno non si sia verificato a spese di Trenitalia. È dunque probabile che a rimetterci sia stata proprio Alitalia.

4 – Non è da escludersi che la crescita della domanda sulla ferrovia possa far scendere questa rotta sino a un milione di passeggeri per anno, sulla scia di quanto avvenuto per altre rotte europee che hanno visto l’arrivo della concorrenza del treno.

Di fronte a questo scenario gli azionisti di Alitalia sono di fronte a un bivio: mettere a disposizione i nuovi mezzi freschi che servono per la normale gestione dell’azienda oppure vendere. Se decidono di vendere, come probabile, non saranno tuttavia loro a decidere a chi, bensì, dato come vanno le cose in Italia, il Governo italiano. Darà il via libera all’acquisizione da parte di Air France dopo averla rifiutata cinque anni fa al costo di 4 miliardi di oneri per gli italiani e di 7mila posti di lavoro in meno? Oppure preferirà farla vendere, forzosamente, al contribuente italiano tramite qualche istituzione formalmente di diritto privato ma sostanzialmente pubblica, quale ad esempio la Cassa depositi e prestiti (vedasi al riguardo una nostra previsione di quattro anni fa)?

Tre sole cose sono certe:

1 – Per le norme europee solo un soggetto comunitario può assumere una partecipazione di controllo in un vettore comunitario;

2 – In Europa solo Air France può risultare interessata all’acquisizione;

3 – Un vettore extracomunitario potrebbe acquisire solo partecipazioni di minoranza ed è dunque difficile che si affacci un soggetto così altruista (a meno che non abbia in mente di rivendere successivamente a Air France).

E una sola cosa è invece certissima: dato il precedente di cinque anni fa, sino a quando non vi sarà un Governo che non si dimostri ostile alla soluzione francese Air France non presenterà nessuna offerta.

Alitalia è dunque destinata a volare nell’incertezza e il contribuente italiano a stazionare nella certezza che prima o poi qualcuno gli imporrà di mettere mano al portafogli. Non c’è prezzo che il decisore italiano non possa chiedere ai cittadini per difendere l’italianità del suo modo di decidere.