Non si vede ancora la luce in fondo al tunnel della recessione economica italiana. Le previsioni macroeconomiche appena pubblicate dall’Istat, in linea con quelle rese note dall’Ocse la scorsa settimana, vedono le principali variabili ancora precedute dal segno meno per l’anno in corso mentre il recupero, rinviato al 2014, appare complessivamente modesto oltre che incerto. Che dire? Esse sembrano confermare quanto abbiamo scritto in diverse occasioni: a un certo punto la caduta dell’economia finirà, se non si cadrà nell’errore di nuove manovre recessive per controbilanciare dinamiche dei saldi di finanza pubblica inevitabilmente peggiori rispetto alle previsioni. Tuttavia, e questa è l’ipotesi migliore, poi l’economia nazionale resterà ferma, senza possibilità di un recupero neppure parziale in tempi ragionevoli della crescita perduta dal 2008 a oggi.



Ma vediamo in dettaglio le previsioni Istat: nel 2013 esse vedono una riduzione del Prodotto interno lordo (Pil) pari all’1,4% in termini reali, che si aggiunge al -2,4% del 2012, per una caduta totale di quasi quattro punti percentuali (i quali si aggiungono agli oltre sei perduti nel biennio 2008-09 e solo in minima parte recuperati nel 2010-11). Nel 2014, inoltre, il recupero dell’attività economica sarebbe secondo l’Istat pari solo alla metà della riduzione del 2013. Da notare il continuo peggioramento delle previsioni Istat per il 2013 nelle successive note semestrali: esattamente un anno fa il Pil era previsto in aumento dello 0,5%, poi a novembre in riduzione dello 0,5% e infine ora in calo di quasi un punto e mezzo. Le previsioni Istat sono dunque peggiorate esattamente di un punto a semestre e ora siamo due punti percentuali al di sotto della previsione di un anno fa. Si spera ovviamente che questa tendenza al ribasso abbia fine e non veda un ulteriore gradino negativo nel prossimo autunno.



Lo scenario negativo è inoltre aggravato dall’analisi delle componenti della domanda: quelle che portano il Pil al ribasso sono interne, dipendono tutte dalle nostre scelte private e pubbliche e dalle nostre aspettative, non come nel 2008-09 da un calo congiunturale della domanda estera che prima o poi avrebbe cambiato segno. Infatti, la domanda estera netta è la principale componente di sostegno alla crescita nel 2013 e senza di essa il Pil sarebbe destinato a diminuire del 2,5% (per effetto del calo della domanda interna e della riduzione delle scorte). Lo stesso è avvenuto nel 2012: senza l’apporto della domanda estera netta il Pil si sarebbe ridotto non del 2,4% bensì del 5,4% (di cui -4,8% per effetto della domanda interna e -0,6% per la riduzione delle scorte).



È dunque evidente come il problema stia tutto nella domanda interna, prevista in calo per il terzo anno consecutivo: -1% nel 2011, -5,3% nel 2012, un valore mai visto in tempo di pace, e -2,5% nel 2013, per una riduzione complessiva nel triennio dell’8,6%. Tra le componenti della domanda interna particolarmente brutale è stato il crollo dei consumi delle famiglie: -4,3% nel 2012 al quale si aggiunge un -1,6% previsto nel 2013, per una riduzione complessiva di quasi sei punti percentuali nel biennio. Meno intenso ma più prolungato nel tempo è invece il calo dei consumi collettivi, con cinque anni consecutivi col segno meno che portano a una riduzione totale di sei punti e mezzo, persino superiore al calo dei consumi privati.

E ovviamente se i consumi privati e quelli pubblici si riducono in maniera consistente la sola domanda estera non giustifica estesi rinnovi degli investimenti. Infatti, gli investimenti fissi lordi, che non si sono mai ripresi dal declino indotto dalla recessione del 2008-09, sono previsti in calo per il terzo anno consecutivo: -3,5% nel 2013, per effetto di una riduzione congiunta sia da parte delle imprese che delle amministrazioni pubbliche, che si aggiunge al -8% del 2012 e al -1,8% del 2011. In questo caso la caduta complessiva nel triennio sfiora i 13 punti percentuali.

Inevitabile che queste dinamiche negative nelle componenti della domanda si riverberino sui livelli occupazionali, sui livelli salariali e sul tasso di disoccupazione. A fronte di salari quasi stazionari, dunque negativi in termini reali, le unità di lavoro sono attese dall’Istat in riduzione nel 2013 (-1%, valore simile a quello del 2012), mentre il tasso di disoccupazione dovrebbe pervenire dal 10,7% del 2012 all’11,9% nel 2013 e al tasso record del 12,3% nel 2014. Risulterebbe in tal modo cresciuto di quasi metà rispetto all’8,4% del 2011.

L’Istat non fornisce previsioni riguardo agli aggregati di finanza pubblica, tuttavia è evidente come le peggiori dinamiche in termini di crescita e occupazione rispetto alle previsioni del precedente governo siano destinate a riverberarsi in minori entrate fiscali, maggiori esborsi per misure a protezione dei lavoratori e conseguenti saldi di finanza pubblica meno favorevoli rispetto a quelli troppo ottimisticamente enunciati in sede comunitaria. Nel 2012 il miglioramento del rapporto deficit/Pil è stato pari a 0,8 punti percentuali, identico ai gradini di miglioramento realizzati in ognuno dei due anni precedenti. Tuttavia a differenza dei due anni precedenti esso è stato determinato dalla tripla manovra di finanza pubblica del secondo semestre 2011 il cui impatto è stato misurato in 3,2 punti di Pil. Ma 3,2 punti di manovre si sono tradotti in soli 0,8 punti di miglioramento del saldo; i rimanenti 2,4 punti si sono persi per strada, in gran parte bruciati dalla recessione economica.

Allargando l’orizzonte al 2013 non possiamo dimenticare come l’impatto totale delle manovre del 2011 salga a 4,7 punti di Pil. A fronte di tale incrementi non è invece previsto alcun miglioramento nel 2013 del rapporto deficit/Pil, destinato a rimanere al 3 o 2,9%. Ma che senso ha avuto mettere in piedi manovre per 4,7 punti di Pil per portare a casa solo 0,8 punti di minor deficit/Pil, un valore che si sarebbe egualmente ottenuto grazie a una moderata crescita economica? È evidente come il governo tecnico si sia in realtà risolto in un grade errore tecnico.

Il nuovo governo ha compreso che la rotta intrapresa da Monti era completamente errata, ma invertirla ora è estremamente più difficile rispetto a quanto non fosse sceglierne una corretta nel 2011. Bisogna invece provarci se si vuole evitare una rovina greca. Nel prossimo contributo proveremo a riprendere qualche vecchia idea al riguardo.