La spending review è divenuta inevitabilmente il perno dell’azione dell’attuale governo. Essa rappresenta il fil rouge in grado di connettere e rendere praticabili, o sul versante opposto impossibili, se non dovesse funzionare, gli interventi di politica economica per almeno il prossimo biennio. Poiché il governo si è posto l’obiettivo condivisibile e troppo a lungo rinviato dai suoi predecessori di ridurre selettivamente alcune tasse che influenzano la domanda di lavoro da parte delle imprese e la domanda di consumi, non può fare a meno della razionalizzazione e riduzione della spesa pubblica per finanziare la riduzione di gettito che, almeno in una fase iniziale, è destinata ad accompagnare il calo delle aliquote.
Sulla spending review è al lavoro dallo scorso autunno il commissario straordinario Carlo Cottarelli, che pochi giorni fa ha riferito sia in sede di commissione parlamentare che al comitato dei ministri sulle possibili linee d’intervento. Tra le voci oggetto di attenzione, e dunque di probabile decisione di razionalizzazione, vi è la spesa pubblica per alcune grandi utilities, tra le quali spicca sopra ogni altra quella destinata annualmente alle Ferrovie dello Stato. Sommando tutte le diverse e numerose voci di trasferimento pubblico risulta infatti che esse hanno beneficiato nell’anno 2012 di 7,6 miliardi di euro, in crescita rispetto ai due anni precedenti. Nel 2010 erano stati infatti pari a 5,8 miliardi e nel 2011 a 6,5 miliardi. L’incremento sottostante è stato in conseguenza del 30% in un solo biennio. È inoltre opportuno segnalare che 7,6 miliardi all’anno di spesa pubblica per le ferrovie rappresentano da soli un sesto del disavanzo dell’intero settore pubblico italiano e quasi mezzo punto percentuale del Prodotto interno lordo dell’Italia.
Poiché abbiamo maturato in passato esperienza di studio sia in tema di trasporto ferroviario che di spending review connessa alle utilities pubbliche, abbiamo deciso di dare come Dipartimento Universitario un contributo volontario di analisi all’attuale fase di ricognizione. Il lavoro di ricerca che ne è risultato è qui disponibile sul sito della ricerca dell’Ateneo di Milano Bicocca, ma proviamo a fare una sintesi dei principali risultati per il lettori del Sussidiario.
Lo studio è partito dal porre alcune domande alle quali allo stato corrente delle informazioni non erano note all’opinione pubblica e probabilmente neppure ai governi le risposte. Qual è, e qual è stato in un arco temporale ampio, l’onere complessivo per le finanze pubbliche italiane derivante dal trasporto ferroviario? È stato ed è maggiore o minore rispetto agli altri paesi, tenuto conto delle diverse dimensioni delle reti e del traffico? Si può, in un’ottica di spending review, ridurlo? I governi che si sono succeduti sono riusciti a controllare questa spesa e a indirizzarla verso obiettivi di efficienza, crescita del settore, riequilibrio modale? Quale contributo ha dato la spesa pubblica per le ferrovie alla formazione dell’alto debito pubblico italiano e al suo eccesso rispetto al limite di Maastricht del 60% del Pil?
Nel tentativo di rispondere a queste domande lo studio si è posto l’obiettivo di ricostruire i sussidi pubblici complessivi erogati nell’ultimo quarto di secolo al trasporto ferroviario in cinque grandi paesi europei: Italia, Gran Bretagna, Germania, Francia e Svezia. Obiettivo principale era di valutare la congruità dei trasferimenti concessi nel caso italiano in rapporto a casi europei confrontabili in un’ottica di contenimento e razionalizzazione della spesa pubblica, di miglioramento dell’efficienza complessiva del sistema e anche di tutela della concorrenza in un mercato che presenta, almeno da un punto di vista legislativo, segmenti pienamente liberalizzati.
La spesa pubblica ferroviaria dell’Italia nei 21 anni trascorsi dalla trasformazione di FS in società per azioni (1992-2012) è stata enorme: 207,7 miliardi di euro, di cui 84,8 di parte corrente e 122,8 in conto capitale, ricostruiti sommando i dati storici, senza alcuna rivalutazione monetaria. Essi corrispondono a una media annua di 9,9 miliardi, valore che rappresenta una quota notevole del deficit pubblico annuale dell’Italia. Nello stesso arco temporale la spesa ferroviaria francese è stata di 153,6 miliardi, ma il settore ferroviario francese è il doppio di quello italiano per dimensioni dell’infrastruttura e più che doppio per livello del trasporto passeggeri. La spesa ferroviaria britannica è stata invece di soli 69,3 miliardi di euro, un terzo di quella italiana, nonostante la rete britannica sia della stessa lunghezza di quella italiana e il traffico trasportato praticamente uguale nell’intero periodo considerato.
Nell’ultimo anno disponibile, il 2012, l’esborso totale a carico della finanza pubblica è stato di 7,6 miliardi, come già ricordato, che è molto inferiore alla media dei 21 anni, ma in crescita consistente rispetto agli anni precedenti. Con standard di sussidio britannici, calcolati nello studio in base alle dimensioni della rete e del traffico, i trasferimenti totali al trasporto ferroviario italiano sarebbero stati pari lo scorso anno solo a 3,3 miliardi, con standard francesi a 4,6 miliardi e con standard tedeschi e svedesi a 3,6 miliardi. In base agli standard medi di questi quattro paesi, l’esborso totale per la finanza pubblica italiana avrebbe dovuto essere di soli 3,8 miliardi, la metà esatta di quelli effettivamente concessi in Italia al gruppo FS.
Applicando gli standard di questi paesi a tutto il periodo 1992-2012, il sussidio totale italiano avrebbe dovuto essere di 83,2 miliardi con standard francese, il 40% del dato italiano effettivo, di 63,6 miliardi con standard britannico (il 31% del dato effettivo) e di 53,6 miliardi con standard svedese (il 26% del dato effettivo). Il valore medio del sussidio teorico, calcolato con gli standard di questi tre paesi, ammonta a 66,8 miliardi, pari al 32% del dato italiano effettivo di 207,7 miliardi.
Il confronto con gli altri maggiori paesi ci ha portato a sostenere, in sintesi, che l’attuale sussidio erogato alle ferrovie sia doppio rispetto allo standard medio europeo mentre quello complessivamente corrisposto nel periodo 1992-2012 sia triplo. Due terzi della spesa pubblica totale italiana per le ferrovie avrebbero potuto, in conseguenza, essere risparmiati seguendo scelte di erogazione simili agli altri paesi.
L’alta spesa ferroviaria italiana non può d’altra parte trovare giustificazione in maggiori investimenti italiani nelle linee ad Alta velocità: dal 1992 a oggi sono stati costruiti e messi in esercizio in Italia 700 km di nuove linee ad Alta velocità contro più di 1200 in Germania, 1300 in Francia e 1600 in Spagna, Paese tradizionalmente caratterizzato da bassi sussidi ferroviari, ma che, per carenza di dati, non è stato possibile includere in questo studio. L’alta spesa ferroviaria italiana non può neppure trovare giustificazione in una maggiore crescita dei livelli di traffico, dato che il nostro è l’unico Paese in cui, in realtà, essi si sono ridotti: dal 1992 a oggi i passeggeri km di FS sono diminuiti del 16% mentre in Germania sono cresciuti del 39%, in Francia del 45%, in Gran Bretagna, Paese oggetto dell’incisiva riforma Major a metà degli anni ‘90, dell’83% e in Svezia del 98%.
Lo studio ha inoltre provveduto a stimare il ruolo della spesa ferroviaria nella formazione dell’alto debito pubblico italiano. Se si ipotizza che tutti i trasferimenti alle ferrovie dal 1992 a oggi siano stati finanziati con debito, la componente ferroviaria dell’attuale stock di debito pubblico ammonterebbe a 388 miliardi di euro, di cui 215 per sussidi ferroviari (ottenuti sommando ai 207,7 dal 1992 al 2012 ulteriori 7 ipotizzati per il 2013) e 173 per interessi cumulati sul debito. Tale valore rappresenta il 18,8% del debito pubblico italiano lordo di fine 2013 e il 19,9% del debito pubblico calcolato al netto delle disponibilità e dei prestiti del Tesoro.
Se si ipotizza invece che la spesa ferroviaria pubblica effettivamente necessaria, calcolata in base agli standard degli altri paesi, sia stata finanziata con la tassazione e che solo l’eccesso di spesa rispetto a essi sia stato finanziato con debito, il contributo della spesa ferroviaria alla formazione del debito risulta pari a 259 miliardi, di cui 143 derivanti da eccesso di sussidi e 116 da interessi pagati sul debito contratto per finanziarli. La cifra di 259 miliardi corrisponde al 12,5% del debito pubblico italiano lordo 2013 ed al 13,3% del debito pubblico italiano netto.
Un calcolo ulteriore è quello relativo al peso del debito pubblico “ferroviario” sull’eccesso di debito pubblico italiano rispetto al livello compatibile col parametro di Mastricht, pari al 60% del Pil. Poiché il livello del debito pubblico netto 2013 di 1950 miliardi è scindibile in 934 miliardi ammessi dal vincolo di Maastricht in base al nostro Pil nominale e ulteriori 1016 miliardi “eccedenti”, di questi 1016 miliardi i 259 di eccesso di spesa ferroviaria italiana e relativi interessi rappresentano il 25,5%. Se fossero stati evitati con un’accorta politica di trasferimenti pubblici alle ferrovie oggi il rapporto debito/Pil sarebbe più basso di 17 punti percentuali.
In sintesi, se riusciamo a ricostruire con precisione i flussi dell’eccesso di spesa pubblica nel tempo riusciamo anche a comprendere le ragioni dell’attuale eccesso di debito e siamo in grado di dimostrare che hanno torto tutti coloro che sostengono che i nostri problemi di finanza pubblica sono solo frutto dell’euro, dell’austerità imposta dalla Germania e dell’eccesso di politiche “neoliberiste”. Siamo anche in grado di mettere in piedi provvedimenti seri di razionalizzazione e risparmio.