Nel precedente articolo, ho ripercorso le tappe che hanno portato Alitalia quest’anno a tornare sostanzialmente alla situazione del 2008. Rispetto ad allora vi è però un fatto nuovo molto importante: l’arrivo sulla scena di un vettore non europeo, molto ben gestito, con elevate capacità finanziarie, notevoli ambizioni di crescita, specializzato sul lungo raggio e, soprattutto, il cui hub è sufficientemente distante dal nostro da non poter essere considerato in concorrenza. Etihad non esisteva all’inizio del decennio 2000, dato che iniziò le attività di volo nel 2003 con due soli aerei. Nel 2008, l’anno della precedente crisi di Alitalia, la sua flotta aveva superato le 40 unità, un sesto dei 240 velivoli allora complessivamente in dotazione di Alitalia e dell’aggreganda AirOne. Ora sfiora il centinaio di aerei, di cui oltre due terzi a lungo raggio, e gli ordini di nuovi velivoli sono pari al doppio della flotta in esercizio.
Perché dunque si è impegnato ad acquistare il 49% della nuova-nuova Alitalia, il massimo compatibile con le norme europee? La risposta non può che essere gradita a chi crede nel funzionamento del mercato e nei suoi benefici: non, infatti, per compiacere la politica o perché interessato a conseguire favori e vantaggi dal governo, ma, in realtà, per accedere a un mercato sul quale pensa col tempo di guadagnare.
E com’è possibile che Etihad riesca a guadagnare su un mercato sul quale tutti i suoi predecessori, dal completamento della liberalizzazione europea nel 1997 a oggi, hanno continuamente perso? La risposta, a questo punto, è evidente. Il mercato è lo stesso dei predecessori, ma il segmento principale su cui intende operare è completamente differente. Etihad è prioritariamente interessata al lungo raggio da e per l’Italia, mentre i precedenti azionisti di controllo lo erano invece al breve raggio domestico ed europeo (dato che non disponevano della flotta idonea al lungo raggio e neppure dei cospicui mezzi finanziari necessari per acquisirla). La strategia del piano Fenice 2008 era quella di Maometto e della montagna: se Maometto-Alitalia non può andare al mercato di concorrenza allora sarà il mercato ad andare incontro ad Alitalia rinunciando, via legge ad hoc, alla concorrenza. Abbiamo visto com’è andata a finire.
Per comprendere la ratio della scelta di Etihad diamo una breve occhiata ai numeri del mercato e alla sua segmentazione. Il peso del lungo raggio rispetto al resto del mercato può essere misurato utilizzando differenti variabili. Tuttavia poiché solo una di esse viene ufficialmente rilevata, il numero dei passeggeri imbarcati, si tende a utilizzare solo quella. Nel 2013 hanno viaggiato sui voli intercontinentali di tutti i vettori che hanno servito l’Italia meno di 16 milioni di passeggeri, all’apparenza un’inezia rispetto agli altri quasi 100 che hanno volato su voli europei o domestici (rispettivamente 71 e 28 milioni).
Tuttavia i prezzi pagati dai viaggiatori, e dunque i ricavi dei vettori, sono funzione crescente (anche se la crescita è meno che proporzionale) della lunghezza del viaggio. Un passeggero intercontinentale dall’Italia vola mediamente per quasi 8 mila km, più di 12 volte rispetto a un passeggero sui cieli domestici e circa 8 volte rispetto a un viaggiatore medio su voli infraeuropei. Se teniamo conto della distanza percorsa il segmento intercontinentale rappresenta più della metà del mercato italiano complessivo del trasporto aereo passeggeri e quasi la metà se lo valutiamo in valore economico, moltiplicando i km volati per ricavi unitari medi (che occorre ovviamente stimare). Etihad è interessata a questa metà del mercato che è profittevole per i vettori tradizionali, data l’assenza di vettori low cost in parte dovuta alle regole del mercato e in parte al fatto che i vantaggi di costo che hanno sul breve qui svaniscono, ed è interessata all’altra metà solo in funzione della prima: ai voli del corto raggio che portano all’hub i passeggeri che si imbarcano su voli del lungo.
Bisogna poi ricordare che il mercato italiano del lungo raggio è fatto come la luna, dato che ha una faccia stabilmente nascosta all’incirca equivalente quella visibile: si tratta dei passeggeri intercontinentali che escono dall’Italia (vi entrano) su voli europei e raggiungono (provengono da) hub di altri vettori (Londra, Parigi, Amsterdam, Francoforte) che utilizzano per la parte intercontinentale del viaggio. Quanto è grande questa parte nascosta? Quanto vale in termini di ricavi potenziali? Quasi altrettanto rispetto alla parte visibile ed essa è sicuramente aggredibile attraverso un’offerta di qualità di voli diretti dall’Italia a prezzi competitivi.
I precedenti proprietari, pubblici e privati, di Alitalia non erano in grado; Etihad invece può, e deve necessariamente, se vuole guadagnare. Questa è quella che io considero la lepre del cacciatore mediorientale. Se l’analisi è corretta essa richiede che le prospettive di successo e guadagno di Etihad siano strettamente legate alla crescita del mercato sul suo segmento sinora meno sviluppato (agli altri segmenti, domestico ed europeo, vi hanno pensato e continueranno a farlo in maniera crescente i vettori low cost), crescita che avrà evidenti effetti positivi su diversi settori del nostro sistema economico. Il lungo raggio della nuova-nuova Alitalia può essere verde (rispetto al colore sin qui predominante).
Arrivo allora, in conclusione, a ricordare al lettore un’altra mia previsione sbagliata. Intervistato da Maurizio Maggi dell’Espresso per il numero del 24 ottobre 2013 così dissi: “La soluzione migliore? Trovare un italiano che investa 2 miliardi di euro e rinforzi il lungo raggio. Ma siccome un italiano così non esiste, si sceglierà la soluzione peggiore, come capita spesso in Italia”. La soluzione peggiore, era evidentemente, l’intervento pubblico che comunque, in parte ci fu. L’italiano con 2 miliardi da investire ovviamente non c’era e un europeo-comunitario neppure (lo era Air France nel 2008 ma non più nel 2013). Per fortuna è stato trovato un arabo.
(2- fine)