Come ogni lettore attento alle questioni economiche ben sa, il debito pubblico dell’Italia è destinato a una continua crescita in valore assoluto sin tanto che i conti del settore pubblico perverranno al pareggio di bilancio. Questo obiettivo è stato promesso all’Unione europea per un determinato anno, che è ogni volta scivolato in avanti, da tutti i governi che si sono succeduti alla guida dell’Italia dal 2011 a oggi e persino inserito, peraltro utilizzando una formula letterale ambigua, nella Costituzione del nostro Paese.
In attesa del suo conseguimento si punta un secondo obiettivo, di portata solo apparentemente minore: la stabilizzazione del rapporto debito/Pil, che si ottiene nel momento in cui il livello del debito posto al numeratore del rapporto smette di crescere più velocemente del Prodotto interno lordo posto al denominatore. Neanche questo obiettivo è stato sinora raggiunto per ragioni principalmente di mancata crescita economica che non hanno potuto trovare compensazione, ma sono state anzi peggiorate, da manovre eccessive e recessive di finanza pubblica.
In questo quadro non risolto in cui fosche nubi continuerebbero ad addensarsi sulla sostenibilità del nostro debito se non venissero ogni volta cacciate dai venti della politica monetaria espansiva condotta dalla Bce, si inserisce tuttavia la constatazione che lo stock del debito dell’Italia è cresciuto molto meno velocemente nell’ultimo anno, in particolare nel primo semestre del 2015. Non solo, ma in alcuni mesi risulta persino diminuito in valore assoluto. Lo si può constatare dall’osservazione del primo grafico a fondo pagina, tratto dall’ultimo supplemento sul Fabbisogno e Debito al Bollettino Statistico della Banca d’Italia.
Come si può notare, esso è diminuito continuamente negli ultimi tre mesi per i quali sono disponibili i dati: dopo aver raggiunto il massimo storico di 2.219 miliardi a fine maggio è passato a 2.205 a giugno, 2.200 a luglio e 2.185 ad agosto. In totale si tratta di una riduzione di ben 34 miliardi. Com’è possibile che sia avvenuta, considerando che il bilancio pubblico continua a restare in passivo e che l’eccesso di spesa rispetto agli incassi richiede un continuo ricorso all’emissione di nuovo debito?
Un altro dato che può sconcertare è la constatazione che in tredici mesi, da luglio 2014 ad agosto 2015, il debito risulta aumentato di soli 15 miliardi, meno dell’1% del nostro Prodotto interno lordo. Che il governo Renzi abbia già compiuto il miracolo di un quasi pareggio di bilancio?
In realtà, l’ultimo confronto, tra luglio 2014 e agosto 2015, è impreciso a causa dell’operare di fattori di stagionalità. Tuttavia anche un corretto confronto, tra mesi identici dei due anni, fa emergere un risultato all’apparenza molto positivo: la crescita del debito risulta comunque contenuta in 31 miliardi tra luglio 2014 e luglio 2015, meno del 2% del Pil, e in 36 miliardi tra agosto e agosto.
Considerazioni altrettanto positive possono essere formulate riguardo alla dinamica del fabbisogno delle Amministrazioni Pubbliche, il quale rappresenta l’eccesso della spesa della Pa sui suoi incassi. Esso deve essere finanziato attraverso l’emissione di nuovo debito e rappresenta la quasi totalità della crescita di quest’ultimo. Come risulta evidente dal secondo grafico, sempre tratto dall’ultimo supplemento al Bollettino Statistico della Banca d’Italia, il fabbisogno cumulato dall’inizio dell’anno al mese di agosto è stato pari a soli 30 miliardi, un valore nettamente inferiore rispetto allo stesso periodo del 2014 e quasi dimezzato rispetto al 2013.
Grafico 1 – Debito delle Amministrazioni Pubbliche (miliardi di euro)
Grafico 2 – Fabbisogno delle Amministrazioni Pubbliche (miliardi di euro)
Tutto è dunque bene così come ci appare? La risposta è in realtà negativa. I dati sinora esaminati sono parziali e possono in realtà risultare fuorvianti in quanto riferiti al debito pubblico calcolato al lordo di tutta una serie di voci che rappresentano disponibilità liquide del Tesoro, impieghi di liquidità e prestiti bilaterali verso altri stati europei, oltre ai conferimenti ai meccanismi europei salva-stati. Tutte queste voci non rappresentano debito contratto per finanziare l’eccesso di spesa pubblica sulle entrate e debbono pertanto essere detratte al fine di pervenire a una misurazione del debito pubblico netto, la cui dinamica è la sola rilevanti ai fini della valutazione delle tendenze della finanza pubblica.
La variazione del debito pubblico netto è ricostruita per gli anni più recenti nel grafico a fondo pagina, ove sono considerati in ultimi i dodici mesi più recenti per i quali sono pubblicati i dati, ovvero da agosto 2014 ad agosto 2015.
Come si può osservare, nel biennio 2012-2013 il debito pubblico lordo dell’Italia è cresciuto di circa 80 miliardi all’anno, ma su tale valore ha inciso in maniera notevole il sostegno dell’Italia ai paesi europei in difficoltà attraverso prestiti bilaterali e l’apporto ai meccanismi europei salva-stati: quasi 30 miliardi complessivi nel 2012 e altri 13 nel 2013. Al netto di tali valori, e di piccolissime variazioni nella liquidità e altri impieghi del Tesoro, il debito pubblico netto è cresciuto di 66 miliardi nel 2013 e di 52 nel 2014.
Cosa sta invece avvenendo nell’anno in corso? Nella parte sinora trascorsa dell’anno il debito pubblico lordo è cresciuto molto meno velocemente grazie all’utilizzo delle disponibilità del Tesoro: nei dodici mesi terminati ad agosto 2015, i depositi presso la Banca d’Italia, gli impieghi della liquidità del Tesoro e i depositi presso altre istituzioni finanziarie nazionali sono diminuiti di quasi 16 miliardi. Inoltre, nello stesso periodo sono stati restituiti circa 2 miliardi di prestiti esteri. Se si sommano questi 18 miliardi ai 36 di crescita del debito pubblico lordo si ottiene una crescita del debito pubblico netto che supera i 54 miliardi. Si tratta di un dato più elevato rispetto ai 52 miliardi di crescita del debito netto del 2014 e rispetto ai 51 miliardi conseguiti dal governo Monti nel 2012.
A quali conclusioni possiamo pertanto pervenire? Direi essenzialmente due:
1) Nella dinamica del debito pubblico netto dell’Italia non si evidenzia attualmente alcun segno di decelerazione rispetto agli anni precedenti.
2) La politica monetaria espansiva di Draghi, cacciando le nubi che sovrastavano sulle aste dei titoli pubblici italiani nei primi anni del periodo preso in considerazione nel grafico sottostante, permette anche al Tesoro di detenere meno liquidità a scopo prudenziale e dunque di utilizzare parte della medesima per coprire spesa pubblica in disavanzo
In sostanza, la finanza pubblica italiana sembra per ora contribuire come prima alla crescita del debito. Ciò che sinora ha fatto la differenza è invece la Bce.
Grafico 3 – Crescita annua del debito pubblico (miliardi di euro)