Qual è l’eredità di Renzi in tema di finanza pubblica? Quale bilancio si può trarre dai mille giorni del governo uscente riguardo ai conti pubblici? È vero che le tasse sono scese? E la spesa pubblica? Si è ridotta, o almeno fermata, come avrebbero voluto i differenti responsabili che si sono avvicendati alla guida della “spending review”? Oppure essa ha approfittato del loro breve mandato per continuare a crescere? A tutte queste domande, di sicuro interesse per il lettore, è possibile dare risposta in base ai dati raccolti trimestralmente dall’Istat nel “Conto consolidato delle Amministrazioni Pubbliche”. Quattro avvertenze sono tuttavia necessarie:
(1) I dati sono trimestrali, dunque non permettono di esaminare un periodo pienamente coincidente con la durata del governo, entrato in carica il 22 febbraio 2014, ma solo di approssimarla;
(2) I dati si fermano al II trimestre 2016, pertanto non si possono ancora osservare gli effetti di quanto avvenuto da luglio in avanti;
(3) Vi è sempre un effetto di trascinamento tra i governi sulle variabili di finanza pubblica, pertanto decisioni adottate dal governo Letta si sono manifestate nel periodo di Renzi, così come le decisioni adottate dal governo Renzi, in particolare quelle incluse nella Legge di bilancio appena approvata, si manifesteranno nel corso del nuovo anno;
(4) I dati trimestrali risentono di fattori stagionali e pertanto non si prestano, singolarmente presi, a confronti coerenti. Occorre ogni volta, al fine di evitare la stagionalità, considerare l’anno mobile, cioè sommare per ogni grandezza i dati dei quattro trimestri terminanti nell’ultimo considerato.
Precisate queste necessarie premesse avviamo dunque il confronto tra i dati dell’intero anno 2013, precedente il I trimestre 2014 nel quale Renzi costituì il governo, e i dati aggregati dei quattro trimestri compresi tra il III del 2015 e il II del 2016. In tal modo si può rispondere alle domande formulate in precedenza.
Le tasse sono aumentate durante il governo Renzi? In valore assoluto la risposta è affermativa: nel periodo considerato il gettito è cresciuto di 4,4 miliardi per le imposte dirette, di 4,8 per le indirette, di 3,4 per i contributi sociali e di 0,7 per le imposte in conto capitale. L’incremento totale è pertanto di 13,5 miliardi. A esso occorre aggiungere l’incremento delle entrate non fiscali che assomma, tra conto corrente e capitale, a ulteriori 3,7 miliardi. L’incremento totale delle entrate del settore pubblico è pertanto di 17,2 miliardi. E in rapporto al Prodotto interno lordo? Qui invece si assiste a una lieve riduzione della pressione fiscale (imposte totali in rapporto al Pil): dal 43,6% al 43,2%. Anche le entrate totali in rapporto al Pil diminuiscono lievemente: dal 47,8% al 47,5%.
La spesa pubblica è aumentata durante il governo Renzi? Anche in questo caso la risposta è affermativa in valore assoluto e negativa in rapporto al Pil. La spesa pubblica totale della Pa passa infatti dagli 818,9 miliardi del 2012 agli 827,2 miliardi dell’anno terminante alla fine dello scorso giugno, con un incremento di 8,3 miliardi (e dell’1%); invece in rapporto al Pil essa si riduce dal 50,8% al 49,9%. Tuttavia all’interno della spesa pubblica totale occorre distinguere tra due componenti nettamente distinte: da un lato la spesa per interessi sul debito pubblico, decisa dai mercati finanziari e dalle politiche monetarie della Bce; dall’altro la spesa pubblica primaria, cioè tutte le restanti voci di spesa, le quali sono invece sotto la piena responsabilità di governo e Parlamento. Vediamole allora separatamente.
La spesa per interessi sul debito si è drasticamente ridotta. Durante i mille giorni del governo Renzi la spesa per interessi sul debito, per effetto principalmente delle politiche monetarie della Bce, si è drasticamente ridotta. Essa è infatti passata dagli 83,6 miliardi del 2012 ai 66,9 dell’anno terminante lo scorso giugno, con un risparmio di ben 16,6 miliardi e del 19,9%. Anche in rapporto al Pil la riduzione appare consistente: dal 5,2% al 4,0%.
La spesa primaria è invece cresciuta, sia in valore assoluto che in rapporto al Pil. Osserviamo a questo punto la spesa pubblica primaria: essa è cresciuta nel periodo di 25 miliardi esatti, passando da 735,3 a 760,3 miliardi, con un aumento del 3,4%. Anche in rapporto al Pil essa risulta in crescita: dal 45,6% al 45,8%. Al suo interno, esaminando tra le grandi componenti, risulta una sola voce in riduzione: i redditi da lavoro dipendente, dunque gli stipendi dei dipendenti pubblici, i quali scendono da 166,1 a 161,9 miliardi, con un risparmio di 4,3 miliardi e del 2,6%.
Un bilancio di sintesi. Si può a questo punto tracciare un bilancio di sintesi della finanza pubblica ai tempi di Renzi, mettendo a confronto le maggiori risorse di cui il governo ha potuto avvalersi e osservando come sono state impiegate. Sul fronte delle risorse finanziarie Renzi ha potuto contare su: maggiori entrate tributarie per 13,5 miliardi; maggiori entrate non tributarie per 3,7 miliardi; minore spesa per interessi per 16,6 miliardi; minore spesa per i dipendenti pubblici per 4,3 miliardi. Il tutto per un totale di maggiori entrate e minori spese pari a 38,2 miliardi.
Come li ha utilizzati? Per 8,9 miliardi in riduzione del disavanzo pubblico; per 1,6 miliardi in maggior spesa in conto capitale (investimenti pubblici e trasferimenti verso soggetti extra Pa in conto capitale); per 3,0 miliardi in maggior spesa per consumi intermedi e altre voci correnti; per 24,7 miliardi in maggior spesa per “prestazioni sociali in denaro”, principalmente le pensioni.
Quest’ultima componente va esaminata con particolare attenzione in quanto si tratta della principale voce di spesa pubblica e l’unica la cui dinamica appaia inarrestabile nel tempo: nel 2012 essa era pari a 311,4 miliardi, corrispondenti al 42,4% della spesa pubblica primaria, al 38% della spesa pubblica totale e al 19,3% del Pil; nei 12 mesi terminanti lo scorso giugno è stata invece pari a 336,1 miliardi, corrispondenti al 44,2% della spesa pubblica primaria, al 40,6% della spesa pubblica totale e al 20,3% del Pil.
Post Scriptum: l’analisi precedente ha voluto essere totalmente oggettiva, interamente basata sulle cifre e completamente priva di giudizi di valore. In conclusione vorrei tuttavia esprimere una domanda: dati i numeri precedenti, dobbiamo stupirci se l’unico gruppo anagrafico che risulta aver dato un sostegno alla posizione del governo votando Sì al referendum costituzionale appena svolto sono i pensionati? Dobbiamo stupirci se i giovani, alle prese con le difficili condizioni del mercato del lavoro e, per quelli di loro che hanno la fortuna di lavorare, con le aliquote contributive più alte al mondo, introdotte per finanziare la spesa pensionistica più alta al mondo in rapporto al Pil, sono molto arrabbiati?