Com’è andata la finanza pubblica nel 2015? I dati provvisori pubblicati dall’Istat lo scorso primo marzo delineano apparenti dinamiche di segno positivo: 

1) L’indebitamento netto della Pa, quello che nel linguaggio comune è chiamato disavanzo del settore pubblico, si sarebbe ridotto al 2,6% del Pil, con un miglioramento di quasi mezzo punto percentuale rispetto al 3% dello scorso anno. È la prima volta che un gradino di riduzione torna a manifestarsi dopo il 2012, anno in cui il calo fu di sei decimi di punto, dal 3,5 al 2,9%. Nel triennio 2012-14 invece il disavanzo è rimasto costante al confine del 3% permesso dal vecchio Trattato di Maastricht. 



2) Il secondo dato positivo è la sostanziale stabilizzazione del rapporto tra debito pubblico e Pil: dal 132,5% del 2014 sarebbe salito solo al 132,6%, dopo una corsa nei sette anni precedente che appariva inarrestabile e lo aveva fatto crescere di oltre trenta punti complessivi. Essa è ben visibile, rappresentata dalla linea rossa tratteggiata, nel grafico a fondo pagina.



3) Terzo dato positivo, persino più interessante dei primi due se adottiamo il punto di vista del normale cittadino e contribuente, la pressione fiscale, data dal rapporto tra il gettito fiscale e il Pil nominale, sarebbe scesa al 43,3% dal 43,6% del 2014, valore record per l’Italia al quale stazionava invariata da ormai un triennio. 

Dunque onore e lode al governo Renzi che ha permesso tali risultati, ormai inusitati per il nostro Paese? Come al solito la realtà descritta dai dati di finanza pubblica è sempre più complessa di quanto può apparire a una lettura superficiale dei soli dati principali che la rappresentano:



1) In primo luogo bisogna osservare che i valori sopra ricordati sono tutti relativi a rapporti che hanno come denominatore il Prodotto interno lordo nominale: il Pil nominale è aumentato nel 2015 dell’1,5%, corrispondente a 24,5 miliardi di euro in più. Questo fatto, senza dubbio positivo, ha aiutato in maniera sensibile il miglioramento dei differenti indicatori di finanza pubblica. Ma di chi è il merito della lieve ripresa? Delle politiche fiscali del governo Renzi o piuttosto di quelle monetarie del governatore della Bce Draghi? E quanto ha contribuito la favorevolissima congiuntura internazionale, rappresentata dal crollo dei prezzi petroliferi in congiunzione con l’euro debole? Solo un sofisticatissimo modello econometrico potrebbe darci una risposta sufficiente attendibile.

2) Posto che il denominatore è andato bene, realizzando una certa crescita, vediamo come sono andati i numeratori, partendo da quello più importante: il disavanzo pubblico misurato in miliardi di euro e non più in rapporto al Pil. In questo caso l’Istat ci dice che nel 2015 esso è stato pari a 43,1 miliardi di euro, un dato sensibilmente inferiore ai 48,8 miliardi dell’anno precedente. Il miglioramento è risultato pari a 5,7 miliardi e il livello raggiunto nel 2015 non si era più visto dall’inizio della lunga depressione economica, cioè dal lontano 2007. Merito dunque del Governo Renzi? Per dirlo bisogna scomporre il miglioramento nelle sue differenti cause.

3) Bisogna infatti ricordare che il disavanzo pubblico deriva da due grandi componenti: da un lato la differenza tra tutte le entrate pubbliche e tutte le uscite, escludendo tuttavia da queste ultime la spesa per interessi sul debito. Si tratta del cosiddetto saldo primario, che considera tutte le voci di spesa e di entrata che possono essere determinate o quanto meno influenzate dalle leggi di finanza pubblica proposte dai governi al parlamento. La seconda componente è invece proprio la spesa per interessi sul debito che è indipendente dalle scelte dei governi e dalle leggi finanziarie: essa non è altro che il prodotto dello stock del debito pubblico ereditato dall’esercizio precedente per il suo costo medio. Il costo del debito non è tuttavia deciso dai governi bensì dai mercati ed è influenzato dalle politiche monetarie dalla banca centrale e dai giudizi che i mercati danno del rischio solvibilità del paese emittente.

4) Vediamo pertanto le dinamiche del saldo primario da un lato e della spesa per interessi sul debito dall’altro: il comunicato Istat dello scorso primo marzo ci dice che l’avanzo primario è stato di 25,6 miliardi di euro nel 2014 ed è sceso a 25,4 miliardi nel 2015. Dunque non vi è stato miglioramento alcuno, bensì un lieve peggioramento. Nel 2013, anno del governo Letta, esso fu pari a 30,8 miliardi e nel 2012, anno del governo Monti, a 36,1 miliardi. In rapporto al Pil l’avanzo primario è stato del 2,2% nel 2012, dell’1,9% nel 2013, dell’1,6% nel 2014 e dell’1,5% nel 2015, dunque una continua riduzione, illustrata nel grafico a fondo pagina.

5) Verifichiamo a questo punto la dinamica della spesa per interessi sul debito pubblico: l’Istat non la esplicita nel comunicato, ma essa è facilmente ricavabile sommando l’avanzo primario con la spesa per interessi: 83,6 miliardi nel 2012, il secondo anno della crisi del nostro debito sovrano, 77,6 nel 2013, 74,3 nel 2014 e 68,4 nel 2015. Il costo del debito è dunque migliorato di 5,9 miliardi nel 2015 e questo fattore spiega totalmente il miglioramento di 5,7 miliardi nel disavanzo pubblico. Pertanto quello che noi vediamo a prima vista come merito del governo è in realtà merito della moneta facile della Bce. Sul fronte del saldo primario invece non vi è stato miglioramento alcuno.

6) Guardando infine più in dettaglio le voci che compongono il saldo primario possiamo osservare che nonostante il calo della pressione fiscale noi italiani nel 2015 abbiamo comunque versato al settore pubblico 6,9 miliardi di tasse in più: 708,9 miliardi contro 702 dell’anno precedente.

7) Sul fronte invece della spesa pubblica sappiamo che riguardo alla spesa per il pubblico impiego vi è stato un risparmio dell’1,1%, che applicato ai 163,6 miliardi di spesa del 2014 porta a un minor esborso per 1,8 miliardi.

Riepiloghiamo: nel 2015 il governo Renzi ha preso 6,9 miliardi in più di tasse dagli italiani e ha dato 5,9 miliardi in meno ai sottoscrittori del debito pubblico e altri 1,8 miliardi in meno ai dipendenti pubblici. Sommando le tre voci otteniamo 14,5 miliardi di risorse disponibili in più. Cosa ne ha fatto? Principalmente le ha spese per altre voci: le prestazioni sociali sono cresciute di 6,5 miliardi (+1,8%), i contributi agli investimenti (a chi, per che cosa?) sono aumentati di 2,5 miliardi (+16%), le altre spese in conto capitale di 1,8 miliardi (+15%).