L’ectogenesi umana, che permetterebbe di completare la gestazione del feto esternamente all’utero, all’interno di un macchinario vagamente simile ad un’incubatrice, è uno di quei campi scientifici in cui la ricerca è ancora piuttosto embrionale. Solo recentemente, infatti, si è cominciato a pensare di applicare il processo anche agli esseri umani, specialmente per ridurre il rischio di morte dopo i parti prematuri, mentre il primo esperimento condotto efficientemente risale solo al 2017, quando l’ospedale pediatrico di Philadelphia completò, grazie all’ectogenesi, una gestazione al di fuori dell’utero di un agnellino. Secondo Libero la naturale evoluzione di questi esperimenti è che in futuro “nasceremo dalle macchine e separeremo le madri dal figlio”, mentre dovremmo chiederci, “chissà che esseri umani (si fa per dire) usciranno”.
Cos’è l’ectogenesi: la spiegazione della ricercatrice
Insomma, l’ectogenesi secondo Libero sarà l’ennesimo modo in cui si cercherà di destrutturare la famiglia tradizionale, come d’altronde ha sintetizzato anche la ricercatrice indipendente Laura Tripaldi. Questa, infatti, spiega che “la gestazione e la maternità sono per molte donne incompatibili con il lavoro e gli studi”, mentre questo nuovo processo scientifico sarebbe un modo per “appianare, una volte per tutte, la disuguaglianza intrinseca al lavoro riproduttivo, delegandolo alla tecnologia”.
Grazie all’ectogenesi, spiega ancora Tripaldi in un articolo sulla Stampa citato da Libero, “l’identità di genere come la conosciamo oggi si dissolverà del tutto, e con essa anche le disuguaglianza sociali ed economiche che la accompagnano. E se la genitorialità diventasse del tutto svincolata dalla biologia sessuale,anchel’idea che esista una ‘famiglia naturale‘ più legittima di tutte le altre potrebbe apparirci un giorno solo come un retaggio del passato”. Non solo, perché grazie all’ectogenesi potremmo iniziare, secondo Tripaldi, a chiederci se “la nostra percezione della gestazione e della maternità come una limitazione della nostra libertà non sia il risultato di una cultura patriarcale e misogina”, contribuendo a superare “la visione patriarcale del corpo femminile come un mero contenitore“.