Ci sono tanto Springsteen e Tom Petty nel terzo disco solista di Eddie Vedder, cantante e frontman dei Pearl Jam. Ci sono dal punto di vista emotivo, non strettamente musicale, perché Vedder, opta per un sound secco e chitarristico duro, incalzante, a tratti anche un po’ commerciale. Ma l’epicità del brano iniziale, Invincibile, non può fare a meno di richiamare la stessa eticità che caratterizza il rocker del New Jersey. Un brano in continuo crescendo, che si innalza maestoso e toccante. che si apre con la voce del padre, quel padre biologico che non conobbe mai, “Invincibili quando amiamo”. Che è un po’ il messaggio di tutto il disco, un disco che rinnova la fede nel rock’n’roll come mezzo di salvezza, che Vedder sembrava aver perso da tempo.



C’è infatti anche tanta voglia di divertirsi, recuperando le proprie radici punk ad esempio, o invitando ospiti inaspettati appunto per divertirsi insieme. Non ha niente da dimostrare a nessuno Eddie Vedder e alla fine è un disco che scivola via bene, che si ascolta con piacere, che in alcuni momenti esalta e in altri commuove.



Non è l’Eddie Vedder intimista, cantautorale, che apriva scenari intimi e anche dolorosi della colonna sonora di Into the wild. E non è neanche quello che gettava in fondo all’oceano come da immagine di copertina il suo ruolo di rock star in Ukulele songs, tutto voce e ukulele, la scelta più anti commerciale che si poteva fare. Quello di Earthling è un autentico rocker di razza, come lo era nei bei tempi dei Pearl Jam, un gruppo che viceversa da tempo non ha più niente da dire. Si confrontino i concerti solisti del cantante, esaltanti, emozionanti, splendidi, e gli ultimi del gruppo, annoiati, formali.



Tom Petty è evocato in Long way dove Vedder paga tributo all’amico scomparso in modo così sentito da imitarne la voce in modo inquietante. Una ballata tipica del leader degli Heartbreakers, molto bella, melodicamente ineccepibile, anche se suona come mille pezzi del cantante scomparso. Ma ci sta.

Poi parte la giostra. Power of right è punk moderno, aggressivo, quasi alla Foo Fighters, dove il cantante rilascia una delle sue migliori performance vocali ed era da tempo che non era in grado di fare altrettanto. Nel rock robusto di Brother the cloud ricorda il fratello scomparso in un incidente alcuni anni fa, mentre Good and evil è un pezzo da pogare sotto al palco come se non ci fosse un domani. Altro canta Vedder è un fan della prima ora dei Ramones. The dark è un rock’n’roll sfrontato con un bell’assolo di chitarra, perfetto per guidare di notte e per una radio FM che non esiste più. Try è divertimento puro, un rock fracassone e indiavolato in cui Stevie Wonder si infila con la sua armonica fino a lanciarsi in uno dei migliori assoli della sua carriera: irresistibile.

Fantastico il duetto con Elton John in Picture che riporta ai giorni belli di Saturday night is alright for fightin’ e grazie a Dio tira fuori il baronetto dalla melensaggine stucchevole del suo pessimo ultimo disco, The lockdown sessions. I due si inseguono con gusto per tutto il pezzo e Elton si ricorda di essere un grande pianista rock’n’roll nella lunga coda finale.

Se Fallout today è una bella ballata semi acustica, ancora tra Springsteen e Tom Petty, Mrs. Mills è un piccolo capolavoro, una intensa ballata pianistica dedicata al pianoforte di Abbey Road sul quale, tra le altre, Paul McCartney scrisse Penny Lane e che Vedder descrive come fosse una donna sulla quale nonostante in molti abbiano messo le mani nessuno ha potuto conquistare.

Affiancato da Andrew Watt (Justin Bieber, Post Malone, Camila Cabello, Miley Cyrus) e Josh Klinghoffer, con cui ha scritto tutte le canzoni e da una band che comprende Chad Smith dei Red Hot Chili Peppers e dall’amico Glen Hansard, appaiono anche le figlie Harper e Olivia. Una festa insomma.

La domanda che resta da farsi è: ci sarà un futuro per i Pearl Jam? Perché le cose più belle, dal vivo o in studio, Eddie Vedder da tempo le fa da solo.