Giusto in apertura del nuovo anno, è arrivata l’ennesima polemica durante la messa in onda di Cartabianca di Bianca Berlinguer, con l’immancabile sfuriata dell’alpinista scrittore Mauro Corona, stavolta contro la dismissione dell’istituto Pio XII, il grande, enorme sanatorio per bambini asmatici sulle sponde del lago di Misurina (frazione di Auronzo di Cadore, provincia di Belluno).
Il 31 dicembre scorso l’Opera diocesana San Bernardo degli Uberti, che fa capo alla curia di Parma, proprietaria del centro di cura dell’asma pediatrica, convenzionato con la Regione Veneto, ha messo la parola fine, motivata da un passivo di circa 800 mila euro e dalla progressiva rarefazione di pazienti (sembra che negli ultimi tempi ne fosse ospitato solo… uno). Oggi, al di là di ambiziose soluzioni di ampliamento di servizi sociosanitari per allungare la stagionalità delle cure offerte e attirare pazienti anche non pediatrici, si continua a supporre per l’istituto (divenuto nel tempo un vero simbolo-cartolina di Misurina) un futuro più commerciale.
Il Pio XII non è eccezione: è solo l’ultimo esempio di un fenomeno strisciante, che da anni sta crescendo sull’abbrivio della secolarizzazione, del calo di fedeli e vocazioni, delle offerte, della poca sincronia con i tempi profondamente mutati dall’epoca delle fondazioni a oggi, e inevitabili scopi di utilizzo obsoleti. Con la conseguenza di dover censire molti edifici religiosi vuoti o abbandonati, quasi sempre soffocati da elevati costi di gestione e manutenzione. Il trend è ben diffuso anche al di fuori dell’Italia, come viene confermato da Agedi (l’atelier di servizi immobiliari con sedi nel Principato di Monaco, in Italia, in Francia e in Lussemburgo), che riporta come la Chiesa anglicana, ad esempio, chiuda in media 20 edifici religiosi all’anno, in Germania negli ultimi anni abbiano chiuso centinaia di chiese, e lo stesso accada anche nei Paesi cattolici come Italia e Francia, rispettivamente prima e seconda nazione per numero di edifici religiosi in Europa.
Secondo un censimento dell’Ufficio nazionale dei beni culturali ecclesiastici e l’edilizia di culto (gli stati generali sono previsti a Vicenza, dal 13 al 15 febbraio, nell’ambito della ventesima edizione della rassegna Koinè, dov’è previsto un convegno proprio su “Nuova vita per gli edifici di culto dismessi o in disuso”), in Italia ci sono oltre 200.000 edifici sacri, di cui 77.000 di proprietà delle parrocchie e gli altri appartenenti a Regioni, Comuni, ordini religiosi, privati cittadini e ministero dell’Interno, che ne detiene oltre 800 gestiti dal Fec, Fondo edifici di culto. Ma risulta che per sei chiese che vengono aperte e consacrate, 50 vengono chiuse.
“Si stima che le chiese e i monasteri abbandonati in Italia sarebbero oltre 800 – sostiene Agedi -, edifici storici, unici, ricchi di tesori d’arte, spiritualità e cultura che rischiano di scomparire. Lo stesso accade in Francia, dove ci sarebbero circa 100.000 luoghi di culto, di cui circa 40.000 di proprietà dei Comuni. 500 tra chiese, conventi e abbazie sono già chiusi anche alla celebrazione del culto, e da 2.500 a 5.000 sono a rischio abbandono, vendita o crollo entro il 2030”.
A questo punto, è lecito chiedersi se convenga (anche da un punto di vista etico) seguire la strada indicata da Papa Francesco (… “i conventi vuoti non servono alla Chiesa per trasformarli in alberghi e guadagnare i soldi. I conventi vuoti non sono vostri, sono per la carne di Cristo che sono i rifugiati”) o per evitare il deterioramento degli immobili (e il fallimento delle società di gestione) provvedere alla loro rivitalizzazione, tramite una riconversione. Le evidenze sembrano indicare che si proceda su entrambi i percorsi.
“In Italia – afferma Agedi – molte diocesi decidono di conferire un uso non più liturgico all’edificio di culto pur mantenendone la proprietà, oppure di venderlo a una istituzione o a un privato. Molti antichi luoghi dello spirito oggi, dopo abili e attenti restauri, sono stati trasformati in luoghi del benessere, esclusivi resort, residenze e alberghi suggestivi, o strutture con finalità socio-culturali: l’Eremito Hotelito del Alma, un ex monastero trecentesco immerso nei boschi di Parrano, in Umbria, è diventato un eco-resort con ristorante vegetariano, un bar e una spa; in Garfagnana, in Toscana, l’ex monastero agostiniano del XIII secolo, I Romiti del Torrente, offre sistemazioni di charme ad artisti e creativi attirati anche dalla vecchia cappella diventata loft per mostre, workshop, concerti e degustazioni; in Sicilia l’Hotel Antico Convento ha ricavato camere di charme dalle 40 celle dei frati dell’ex convento dei Cappuccini, il ristorante è gestito da docenti e studenti della scuola di cucina mediterranea Nosco e il ricavato delle attività è reinvestito in opere sociali. Per non parlare dell’ormai leggendario hotel San Domenico Palace di Taormina gestito da Four Season, realizzato nella struttura di un ex convento domenicano del XIV secolo con affreschi originali, location della serie di successo White Lotus“.
Ma si registrano anche iniziative diametralmente opposte, che nascono da gruppi di cittadini, con l’unico scopo di preservare l’esistenza di questi edifici come eredità storica, culturale e spirituale. “Per esempio a Venezia, dove un comitato di architetti si è attivato per il recupero di almeno 30 chiese abbandonate, e l’associazione Poveglia sta cercando di acquistare e salvare l’omonima isola, ex lazzaretto e luogo di culto; oppure il comitato di Preci, in Umbria, che sta provando a ricostruire l’abbazia di Sant’Utizio, culla del monachesimo benedettino travolta dal terremoto del 2016; o ancora i cittadini di Monterosso, nelle Cinque Terre, che stanno cercando di salvare il santuario duecentesco di Nostra Signora la Madonna di Soviore, luogo di devozione, memoria storica e arte”.
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