Edith Bruck è una delle più grandi scrittrici dei tempi moderni, capace di vincere il Premio Strega a 90 anni, e soprattutto di aver superato l’orrore dell’olocausto, sopravvissuta ai campi di concentramento di Auschwitz e di Bergen Belsen: “Dopo il ’45 noi sopravvissuti eravamo come avanzi di vita – si racconta oggi Edith Bruck ai microfoni de La Nazione – mendicavamo accoglienza: cercavamo amore, abbracci, ma non avevamo nulla di questo. Arrivai in Italia nel 1954 e a Napoli per la prima volta mi sentii davvero accolta. C’era un’atmosfera che faceva venire voglia di rimanere, pur senza capire una sola parola di italiano. Poi arrivai a Roma”. L’Italia l’adottò e la prima lezione di italiano gliela diede un certo Ugo Tognazzi: “All’epoca ero ballerina in una piccola compagnia, e lui frequentava lo stesso nostro locale insieme con Walter Chiari. Io naturalmente non sapevo chi fossero. Le prime parole di italiano che imparai erano: uno, due, tre. All’epoca Tognazzi conduceva un programma con Raimondo Vianello che si chiamava così, e lui cercava di spiegarmelo, mentre mi chiedeva di ballare con lui… io sono molto grata all’Italia, ero gonfia di parole non dette e la lingua italiana per me è stata la salvezza”.



Ma la scrittrice ungherese non vuole sentire parlare di patria: “Non mi piace la parola, perchè nel nome della patria hanno ucciso milioni di persone. Patria è una parola sbagliata, la patria è il mondo, è dove viviamo. Nel nome della patria, della nazione, dell’Italia, della Germania, abbiamo avuto il razzismo, l’antisemitismo, la guerra, e non è che tutto sia finito”. Edith Bruck si dice preoccupata, vede un futuro davanti a se oscuro: “Sta venendo avanti una nuvola nera. Torna l’antisemitismo, in Europa si distruggono i cimiteri ebraici, sui muri si scrive ebrei ai forni e i governi non sembrano accorgersi di nulla. Non ho paura per me, ma per i giovani e il futuro”.



EDITH BRUCK: “QUANDO L’ULTIMO SOPRAVVISSUTO SCOMPARIRA’…”

E ancora: “Anche Primo (Levi ndr, a cui ha dedicato una poesia ndr) era assillato dal pensiero su cosa accadrà dopo che anche l’ultimo testimone sarà sparito. Cosa accadrà? Secondo me ci sarà più negazionismo, perchè è molto difficile trasmettere qualcosa che non si è vissuto. Come si racconta, senza averlo visto, dei bambini attaccati a terra dal ghiaccio? Della marcia di più di mille chilometri a piedi? Del ritorno a Bergen Belsen delle migliaia di cadaveri accatastati che trovammo? Temo che tutto lentamente sarà normalizzato, appiattito. Mi è capito, all’uscita di una chiesa, di sentire una donna che parlava degli immigrati e diceva: che affoghino pure tutti. E’ stata come una coltellata, mi ha fatto un male incredibile, come se lo avesse detto a me”.

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