Edith Bruck, sopravvissuta ai campi di concentramento, riflette sulla Shoah
“Sono nata in un piccolo villaggio di contadini in Ungheria”, ricorda Edith Bruck, nota scrittrice sopravvissuta alla Shoah, al ricordo della quale ha dedicato opere e poesie importanti. “La vita tra il ’42 e il ’44 era diventata impossibile, non solo per le condizioni di povertà che dovevamo affrontare, ma per l’odio, gli insulti, le botte. La propaganda fascista e nazista contro gli ebrei aveva infettato tutte le persone, perfino i compagni di scuola da un giorno all’altro non ci salutavano più, era un dolore terribile”.
Il teatro in cui parla Edith Bruck è la Fondazione Museo della Shoah di Roma, davanti ad una platea composta in larghissima parte da studenti delle scuole superiori, provenienti da tutta Italia. “Non credo di aver parlato e scritto a vuoto”, confessa dicendosi più fiduciosa della memoria umana, rispetto a Liliana Segre, “non morirà tutto con noi, c’è sempre una piccola luce anche nei momenti più bui. I giovani”, sostiene orgogliosa a La Stampa, “sono la mia speranza”. Nel 1944, racconta il quotidiano, Edith Bruck venne strappata, con la sua famiglia, dalla loro casa, tutti spediti vicini al confine con la Slovacchia, per poi passare anche nei tristemente celebri campi di prigionia di Auschwitz e Dachau. Dopo un mese infernale venne, infine, liberata dall’esercito britannico, iniziando un lungo vagare in tutta Europa.
Edith Burck: “Agghiaccianti i simboli fascisti in piazza”
Parlando con La Stampa, Edith Bruck confessa che all’inizio fosse difficile parlare davanti ai giovani, “ho sempre pianto nelle scuole, non riuscivo a controllarmi” ricordando quei terribili momenti di prigionia e segregazione. “Io non sono così pessimista come Liliana, non penso che non resterà nulla di noi”, sostiene ancora una volta, “credo, in qualche misura, di aver cambiato qualcosa, non molto, perché certamente non posso cambiare io il mondo”.
“Ci sono ragazzi di 15-16 anni che mi scrivono delle lettere inimmaginabili”, confessa ancora Edith Bruck, ribadendo che la sua fiducia è riposta proprio nei giovani. Tuttavia, crede anche che, per quanto sia “un dovere ricordare l’inferno dei campi di sterminio”, aumentare gli eventi dedicati alla memoria “forse può avere un effetto controproducente“. Parlando dell’attualità, invece, Edith Bruck, lascia trasparire una vena di sfiducia, “stiamo vivendo un periodo molto incerto, pericoloso, le persone sono sfiduciate, non credono più nella politica e gli ideali sono sfilacciati. È agghiacciante vedere i simboli fascisti nelle piazze. Se penso all’Ungheria non mi stupisco, nel dopoguerra c’è stata una completa rimozione e da Paese fascista è diventato immediatamente comunista, non c’è mai stato un vero percorso per arrivare a una democrazia compiuta”.