Nuovi prepensionamenti con scivoli pubblici in cambio di un impegno vincolante degli editori a reintegrare le redazioni con assunzioni di giovani giornalisti: è uno strumento sperimentato quello sul quale il sottosegretario alla Presidenza con delega all’editoria, Lorenzo Martella, ha confermato ieri di voler puntare all’interno di un pacchetto anti-crisi da modulare nella manovra 2020. È un approccio classico di politica industriale che ha certamente sorretto il settore lungo un intero decennio caratterizzato da pressioni di ogni genere: dalla recessione alla globalizzazione digitale. Ma trasferire alla previdenza di categoria centinaia di giornalisti dai gruppi editoriali tradizionali non si è rivelato in passato un toccasana strategico e difficilmente promette di rivelarsi tale ora.



I prepensionamenti possono certamente porsi come condizione utile e forse necessaria per impostare e accelerare una fase di ristrutturazione e rilancio (nei giorni scorsi, ad esempio, Carlo De Benedetti ha ventilato l’idea di ridisegnare a fondo Repubblica all’interno di nuovo modello di fondazione). Possono riaprire le porte delle maggiori testate nazionali a giornalisti giovani (un assunto ogni due prepensionati, ha preannunciato Martella), dotati di nuove competenze digitali e con migliori performance produttività/costi. Non possono, invece, ragionevolmente proporsi come condizione sufficiente a raddrizzare la media industry nazionale: che ha bisogno di ben altri interventi rispetto a semplici alleggerimenti ulteriori dei costi (a spese di nuovi appesantimenti tendenziali del bilancio dell’Inpgi).



Per un riassetto effettivo del settore non sembrano eludibili aggregazioni (a cominciare dalla agenzie di stampa, su cui Martella è sembrato cauto, nonostante il pressing del suo predecessore e collega di partito Luca Lotti nel governo Renzi). È per queste operazioni straordinarie, d’altronde, che un governo ambizioso potrebbe – forse dovrebbe – studiare misure incentivanti di mercato: anzitutto sgravi fiscali alle fusioni, senza dimenticare gli investimenti in innovazione sia in aziende tradizionali che in start-up. Su questo piano – come su tutti gli altri – il “pacchetto Martella” sembra d’altra parte confermare il limite di fotografare l’esistente, mostrando poca apertura al cambiamento.



Che si tratti di predisporre scivoli previdenziali per qualche centinaio di giornalisti o di favorire “l’educazione alla stampa” finanziando abbonamenti scolastici, il target degli interventi anti-crisi resta circoscritto agli editori storici: quelli che hanno in forza giornalisti “over 60” (e forse preferirebbero riorganizzare gli “over 40/50” prima di assumere automaticamente altri “over 30”) e quelli che vendono prodotti editoriali tradizionali a condizioni di mercato tradizionali. Le aziende editoriali più giovani (fra cui IlSussidiario.net) non hanno giornalisti prepensionabili, né media in abbonamento pay. Ma producono giornali a tutti gli effetti occupando giornalisti professionisti e pubblicisti iscritti all’Ordine e contribuenti ai vari enti di categoria (quelli che si accolleranno i prepensionati e che erogano vari ammortizzatori sociali ai gruppi editoriali in crisi).

Perché queste start-up – spesso in via di consolidamento sul mercato – devono rimanere completamente escluse dagli aiuti pubblici – “democratici” – alla libera stampa? Sono, fra l’altro, testate spesso più aperte all’utilizzo di giovani giornalisti: perché – se una delle priorità del governo è la lotta al precariato – non studiare agevolazioni contributive alla stabilizzazione lavorativa in aziende che non hanno giornalisti prepensionabili, ma ne assumerebbero a tempo determinato? Ha ragione Martella a confermare che le risorse della manovra 2020 sono scarse per tutti. Ma non è un buon motivo per distribuirle con una politica industriale di retroguardia e senza almeno un minimo di par condicio fra tutti i player del mercato.

Quando questo articolo era già stato pubblicato, nella mattinata del 7 novembre, è stata diffusa una presa di posizione della Fnsi. La centrale sindacale dei giornalisti italiani ha criticato misure di aiuto all’editoria concentrate solo sui prepensionamenti e prive di azioni a supporto del rilancio del settore e in particolare di contrasto al precariato.