Reinvenzione: una parola e un concetto affascinante e carico di suggestioni e significati. L’avevano utilizzato sul finire del secolo scorso alcune grandi aziende Hi-Tech per sottolineare l’urgenza del cambiamento in uno scenario tecnologico, geopolitico, economico e sociale in rapida evoluzione.

Il concetto è stato ripreso e applicato alla scuola nei mesi scorsi, mentre si accendeva il dibattito sull’opportunità della didattica a distanza e sulle condizioni generali della nostra scuola chiamata ad affrontare l’inedita situazione creata dalla pandemia. Il termine stesso è stato rilanciato nel titolo di un ebook, Reinventare la scuola, del pedagogista Giuseppe Bertagna (che in questo numero di Emmeciquadro sviluppa e approfondisce alcune delle sue proposte). Secondo Bertagna, non si possono «risolvere i problemi dell’educazione, della formazione e dell’istruzione nel nuovo millennio, riproponendo soltanto un aggiustamento delle scelte di un passato che può essere stato glorioso ma che oggi non è ‘inattuale’, nel senso positivo che Nietzche attribuì a questo termine, ma soltanto del tutto ‘anacronistico e distopico’ […] Se non si vogliono ridurre le sfide della globalizzazione ad omologazione uniformizzante e a mera selezione darwiniana del più forte e violento […] è indispensabile introdurre nette soluzioni di continuità rispetto al passato».



Reinventare non è facile ma soprattutto richiede una decisa volontà da parte dei diversi soggetti coinvolti e implica la chiarezza nell’applicazione di criteri innovativi perché – dice ancora Bertagna citando Einstein – «non si possono risolvere i problemi che abbiamo mantenendo la stessa impostazione che li ha creati».



Ecco allora tre parole su cui focalizzare l’attenzione in vista di un possibile rinnovamento.

La prima è “misto” ed è carica dell’esperienza di molte scuole nei mesi scorsi. Riguarda la forma dell’esperienza didattica ed educativa che sarà sempre più vissuta con una pluralità di modi, di strumenti, di condizioni: in presenza e a distanza, con risorse tradizionali e con quelle tecnologicamente avanzate, con la trasmissione diretta di contenuti e con momenti di esplorazione e scoperta da parte degli studenti – pur se all’interno di percorsi guidati dai docenti – sfruttando le enormi potenzialità dei sistemi digitali. Gli amanti dei neologismi all’inglese parleranno di didattica blended (mista) e di approccio phygital (insieme physical e digital); ma tutti poco o tanto faranno esperienza di queste mescolanze.



La seconda parola è “apertura”, applicata nel modo più esteso possibile e declinata in diversi ambiti. Apertura all’innovazione tecnologica, come abbiamo appena detto: un’apertura curiosa ma critica, intelligente ma vigile, con una speciale preoccupazione per le implicazioni pedagogiche e culturali di una esposizione intensa e scontata agli ambienti digitali, ai loro ritmi e alla loro frammentarietà.

Ma apertura anche alle culture, a tutto ciò che è “altro”, educando a un approccio positivo e non superficiale. Come pure apertura al territorio e a tutti quegli input che vengono dal di fuori della scuola e che possono tradursi in opportunità di conoscenza, di crescita, di arricchimento dell’esperienza scolastica. Apertura, come dice Romano Guardini citato nella frase-guida di questo numero, «all’incontro tra persone e a ciò che non è ancora, ma può essere».

Infine la parola forse più importante e che sta alla radice anche delle precedenti: personalizzazione. Essa indica l’obiettivo della trasmissione dei saperi e di tutta l’azione educativa: cioè che tutto ciò che viene proposto – contenuti, attività, conoscenze, competenze, gesti – diventi “personale”, costituisca un fattore di crescita della persona, la aiuti –sempre con Guardini – a «scoprire il senso di sé come persona umana e il suo posto nella rete sociale nella quale vive».

Che queste tre parole si possano applicare all’educazione scientifica lo confermano alcuni esempi raccontati in questo numero: vengono dal tempo del lockdown, dall’interno della vita scolastica – un liceo classico e uno scientifico – e universitaria. Le riflessioni su esperienze come queste saranno preziose per orientare il cammino, per chi lo vorrà intraprendere, della reinvenzione.