Al termine di un anno scolastico come quello appena concluso, sono tanti gli interrogativi che si affollano nella mente di insegnanti, studenti e genitori: sono interrogativi che invitano a trarre tutto il valore possibile dalla faticosa e movimentata esperienza vissuta e che portano allo scoperto questioni irrisolte, problematiche cruciali nella vita delle nostre scuole, che la pandemia ha certamente reso acute e urgenti.

Tra queste una domanda ricorrente riguarda l’apprendimento: che cosa hanno imparato i ragazzi in questi mesi? Le nostre scuole sono luoghi dove si fa l’esperienza di imparare? Quali sono le condizioni che consentono tale esperienza?

Spesso la domanda nasconde un sottofondo di pensiero già riduttivo in partenza: si fa riferimento a un insieme di contenuti da «imparare», a una somma di conoscenze da acquisire o anche di abilità, di procedure da saper riprodurre. In base a questi obiettivi si imposta il lavoro scolastico; e se l’obiettivo è riduttivo lo saranno anche le modalità di attuazione. Così si pensa che sia sufficiente fare delle belle lezioni, che presentino organicamente tutti i contenuti di conoscenza previsti; oppure si cerca di stimolare gli allievi attraverso proposte multimediali accattivanti, per catturare il fatidico «interesse»; o ancora si pensa di liberare la creatività e l’autonomia degli studenti «ribaltando» la classe e lanciandoli nell’esplorazione.

Che la scuola sia un luogo dove imparare, è anzitutto una questione di preoccupazione educativa da parte dei docenti, di «cura», di attenzione costante ai singoli affinché mettano in campo tutte le azioni che determinano un’esperienza di apprendimento; azioni come ascoltare, ragionare, riflettere, verificare, sbagliare, correggere; azioni molto personali, nelle quali si sviluppano insieme le dimensioni cognitiva, affettiva, relazionale in un unico percorso di crescita del soggetto: è la persona tutta intera che cresce, che «impara». La preoccupazione educativa e l’attenzione di cui parliamo sono state documentate più volte nella sezione SCIENZ@SCUOLA e anche in questo numero trova esemplificazioni significative relativamente alla scuola primaria e alla secondaria di primo grado e anche in relazione ai programmi PCTO.

Quella di «imparare» è una richiesta che da sempre insegnanti e genitori rivolgono agli studenti, ma non va vista come il richiamo all’assolvimento di un dovere o come l’invito a fornire una prestazione. È una richiesta che pesca più in profondità, in un desiderio presente e vivo in tutti e soprattutto nei più giovani; è lo stesso impulso che il premio Nobel per la chimica John Polanyi vede all’origine di arte e scienza: «Le arti e la scienza sono interdipendenti: c’è una chiara somiglianza negli scopi di entrambe, e una somiglianza più sottile nel metodo. L’obiettivo, sia dell’artista che dello scienziato, è quello di dare forma al mondo circostante. Entrambi lo fanno con la ricerca di configurazioni che colleghino tra loro esperienze fino a quel momento prive di nessi; entrambi sono mossi dal medesimo impulso: dal desiderio di imparare o, per dirla in modo diverso, di scoprire». Ciò che desideriamo scoprire è la realtà, che ci circonda nello spazio e nel tempo; scoprirla nei suoi diversi aspetti e diventare consapevoli di queste scoperte, farle nostre nel loro contenuto specifico e nel loro significato.

Nel richiedere agli studenti di imparare possiamo far leva su qualcosa che è presente dentro tutti i ragazzi, magari coperto e un po’ soffocato, ma c’è! Lo si poteva intravedere dietro le vivaci richieste di tornare in classe di molti studenti nei mesi scorsi. Lo abbiamo visto all’opera anche in iniziative apparentemente collaterali al normale percorso scolastico, come ScienzAfirenze, che ha visto studenti delle secondarie di secondo grado coinvolti con entusiasmo e serietà in attività sperimentali che hanno offerto loro – come ha dichiarato un docente – la possibilità «di scoprire la complessità dei fenomeni che la scienza indaga, di accostarsi al mondo della ricerca universitaria e di partecipare al dialogo scientifico con maggior consapevolezza».