L’immagine di un ragazzo con lo sguardo fisso sul suo smartphone, concentrato nel cercare di decifrare i segni che si susseguono sul piccolo display, può essere assunta come simbolo di un’esperienza di conoscenza che è sempre più mediata da strumenti tecnologicamente avanzati, spesso è un’esperienza individuale ed è ampiamente determinata dallo scorrere di immagini e dalla loro, più frettolosa che attenta, osservazione.
Stiamo diventando tutti grandi osservatori, solo che il fuoco in cui convergono le linee prospettiche della nostra indagine il più delle volte non è la realtà viva, con tutte le sue sfaccettature e i suoi segreti, bensì lo spazio ridotto e fittizio di uno schermo popolato da pixel in rapido mutamento.
In effetti la conoscenza si è sempre basata sull’osservazione. L’osservare è un’azione e una struttura fondamentale dell’esperienza conoscitiva e ciò vale in modo speciale per la conoscenza scientifica.
All’origine di ogni nuova acquisizione di sapere c’è l’atto del ricevere e raccogliere tutta la ricchezza di informazioni che la realtà offre; e c’è il lavoro di rappresentare quanto si è osservato nel modo più preciso ed efficace possibile, con tutti i mezzi disponibili, per consentire lo sprigionarsi delle domande e la elaborazione dei tentativi di spiegazione.
Oggi queste azioni di osservazione e rappresentazione sono enormemente potenziate dalla disponibilità di strumenti e metodi che rendono facilmente accessibili, duplicabili e utilizzabili i dati raccolti, il più delle volte tradotti in immagini, diagrammi e schemi grafici. Si può in tal modo far leva, nel processo conoscitivo, sulla potenza comunicativa delle immagini e insieme sull’attitudine al “pensiero visivo”: quest’ultimo si sta sempre più diffondendo grazie anche alla smisurata quantità di immagini veicolate capillarmente dal web e che tendono a sostituire il linguaggio verbale grazie alla loro immediatezza e ricchezza comunicativa.Ne ha fornito una eloquente documentazione la mostra In oculisfacta-Il ruolo dell’immagine nella conoscenza scientifica, curata da Associazione Euresis e Camplus e allestita per il Meeting di Rimini nell’agosto scorso.
Tutto ciò può costituire una importante risorsa per la ricerca e anche per l’educazione scientifica; a condizione però che la dimensione “visiva” non venga assolutizzata e che, a livello educativo, venga integrata con tutte le altre componenti del pensiero che determinano il processo di apprendimento, non trascurando in alcun modo, ad esempio, la funzione fondante del pensiero verbale, né la rilevanza delle esperienze fisicamente realizzate nelle attività laboratoriali. Occorre offrire occasioni di sviluppo di tutti i canali cognitivi, valorizzandone le differenze e i diversi contributi e prendendo coscienza delle criticità.
Ad esempio, proprio sul piano educativo, non può essere ignorata la rilevanza del “fattore tempo”, soprattutto per quanto riguarda le immagini veicolate dai media (si veda anche Relazione ed educazione all’epoca del web): quella stessa caratteristica per cui l’immagine viene apprezzata, cioè l’immediatezza comunicativa, ha in sé anche il rischio di diseducare al pensiero riflessivo, di far diventare conclusioni delle semplici impressioni, di fermarsi all’apparenza, accontentandosi della prima momentanea reazione sensoriale rinunciando a pensare in profondità.
Un tema che potrebbe aiutare a ritrovare una posizione aperta e non riduttiva è quello delle illusioni ottiche: i sensi, e tutti gli strumenti che li potenziano, sono lo strumento irrinunciabile che la ragione può utilizzare per conoscere la realtà; ma possono trarre in inganno e vanno perciò impiegati in stretto rapporto con tutti gli altri aspetti del pensiero razionale.
Purtroppo la questione delle illusioni visive, quando è considerata lo è prevalentemente in chiave minimalista e scettica, solo per avallare la posizione di chi non riconosce la portata conoscitiva delle scienze o più in generale di chi sostiene l’impossibilità di una effettiva esperienza di conoscenza.
Gli studi sulla visione umana, sostenuti dagli sviluppi delle neuroscienze, sembrano smentire tale posizione. Scriveva Alessandro Farini sul n.73 di Emmeciquadro in Le illusioni ottiche e il nostro cervello: «Non vi è alcun dubbio che le illusioni ottiche nascano in molti casi da un’interpretazione che il nostro cervello fa della realtà, ma è tutt’altro che certo che questa interpretazione sia rivolta a ingannarci. D’altronde per quale ragione il nostro cervello vorrebbe ingannarci? Quello che accade in moltissime situazioni è che l’interpretazione del nostro cervello, che viene a modificare il segnale che è fornito dalla realtà, ci aiuta a vedere meglio la realtà stessa».
Aiutare a vedere meglio la realtà: è questo l’obiettivo di ogni impresa conoscitiva e di ogni azione educativa. Ma per raggiungerlo non bastano dei buoni occhi e neppure solo dei buoni strumenti: serve una ragione ben educata, aperta, critica e curiosa.



 

Mario Gargantini
(Direttore di Emmeciquadro)


© Pubblicato sul n° 83 di Emmeciquadro

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