Si parla tanto, nella scuola e fuori dalla scuola, dell’importanza delle discipline STEM – Science, Technology, Engineering, Mathematics –  per la formazione di persone che siano poi in grado di affrontare la complessità di un mondo in rapido e continuo cambiamento sostenuto e sospinto proprio da quelle quattro dimensioni e soprattutto dalla loro interazione e interconnessione.



Una diffusa e maggiore preparazione tecnico-scientifica è senz’altro un’esigenza del momento presente; come pure la necessità di far interagire le diverse discipline uscendo dalle strettoie di uno specialismo esasperato, inadeguato a rispondere a tanti nuovi interrogativi. È un messaggio che arriva prepotentemente dal mondo della ricerca, supportato da numerose testimonianze e dal valore dei traguardi conoscitivi raggiunti. Non ultimi quelli conseguiti dai vincitori dei premi Nobel 2023, di cui si parla in queste pagine; in particolare il Nobel per la Chimica il cui team vincitore «rappresenta una sinergia di competenze, unendo la fisica di Ekimov, l’esperienza sui semiconduttori di Brus e la maestria nella sintesi chimica di Bawendi. Questa multidisciplinarità si è rivelata cruciale per comprendere e spiegare il comportamento dei Quantum Dots, dimostrando come la collaborazione tra campi scientifici differenti possa portare a risultati straordinari».



L’insistenza per le STEM sta trovando molti riscontri positivi: sembra che si stia verificando un consistente ritorno, a livello mondiale, dell’iscrizione dei giovani alle facoltà scientifiche e tecniche, soprattutto in vista dei possibili vantaggi nella futura carriera lavorativa. Anche se non mancano le voci divergenti; come quella del Nobel per l’economia Christopher Pissarides che, in una recente intervista a Bloomberg, smorzava l’enfasi sulle STEM prefigurando una rapida obsolescenza delle competenze tecnico-scientifiche minacciate dalla concorrenza, vincente, dell’Intelligenza Artificiale. Per le scuole Pissarides suggeriva di puntare non sulle discipline ma sulla cura delle soft skill, ritenute più importanti nei contesti lavorativi attuali e meno sostituibili dai loro surrogati tecnologici.



Entrambe le prospettive ci sembrano insufficienti perché colgono solo una parte delle questioni che sono in gioco quando si parla di scuola e formazione; in entrambi i casi c’è uno sbilanciamento sulle esigenze del contesto, del mondo del lavoro, di un futuro non meglio definito. Invece l’accento andrà posto sulla persona del giovane che sta crescendo e sul suo bisogno profondo di scoprire la realtà, di imparare a leggerla nelle sue diverse espressioni, di interagire con tutto e con tutti. Da questa angolatura si può cogliere anche il valore delle STEM e delle soft skill considerate, più che per le richieste del mercato, per le loro valenze educative come contributo alla crescita e alla formazione integrale della persona.

È la sfida che Carlo Fedeli, in un precedente numero di Emmeciquadro, così invitava a raccogliere: «mi sembrerebbe molto urgente, come insegnanti, anche aiutandosi a reggere insieme la vastità della sfida, metter mano in prima persona da un lato a una tenace e coraggiosa “fisioterapia” dei sensi e dell’intelligenza, in noi e attorno a noi; dall’altro, all’esercizio di una ragione più capace di rapportarsi in presa diretta al reale, nella vivezza del suo accadere e nella ricchezza del suo divenire. Una ragione più sensibile, più ampia e più comprensiva della ragione moderna e dei suoi schemi: in grado di prestare meglio attenzione alla realtà, all’esperienza e alla profondità di campo di entrambe».

Questa proposta dice molto di più del richiamo all’approccio multidisciplinare e interdisciplinare; e contiene molto di più anche dell’invito a focalizzarsi sulle soft skill, che rischia di limitarsi allo sviluppo di attitudini comportamentali senza rispondere alle aspettative profonde della persona e alle esigenze di costruzione di personalità solide e mature.

È una proposta che si sintetizza nell’appello programmatico “Educare insegnando”, secondo quanto auspicava qualche tempo fa su IlSussidiario.net, Giorgio Chiosso: «Occorre anche dire a voce alta che abbiamo bisogno di insegnanti-educatori e non solo abili addestratori; adulti capaci di buone relazioni, di stimolare le risorse degli allievi, giustamente severi ma anche ragionevolmente comprensivi».

La preoccupazione dei docenti quindi sarà non tanto quella di rincorrere l’ultimo grido delle discipline STEM ma quella di puntare alla persona insegnando tali discipline; per poter dire, come fa Silvia Orlati raccontando la sua esperienza nell’ambito del progetto LdR, Il Linguaggio della Ricerca: «La sfida è vinta quando scatta il gusto nell’imparare. Un docente, che sia cosciente del mestiere che fa, non può non entrare in classe se non per questo: mobilitare tutte le sue energie e quelle degli allievi per sviluppare o sostenere in loro il gusto della scoperta».

 

Mario Gargantini
(Direttore di Emmeciquadro)

 

© Pubblicato sul n° 86 di Emmeciquadro