Sono giorni di premio Nobel e viene più che mai spontaneo interrogarsi sui vincitori, sulla loro formazione, su cosa ha determinato il loro successo, il fiorire dei loro talenti al punto da conseguire, nelle rispettive discipline, risultati così rilevanti da rappresentare avanzamenti nella conoscenza che diventano subito patrimonio di tutti e, possibilmente, a servizio di tutti.



Che cosa permette di far emergere i talenti? Quali sono le condizioni per scoprire e far crescere il talento? E ancor più: è una questione che riguarda pochi eletti, brillanti e superdotati? E che ruolo hanno in questo la scuola e, in generale, le agenzie educative?

Tra i vincitori del premio Nobel per la chimica 2024 troviamo un giovanissimo John M. Jumper (classe 1985), che brucia le tappe del percorso formativo con una laurea in fisica matematica alla Vanderbilt University, un master in fisica della materia condensata all’Università di Cambridge e il PhD in chimica teorica all’Università di Chicago. Entrato in Google Deep Mind guida un team di ricerca sull’Intelligenza Artificiale che nel 2018 arriva alla prima versione di Alpha Fold, un sistema di Deep Learning per la previsione della struttura delle proteine. Inizia così una escalation di applicazioni e risultati, accompagnata da una raffica di riconoscimenti (il Nature’s 10 nel 2021, il BBVA Foundation Frontiers of Knowledge nel 2022 e il Breakthrough Prize in Life Sciences nel 2023) culminati col Nobel.



Agli inizi della storia dei Nobel troviamo un altrettanto giovane Guglielmo Marconi che arriva a 21 anni, totalmente da autodidatta, a scoprire la possibilità di trasmettere a distanza le onde elettromagnetiche, a intravvederne le straordinarie applicazioni e a realizzarle diventando imprenditore pur senza interrompere il suo cammino di ricerca.

Jumper e Marconi hanno trovato il modo migliore per sviluppare i loro talenti: uno in prestigiosi atenei americani e poi nello stimolante e competitivo ambiente di una startup della Silicon Valley; l’altro nel laboratorio personale allestito dapprima nella soffitta della villa di famiglia e più tardi a bordo del panfilo Elettra. Entrambi rivelano una parte di eccezionalità e una di normalità e hanno qualcosa da dire circa il tema del talento sollevato all’inizio; a entrambi si possono applicare le osservazioni conclusive dell’astrofisico Andrea Banzatti «Al di là delle scoperte grandi o piccole e del clamore che fanno, la cosa più affascinante per me è sempre la stessa […] Il fascino di una natura che ci comunica continuamente attraverso piccoli segni, per chi è disposto al sacrificio di imparare ad ascoltare. La storia della scienza e di ogni scienziato è fatta molto di più da questo che dalle grandi scoperte, che possono arrivare ma non giustificano da sole il tempo, l’energia, e la passione che si spendono giorno dopo giorno nella vita di ciascuno di noi».



Questo non vale solo per la ricerca ad alto livello e può essere trasferito nella scuola e nell’educazione scientifica, soprattutto se questa viene condotta secondo quello che più volte abbiamo indicato in queste pagine: il metodo dell’esperienza. Proprio quello di cui parlano Andrea Gorini e Paola Bruno Longo: «La conoscenza nasce dall’esperienza, quindi anche in matematica occorre fare esperienza; ma poi bisogna giudicarla, sintetizzarla, trovare una struttura comune a diverse situazioni, rappresentare, generalizzare […] anche l’apprendimento di un algoritmo di calcolo può essere un’esperienza di esplorazione e di scoperta». E non si sta parlando di geni o di situazioni eccezionali: «La possibilità di comprendere è per tutti, qualcuno farà una strada più lunga, qualcuno solo pochi passi, ma con la consapevolezza comunque di essere capace». Persone come Jumper e Marconi hanno fatto tanta strada in poco tempo; altri faranno poca strada in più tempo; ma la possibilità è per tutti e la scuola ha il compito di attuare tale possibilità.

Il metodo dell’esperienza favorisce la scoperta e la valorizzazione dei talenti che tutti hanno perché mette la persona in relazione con la realtà, in tutta la sua ricchezza e varietà, e non con aridi parametri che servono solo a misurare prestazioni e risultati. E non solo. Può diventare fattore di moltiplicazione dei talenti: spesso succede che – come documenta Emanuela Occhipinti raccontando un lavoro multidisciplinare in una Secondaria di primo grado – la scoperta e la comprensione di alcuni aspetti della realtà apra al desiderio di continuare l’esplorazione e attivi risorse e capacità insospettate; a tutto vantaggio del cammino educativo.

 

Mario Gargantini
(Direttore di Emmeciquadro)

 

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