Parole, immagini, audio, video: sono le tante facce del diluvio informativo al quale siamo sottoposti senza tregua e dal quale fatichiamo a difenderci. Anche perché quelle che sembrano utili informazioni spesso si rivelano essere delle fake news e quella che sembra una situazione ottimale per aiutarci a conoscere e capire il mondo diventa per lo più un ostacolo alla formazione di un giudizio consapevole sulle cose.



«È tipica del nostro tempo – scrive Maurizio Redaelli in Il pensiero critico all’epoca del web – l’illusione che molte informazioni significhino molta conoscenza, che affastellare dati significhi di per sé aver ottenuto conoscenze maggiori».

A ciò si aggiunge un aspetto tipico del nostro tempo e cioè l’ampia e martellante diffusione di immagini fino alla loro prevalenza sulla parola, il che tende a «far predominare la reattività e l’istintività sulla riflessione e a privilegiare il pensare per analogia a scapito della ricerca dei nessi di causalità: in questo modo diventa evanescente il confine fra la pura coincidenza e il nesso causa-effetto».



Si ripropone allora in modo nuovo il problema delle condizioni e della possibilità di esercitare un pensiero critico, che porti a una «intelligenza della realtà che non sia illusoria». Qui vengono interpellati direttamente gli educatori e tutto il sistema scolastico.

Ci si deve domandare: la scuola educa a pensare criticamente? Come si forma il pensiero critico? E più nello specifico: l’insegnamento delle discipline scientifiche – che dovrebbero essere il luogo per eccellenza di espressione e costruzione della capacità critica – quale contributo può offrire in proposito?

A ben guardare, tra le pagine passate e recenti di Emmeciquadro si trovano disseminati numerosi resoconti di esperienze significative e diverse riflessioni che danno indicazioni utili e aprono prospettive concrete.



Per rispondere comunque a quegli interrogativi bisogna prima ridomandarsi cos’è il pensiero e cosa vuol dire critico. C’è oggi una visione riduttiva del pensiero, considerato solo come un insieme di parole, una galleria di immagini, una collezione di informazioni senza la preoccupazione di una effettiva corrispondenza con la realtà e senza il riferimento all’esperienza della persona che affronta la realtà unitariamente.

È una visione che minaccia di risultare perdente di fronte alla concorrenza, cioè alle macchine e ai sistemi di Intelligenza Artificiale che ormai sembrano in grado di competere con gli umani quanto a capacità e velocità di elaborazione di parole, immagini, informazioni.

Anche sull’esercizio della critica ci sono semplificazioni o estremizzazioni. Si fa troppo facilmente coincidere critica con dubbio e si riduce l’atteggiamento critico al puro atto dubitativo che, se diventa caratteristica costante ed esclusiva dell’approccio alla realtà, rischia di paralizzare il processo conoscitivo e di chiudere le porte all’esperienza della scoperta e al gusto di crescere in un cammino di conoscenza della verità delle cose.
Il pensiero critico è invece mosso proprio dal desiderio di conoscenza e si sviluppa attraverso una serie di azioni e di esperienze attivabili fin dall’inizio del percorso scolastico e attraverso tutte le discipline, a partire da quelle scientifiche ma non solo. Il pensiero critico è quello che – di fronte a un fenomeno naturale, o a una vicenda storica o a una new intercettata su Internet – si predispone a vagliare, selezionare, confrontare, distinguere, interrogare, verificare, collegare; fino a far diventare queste azioni un habitus, una modalità normale di affronto di qualunque situazione, di qualunque problema.

È quello cui fa riferimento Luca Botturi, per esempio quando parla di «smontare la macchina» di Google o quando – a fronte della diffusa convinzione della facilità e rapidità di soluzione dei problemi offerta dalle molte App didattiche oggi disponibili – osserva che «un conto è risolvere un problema e un conto è capirlo».

Ed è quello che viene documentato dalle esperienze descritte nei contributi di Benedetta Ferioli e Tecla Gomba e nel resoconto della ricerca geologica che ha portato studenti di quarta liceo scientifico a vincere il primo premio di ScienzAfirenze 2022, dimostrando la praticabilità di ciò che è espresso nelle Indicazioni Nazionali per il liceo scientifico: «Il percorso dall’ideazione dell’esperimento alla discussione dei risultati ottenuti aiuta lo studente a porre domande, a raccogliere dati e a interpretarli, a porsi in modi critico di fronte ai problemi, acquisendo man mano gli atteggiamenti e la mentalità tipici dell’indagine scientifica».

 

Mario Gargantini
(Direttore di Emmeciquadro)

 

© Pubblicato sul n° 82 di Emmeciquadro