IL SISTEMA EDUCATIVO E IL FUTURO DEL TECH IN ITALIA: IL PUNTO CON IL FOUNDER DI GENENTA SCIENCE

Pierluigi Paracchi è founder, chairman and CEO di Genenta Science, una sorta di “spin-off” dell’Ospedale San Raffaele, e rappresenta non da oggi una delle menti più acute e brillanti del panorama imprenditoriale del nostro Paese: in un dialogo riportato oggi sul “Sole 24 ore” con Paolo Bricco, l’originario di Novate Milanese (classe 1973, figlio di una cugina di Giovanni Testori) mette in allerta il sistema delle aziende italiane nei giorni in cui i Della Valle cedono parte di Tod’s e i Moratti vendono la storica Saras.



Secondo Paracchi, il rischio – anzi, il paradosso – che permane in Italia con il sistema educativo scolastico è assai simile a quello che intercorre sul futuro delle imprese tecnologiche: «il venture capital in Italia è piccolo, La prevalenza degli investitori pubblici rappresenta un fattore preponderante […] Da noi la sproporzione fra il pubblico e il privato è assai significativa». Il grosso rischio è che anche laddove vi siano in Italia aziende con alto potenziale, appena raggiunge un livello di ottima maturazione «non esiste uno strato italiano di investitori specializzati che possano diventare partner di lungo periodo. E spesso accade che, nel capitale, subentrino fondi e operatori stranieri che beneficiano di quanto prodotto dal nostro sistema nazionale». Ebbene, sottolinea ancora Paracchi con Bricco sul “Sole”, nella nuova imprenditorialità di questi tempi che si intreccia con un alto contenuto tecnologico, il rischio «è che si ripeta il paradosso del nostro sistema educativo». Il paragone è presto che spiegato: ogni bimbo frequenta le elementari, poi le medie e poi le superiori con in media ancora buoni standard di qualità: «Poi, ormai adulto, si iscrive in una delle nostre università dove il rapporto fra il livello medio della formazione offerta e il costo delle rette a carico delle famiglie è fra i più convenienti al mondo».



PARACCHI: “LE SCIENZE DELLA VITA, PIÙ PROBABILITÀ DI RADICAMENTO IN ITALIA”

A quel punto però il bimbo divenuto grande può sviluppare passione per la ricerca e usufruendo della strutture italiane, può ambire fino al dottorato: «Alla fine, va all’estero e ci rimane lavorando in Nord America o in Asia. Spesso non torna più in Italia, se non per le vacanze». Ecco, afferma Paracchi ancora al “Sole 24 ore”, i rischi sono gli stessi anche per le aziende italiane nei diritti di proprietà e pure nel posizionamento e nella traiettoria strategica: «con le imprese high-tech può capitare la stessa cosa». La società fondata da Pierluigi Paracchi, Genenta Science, ha una tecnologia basata sull’ingegnerizzazione di cellule staminali del sangue per il trattamento e la cura dei tumori, ed è ad oggi l’unica società italiana quotata al Nasdaq di New York.



Nel suo “invito” ad una crescita del capitalismo italiano, l’imprenditore lombardo punta sicuramente a maggiori investimenti per sostenere le realtà nuove e le aziende in rampa di lancio, ma serve ancora maggior “coraggio” alle famiglie imprenditoriali del Paese: l’ambito dove sicuramente ancora diciamo “la nostra” sulla scena internazionale, con innovazione e competenza, è nell’area tecnico-scientifica sulle “Life Sciences”. «Le scienze della vita e le biotecnologie sono una componente meno fragile e più coesa rispetto al resto dell’innovazione disruptive che si prova a fare nel nostro Paese», spiega Paracchi, sottolineando come le biotecnologie «possono contare, nel nostro Paese, su una infrastrutturazione materiale e immateriale di buon livello, di ampia diffusione e di costo contenuto. Abbiamo un sistema sanitario che, nonostante la crisi degli ultimi anni e le differenze territoriali, ancora tiene bene. I centri di eccellenza competono con il meglio degli Stati Uniti». Dal San Raffaele allo IEO, dal Candiolo al Bambin Gesù, l’elenco di Paracchi è lungo: «Per questo ho scelto un comparto che ha più probabilità di conservare anche una base tecno- produttiva e un radicamento, nell’equity e nella strategia imprenditoriale e scientifica, nel nostro Paese. La nostra tradizione riduce la probabilità di una veloce perdita di controllo a favore di centri decisionali in toto stranieri».