“Crescere, una questione di incontri”. Il Meeting il 23 agosto mette a tema così il disagio di bambini e giovani, in un appuntamento moderato da Elisabetta Soglio del Corriere della Sera cui parteciperanno Paolo Lattanzio, di Save The Childern, Alberto Pellai, medico, psicoterapeuta e scrittore e Claudio Burgio, cappellano del carcere minorile Beccaria di Milano.
Proprio a quest’ultimo abbiamo chiesto di anticipare alcune delle riflessioni della serata alla luce della sua esperienza nell’istituto penale per i minorenni. I ragazzi sono in preda a un’ansia di prestazione, si sentono pressati da una cultura che chiede risultati a tutti i costi. E quando non riescono ad adeguarsi a queste aspettative cedono anche alla violenza. Sono diffidenti di fronte al mondo adulto, per fare breccia bisogna riuscire a entrare in dialogo, cercando di capire il loro linguaggio, il loro modo di essere, la loro musica.
Chi sono i ragazzi di oggi?
Sono figli di questa cultura della prestazione, dei risultati a tutti i costi. Ragazzi che se la giocano in tutti i modi per essere visti, per essere qualcuno, che confondono il ben-essere con il ben-avere. E quando si accorgono di non riuscire a ottenere i risultati sperati cadono in una depressione che a volte sconfina in malattia psichica, disagio e anche violenza. Hanno l’idea di farsi da soli, di poter contare solo sulle proprie forze. Per loro l’adulto non esiste, è irrilevante, pretende prestazioni sempre all’altezza, per questo si ribellano.
Sono soli? Rifiutano l’adulto a prescindere o lo fanno perché non li capisce?
Certamente entrambe le cose. Da una parte c’è un adulto che pensa di riuscire a comprendere ma che in realtà è molto lontano dal vissuto dei figli, poi c’è anche il ragazzo che a un certo punto si autopercepisce come una solitudine. A un certo punto, annullando questi padri, questi adulti assenti, fa di testa sua. Si concepisce in maniera autarchica.
Gli adulti sono assenti o, se ci sono, non li ascoltano?
Sì. Da una parte l’adulto non conosce il loro mondo, i loro linguaggi, vedi quello musicale, ma tende anche a portare i ragazzi dove vuole lui, a indicare qual è l’orientamento di vita: “Ti dico io cosa è giusto e cosa è sbagliato”. Un adulto che, certo per amore, per ansia di protezione, però non lascia liberi questi ragazzi di decidere il loro destino.
Le loro reazioni, quindi, sono un tentativo di uscire da questa “gabbia”?
Sì, si può anche intendere così. Al Beccaria non arrivano solo ragazzi con genitori assenti ma anche molti che hanno famiglie troppo presenti. L’adulto quando è presente ossessivamente genera questi vissuti di ansia da prestazione.
Al di là della famiglia hanno altri punti di riferimento?
Anche la scuola, che potrebbe essere una seconda famiglia per le ore che un ragazzo ci passa, spesso vive nell’astrattezza. Si affrontano problematiche e discorsi che sono lontani dal vissuto dei ragazzi. Molti di loro a un certo punto rinunciano anche perché genera ancora una volta una sorta di ansia da prestazione. Fino a che tutto ruota intorno al voto, al risultato, quelli che sanno rimanere all’altezza della situazione si lasciano includere, altri abbandonano la scuola. Il fenomeno della dispersione scolastica in Italia si sta allargando: ci sono regioni come la Sicilia dove il tasso di dispersione è altissimo.
È una questione di programmi o di approccio degli insegnanti? O di tutt’e due le cose?
Senza colpevolizzare nessuno, e tanto meno gli insegnanti, spesso è una questione di approccio. C’è ancora l’idea che nel ruolo adulto l’insegnante debba essere rispettato, ascoltato. Ma il vero problema è che non basta l’autorità. È un adulto molto distante che sta dentro al ruolo, porta avanti il programma, ma di fatto non intercetta la vita di questi ragazzi.
Da dove bisognerebbe iniziare per cambiare questa situazione?
Certamente bisognerebbe inaugurare una cultura che non sia fondata esclusivamente sulle eccellenze, sulla prestazione, sul risultato, dove non ci sia la dittatura del profitto, del successo a tutti i costi. Occorre che l’adulto si riposizioni di fronte a questa realtà. Un obiettivo ambizioso ma indispensabile: i ragazzi ci stanno dicendo in tutti i modi che questa cultura porta solo al caos, alla solitudine.
Ma quando capiscono che c’è un adulto che si interessa veramente a loro i giovani cambiano atteggiamento? Con i ragazzi del Beccaria cosa succede?
Rispetto a un decennio fa è complicato. Sono ragazzi che non sono abituati a parlare con l’adulto. Essendo molto chiusi, molto isolati rispetto al mondo adulto, non è facile entrare in un rapporto di fiducia. E la prima cosa da fare è proprio restituire loro la fiducia e delle figure credibili. Figure che partono dagli interessi dei ragazzi e non solo dalle proprie aspettative. Per esempio si può partire, come è successo nelle nostre comunità, dalla musica trap. Sembra qualcosa che non abbia a che fare con il bravo ragazzo che si rimette in pista eppure a volte è stata uno strumento importante per entrare in discorsi più profondi. Non bisogna demonizzare nulla ma guardare al loro linguaggio e alle loro mode e saperci entrare in dialogo.
Alla fine bisogna interessarsi a loro.
Non bisogna scandalizzarsi del loro modo di pensare, del loro modo di vivere, occorre cercare nuovi significati insieme a loro, non sopra di loro.
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