Una legge per contrastare la dispersione scolastica “mediante l’introduzione sperimentale delle competenze non cognitive nel metodo didattico”. L’idea è bipartisan, o meglio trasversale, ed è nata nel febbraio 2020 all’interno dell’Intergruppo parlamentare per la sussidiarietà. Oggi è una proposta di legge (n. 2372) uscita dal vaglio della Commissione e all’esame dell’Aula. Il relatore è Paolo Lattanzio (Pd), che nel suo intervento ha citato il contributo teorico del premio Nobel americano James Heckman e di Giorgio Vittadini, docente di statistica metodologica nell’Università di Milano Bicocca e presidente della Fondazione per la Sussidiarietà, che studia da anni le competenze non cognitive o character skills e vi ha dedicato numerosi saggi.
Lattanzio ha spiegato al Sussidiario gli obiettivi della legge, sgombrando il campo da alcuni possibili malintesi (“non si tratta di una materia in più”) e circostanziando alcuni punti chiave: la sperimentazione, la formazione dei docenti, il ruolo dell’autonomia scolastica.
Se non è una nuova disciplina, di cosa si tratta?
È la sperimentazione di un approccio educativo. È bene precisarlo, perché su questo si sono alimentati degli equivoci. Non andremo ad insegnare il “problem solving” piuttosto che la “capacità di cooperare” o simili. Si tratterà invece di valorizzare le capacità non cognitive, fra cui quelle relazionali, non solo cognitive, che in diverse forme sono già presenti in ognuno di noi.
Se le competenze non cognitive contemplano aspetti così diversi – gestire le emozioni, sviluppare una mentalità aperta, coltivare l’empatia, la stabilità emotiva, il pensiero creativo e quello critico – in che cosa è deficitario l’attuale insegnamento?
Non voglio giudicare gli insegnanti e la scuola italiana, mi interessa la parte innovativa della legge su temi pedagogici dei quali si occupano già professionisti autorevoli in Italia e all’estero. Ma è evidente che ci sono problemi relazionali che la pandemia e l’emergenza sanitaria e socioeducativa hanno fatto emergere in maniera chiara. Pensiamo soltanto al bombardamento di informazioni che investe i nostri giovani, e nello stesso tempo alla loro solitudine, allo stress dovuto al diradamento delle relazioni, al crollo delle interazioni fisiche e al sovraccarico di parole che richiamano la morte, la malattia, la perdita. Siamo immersi in una complessità che non è più affrontabile valorizzando all’interno della scuola soltanto le competenze tradizionali e il trasferimento di conoscenze.
Qual è la strada da intraprendere?
Occorre approcciare le discipline tradizionali sapendo che gli studenti sono persone a tutto tondo, con emozioni, sensibilità e una capacità di razionalizzare differente. E qui si vede la differenza.
In che senso?
Le character skills possono valorizzare al meglio anche le competenze hard, perché mettono in gioco la persona nel suo insieme. Vorrei sottolineare una cosa molto importante.
Prego.
Siamo tutti convinti che molti docenti italiani abbiano già un’attenzione particolare a questi temi. Ma ora tocca all’istituzione. Il ministero delI’Istruzione varerà una sperimentazione che vogliamo attivare subito, già dal prossimo anno scolastico, fin dalla scuola primaria.
Era necessaria una legge?
Sì, perché altrimenti non saremmo mai partiti. Il parlamento, con una maggioranza trasversale e un consenso ampio, fa una legge con la quale sancisce che le competenze non cognitive diventeranno sempre più centrali per la formazione in Italia, dalla scuola al mondo del lavoro, che del resto ha già un atteggiamento fortemente premiante in questa direzione.
Non crede che l’autoreferenzialità tipica del mondo della scuola possa essere un ostacolo?
Io dico di no e credo che la legge valorizzi il lavoro che molti docenti, non tutti, già stanno facendo. Sono anche convinto che la legge sulle competenze non cognitive, con la formazione, la sperimentazione e la valutazione che prevede, ci aiuti ad uscire da quella retorica dei professori italiani che con abnegazione buttano il cuore oltre l’ostacolo. No: non c’è dedizione senza professionalità aggiornata e senza uno Stato che stimoli, indirizzi e innovi attraverso il ministero competente.
Cosa intende dire?
Molti docenti hanno grande sensibilità e la mettono in pratica, ma ci sono intere aree geografiche che soffrono più di altre di abbandono scolastico e dispersione. Il ministero dell’Istruzione deve mettere tutta la scuola italiana in condizione di fare un salto in avanti, di essere all’altezza delle sfide del futuro e dei cambiamenti del mondo, in tutta la sua complessità.
Eccoci quindi alla sperimentazione.
Una sperimentazione triennale che formi i docenti in tutte le scuole di ogni ordine e grado, compresi i Centri provinciali per l’istruzione degli adulti e gli IeFP. Con valutazione finale della sperimentazione ed elaborazione di linee guida.
Ma chi indirizza la sperimentazione?
Ci saranno delle linee di indirizzo provvisorie, quelle definitive verranno alla fine. Serve tempo per decidere, vedere che cosa accade sul campo e valutare la sperimentazione.
Punti problematici?
Non ritengo adeguato che si sia una catalogazione preliminare di tutte le non cognitive skills. C’è un’ampia letteratura scientifica e una serie di importanti esperienze pedagogiche in giro per il mondo, ma dobbiamo calare tutto questo nella realtà italiana. Ad esempio, l’essere estroversi nella nostra cultura ha un significato ed esprime potenzialità che in Oriente hanno un senso completamente diverso. Per questo saranno importanti le linee guida elaborate al termine dei tre anni. Su di esse si pronuncerà il Parlamento.
Chi formerà i docenti?
All’articolo 2 prevediamo che per favorire lo sviluppo delle competenze non cognitive nei percorsi scolastici, il ministero dell’Istruzione predisponga entro 4 mesi dall’entrata in vigore della legge un piano straordinario di azione formativa rivolto ai docenti delle scuole a partire dall’anno scolastico 2022-23. La formazione è organizzata dal ministero dell’Istruzione con la collaborazione dell’Indire delle istituzioni scolastiche, delle università e degli enti accreditati per la formazione.
Qual è nel ddl il ruolo delle autonomie scolastiche?
È fondamentale, perché la proposta di legge ha lo scopo, tra gli altri, di intercettare tutte le esperienze virtuose che ci sono nelle scuole. Anzi, dove ci sono scuole o reti di scuole autonome che già sperimentano e vogliono ampliare il lavoro che già fanno, la legge è strumento di verifica e di accelerazione importante.
I tempi?
Auspico che la legge venga approvata dalla Camera entro la fine del 2021. La discussione generale c’è già stata, se non ci fossero stato provvedimenti più urgenti l’avremmo già votata. Puntiamo a che nel prossimo anno scolastico, come dicevo, la sperimentazione sia a regime.
Sappiamo che l’Intergruppo parlamentare per la sussidiarietà ha avuto un ruolo importante. Cosa può dirci?
l’Intergruppo è la sede nella quale è nata la proposta, supportata dal lavoro di approfondimento fatto dalla Fondazione per la Sussidiarietà. I contributi sono poi arrivati da tutte le forze parlamentari. E il lavoro supplementare su quanto è successo durante la pandemia, soprattutto con la Dad, ci ha dato nuovi elementi per calibrare la proposta contenuta nel ddl.
(Federico Ferraù)
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