L’intervento del Papa al convegno ecclesiale di Verona non può lasciare indifferenti. Spetta a studiosi ed esperti una interpretazione autentica del suo discorso, ma viene naturale l’impeto di esprimere una reazione come semplice fedele.
Invece di mutuare dalle ideologie più in voga analisi sociologiche o economiciste, il Santo Padre parte dall’unico punto che può rendere interessante l’apporto di un cattolico ai problemi di tutti. Chi si dice cristiano incontra nella realtà in cui vive un Dio che si è fatto uomo, abita con lui e corrisponde ai desideri umani più veri e profondi. Come fa a guardare la realtà prescindendo da questo fatto, come fosse solo una premessa morale già saputa che non modifica lo sguardo sulla realtà? A questa esperienza quotidiana si contrappone un modo di agire e giudicare che ritiene Dio “superfluo ed estraneo” e l’uomo come “un semplice prodotto della natura, come tale non realmente libero e di per sé suscettibile di essere trattato come ogni altro animale”.
Per questo modo di pensare e agire non soffre solo chi è cattolico: è tutto il popolo e tutta la nazione a soffrirne. Infatti si diviene relativisti, si compiono “scelte politiche e legislative che contraddicano fondamentali valori e principi antropologici ed etici radicati nella natura dell’essere umano, in particolare riguardo alla tutela della vita umana in tutte le sue fasi, dal concepimento alla morte naturale, e alla promozione della famiglia fondata sul matrimonio” e paradossalmente ci si chiude invece di aprirsi alle altre culture perché non si hanno più criteri secondo cui dialogare. Non per niente in molta parte del popolo italiano, nella “gente gente”, nel mondo della scienza affascinato dalla razionalità della realtà e dell’universo, in molti uomini di cultura, anche non credenti, questa ragione chiusa al reale, che fonda un’etica inadeguata alle esigenze dell’uomo, è sentita come oppressiva e soffocante.
Perciò la presenza del cristiano e della Chiesa, come in altri secoli e oggi più che mai, è risposta al grido dell’uomo che ricerca la verità: ma come può fare a rispondere a questo immane compito storico? Anche su questo punto il Papa ci mostra la strada più ardua e semplice: la prima urgenza non è fare. La prima politica è vivere: vivere la fede, in modo dinamico e creativo, nella vita quotidiana, negli ambienti di lavoro, negli interessi della vita, come risposta alle proprie esigenze umane, cercando, in nome di essa, in ogni campo, nuove strade che permettano un’esistenza più umana per tutti, accettando con gioia di camminare con tutti coloro che sono animati da un’identica passione per i veri desideri dell’uomo.
Da questa vita nuova già in atto nasce una azione sociale originale che vuole proporre a tutti questa possibilità di rinascita e perciò sente come priorità la questione educativa – da attuarsi anche attraverso scuole cattoliche -, la tutela della vita umana, la costruzione di opere che si facciano carico di “nuove povertà, morali e materiali” in Italia e “verso le sterminate moltitudini dei poveri della terra”. Da questa vita nuova nasceranno politici, fedeli laici, che con responsabilità autonoma cercheranno realmente la giustizia contro ogni prevaricazione di potenti o dello Stato. Mentre il vecchio mondo crolla il nuovo è già cominciato.
© Il Giornale



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