L’indagine Ocse-Pisa 2006 ha portato molti ad affermare che le scuole private in Italia sono le peggiori in Europa e che, in termini di punti dei parametri internazionali, le differenze a favore degli studenti delle scuole pubbliche sono di 11 punti in matematica, 14 nelle materie scientifiche, 3 nella lettura. Non solo, gli alunni delle private con il loro 4% rispetto al totale, sono considerati responsabili di abbassare la media nazionale e di rendere il distacco dall’Europa un abisso sulle conoscenze scientifiche, dove i risultati italiani sono già poco brillanti.
Questa interpretazione merita, innanzitutto, alcune considerazioni sul piano strettamente statistico.
In primo luogo, è una tesi a dir poco discutibile sostenere che il 4% del sistema (686 studenti su 20.922 studenti) possa incidere in modo così pesante. Anche evitando di fare più raffinate ponderazioni, una differenza di 14 punti sul 4% del campione incide soltanto per lo 0.12% sul risultato complessivo.
In secondo luogo, bisogna chiedersi cosa significa “scuola privata” nel campione Ocse-Pisa. Le tabelle 5.4 del volume II di Ocse-Pisa 2006 assegnano il 96,4% degli studenti italiani alle scuole statali, l’1,2% alle scuole “paritarie” (Governement-dependent private schools), il 2,4% alle scuole “private” (Governement-independent private schools). Per “Governement-dependent private schools” l’Ocse intende quelle scuole che ricevono da agenzie governative almeno il 50% o più dei fondi necessari a supportare i servizi educativi di base. Poi, però, Ocse-Pisa mette insieme le scuole private paritarie e le scuole private non-paritarie in modo che, secondo un’elaborazione Invalsi (Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione), le scuole “private” comprendono le scuole paritarie, le scuole professionali delle province di Trento e Bolzano, i corsi offerti dai Centri di Formazione Professionale (Cfp – Legge 53/2003).
In questo modo nel campione di 686 studenti di scuole non statali utilizzato per l’area scientifica, parte frequentano 56 Cfp, i cui risultati spesso dipendono dal costituire punti di raccolta dei drop-out dell’istruzione formalizzata; parte arrivano da 33 altre scuole, che comprendono “i diplomifici” (3 anni in uno), con studenti a basse performance in un sistema di istruzione incapace di recuperare chi accumula ritardi e debiti. E’ evidente, perciò, che i dati Ocse-Pisa non possono essere utilizzati per identificare le performance di tutta la scuola non statale.
In terzo luogo, occorre evidenziare come l’affermazione di inferiorità delle scuole private nasca da un’interpretazione scorretta dei dati già presente in precedenti indagini. La relazione dell’Invalsi, a commento della ricerca Ocse-Pisa 2003, afferma che, in termini assoluti, le performance tra studenti di scuole pubbliche e private non sono differenti, anche se si considera il background familiare degli studenti. Mentre, se si esclude l’effetto congiunto delle variabili esplicative “background familiare degli studenti” e “background medio delle scuole” congiuntamente considerati, si deduce un vantaggio di 27 punti a favore delle scuole pubbliche in Italia e un pareggio a livello internazionale.
Autorevoli studiosi hanno preso spunto da questo dato per affermare che esiste una superiorità delle scuole pubbliche sulle private in Italia e una sostanziale parità a livello internazionale. Si dovrebbe, invece, solo affermare che per il vantaggio, a livello internazionale, o il pareggio, a livello italiano, sono determinanti per le scuole private più che la capacità degli studenti o l’efficacia didattica delle scuole, il loro background culturale e socioeconomico. Il che è ben diverso: un conto è cercare le cause di un pareggio, altro è dire che la significatività delle variabili esplicative cambia i risultati della variabile dipendente. Anche perchè, se si escludono gli esamifici e i Cfp, il pareggio fa sì che i risultati delle private “vere” siano presumibilmente migliori.
© Il Giornale


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