Le università sono in subbuglio, e l’autunno caldo delle manifestazioni e delle occupazioni, già da tempo prospettato, non ha ritardato di un attimo. Sul piede di guerra non ci sono solo gli studenti, ma anche molti rettori, professori e ricercatori; bersaglio indistinto di tutte le polemiche sono i tagli all’università previsti in finanziaria. E il problema in effetti c’è, come ammette Giorgio Israel, perché i tagli sono pesanti e rischiano di compromettere la tenuta del sistema. Ma, per contro, non è da dimenticare la forte «irresponsabilità» che molti atenei hanno dimostrato negli ultimi anni, alla quale inevitabilmente bisognava porre un freno.



Professor Israel, partiamo dalle tanto preannunciate occupazioni: come giudica questo difficile clima di tensione che si sta creando nei nostri atenei?

È un clima pesante, ma c’era da aspettarselo. Devo infatti ammettere che sul versante università la situazione è diversa rispetto a quanto accade sulla scuola. Per il momento, infatti, il governo ha trattato il tema università solo dal punto di vista dei tagli; di provvedimenti programmatici per il momento non ce ne sono. Aspetteremo; ad esempio settimana prossima il ministro enuncerà le linee guida di fronte al CUN, e lì si cercherà di capire quali sono l’idea che il governo ha sul tema università. Per ora mi sembra che le vere proteste non siano contro il MIUR, ma contro il ministero dell’Economia.



In che cosa è sbagliata la politica di tagli fatta fino ad ora dal governo?

I tagli previsti sono incompatibili con la struttura dell’università così com’è: cioè, un certo rischio di collasso del sistema effettivamente c’è. Allo stesso modo è veramente difficile accettare quanto previsto dal governo in tema di turn-over: con tutti i docenti che andranno in pensione, se il reintegro si limita al 20% avremo un numero spropositato di cattedre che spariranno. Detto questo, bisogna però anche aggiungere che le ragioni per applicare una seria politica di tagli ci sono tutte; ma allora è il caso che il ministero dell’Istruzione e dell’Università cambi linea dal punto di vista della comunicazione, che è l’aspetto su cui fino ad ora si è dimostrato più debole, e cerchi di far capire ai diretti interessati su quali linee si sta muovendo.



Dunque c’è un aspetto ragionevole e necessario nella razionalizzazione che il governo sta imponendo all’università: quale?

Diciamo che il governo ha deciso di mettere brutalmente le università di fronte alle proprie responsabilità. E queste responsabilità ci sono, è innegabile. Nelle precedenti legislature i governi hanno fatto cose anche molto sbagliate, dalla riforma del 3+2 a un’autonomia universitaria fatta male, che ha portato alla proliferazione di corsi; ma il mondo universitario, dal canto suo, ha gestito tutta questa situazione in modo disastroso e assolutamente irresponsabile.

Un esempio di questa irresponsabilità da parte delle università?

Ma basta solo guardare il numero spropositato di corsi che sono stati attivati: circa 180 mila, e alcuni di questi sono corsi da 0,5 crediti. Siamo a un livello di incoscienza veramente paradossale. Al problema numerico si aggiunge poi quello della qualità di questi corsi: a cosa potrà mai servire un corso denominato “Scienze dell’allevamento, igiene e benessere del cane e del gatto”? Che senso ha differenziare “Biotecnologie agrarie” da “Biotecnologie agro-industriali” e da “Biotecnologie industriali”? “Disegno industriale” da “Disegno industriale del prodotto”? Queste sono tutte risorse sprecate, perché è tutta gente da pagare, magari con contratti esterni. L’università si deve dunque interrogare seriamente su questa situazione.

E invece?

E invece non lo fa: l’università continua a ripetere il ritornello “dateci i soldi”, e basta. Invece deve essere in grado di proporsi e di promettere di non sprecare più denaro inutilmente, di essere virtuosi tagliando i corsi, i contratti esterni, le spese inutili per rappresentanza e feste di ogni genere. Solo così l’università può diventare credibile. Altrimenti anche certe rivendicazioni – e alcune di quelle di questi giorni, ripeto, sono condivisibili – rischiano di passare evidentemente in secondo piano.

Tornando alle politiche del governo, oltre ai tagli c’è stata qualche proposta programmatica, come ad esempio la possibilità per gli atenei di trasformarsi in fondazioni: cosa ne pensa?

Le cose vanno bene solo se le si fanno fino in fondo. Fare riforme a metà, solo con un breve accenno posto in finanziaria non porta a nessun vantaggio concreto. Soprattutto abbiamo visto spesso che le mezze privatizzazioni si rivelano poi dei fallimenti. Quindi la proposta in sé è certamente positiva; ma bisogna avere il coraggio di mettere sul tavolo un progetto completo e convincente, che possa portare alla creazione di organismi veramente autonomi e dove soprattutto si possa decidere autonomamente le tasse. In Italia abbiamo tasse bassissime, e questo è un aspetto che non viene toccato da nessuno perché si temono ritorsioni pesanti. Ma il problema è riuscire a creare realtà autonome, differenziate, in modo tale che lo studente possa scegliere in base a quanto l’università offre bilanciando qualità e peso della tassazione. E poi manca il problema centrale per creare una sana concorrenza tra atenei.

Quale?

Un serio sistema di valutazione. Senza questo non esiste la possibilità reale per gli studenti di scegliere. Ma anche nel caso della valutazione ha senso intervenire solo con l’intenzione di andare fino in fondo. Se si fanno alcune valutazioni pasticciate come è successo negli anni passati si fanno solo danni. Ad esempio, un criterio come la laurea in tempo è qualcosa che non fa altro che produrre effetti negativi: faccio corsi fasulli, promuovo tutti e divento un ateneo virtuoso che prende soldi dal governo. Questo è evidentemente un danno per l’università.

Quindi il torto sta più dalla parte del governo o dalla parte degli atenei?

Diciamo che in maniera brutale il governo ha voluto dare un segnale, come a dire “dal momento che non fate nulla, interveniamo noi”. Non dimentichiamo che anche il ministro Mussi era stato brutale nei suoi interventi per contrastare lo spezzettamento e delle lauree e dei crediti. Ora però è necessario che il ministero dell’Istruzione e dell’Università inizi seriamente a cambiare dal punto di vista della comunicazione, a far capire che cosa intende fare, altrimenti si vedono solo tagli e non si sa in quale direzione vengano effettuati.