Il fatto da cui partire è il fallimento del sistema educativo nazionale dal punto di vista della didattica, ma anche da quello della mobilità sociale, della crescita della produttività, della modestia dei risultati rispetto alle risorse investite. Altri Paesi prima di noi hanno affrontato gli stessi problemi, ma hanno reagito modernizzando i loro sistemi educativi. Hanno imboccato la strada di una forte autonomia delle istituzioni educative, di una semplificazione e di una personalizzazione dei percorsi; hanno rimotivato i docenti, con nuove carriere, nuove forme di valutazione delle competenze insegnate e apprese, incentivi differenziati.



Come disgregare il blocco conservatore che respinge ogni cambiamento?

Occorre che la politica si assuma le proprie responsabilità con coraggio, perché non c’è più tempo da perdere. Servono proposte e politiche.

Le proposte:

1. flessibilità reale dei percorsi: piani orario leggeri nella parte obbligatoria, perché le scuole possano, con attività mirate, farsi carico del recupero sociale, culturale, etnico, come dell’eccellenza;



2. distribuzione delle risorse secondo criteri di equità ed efficienza. Al momento la distribuzione secondo il criterio della spesa storica ha finito per generare macroscopici squilibri, consolidare clientele e favoritismi;

3. valutazione dei risultati delle scuole e degli insegnanti, che devono abituarsi alla rendicontazione sociale, e premiazione del merito;

4. autonomia delle scuole non solo didattica, ma anche finanziaria e organizzativa, in direzione delle Fondazioni, che raccolgano intorno all’istituzione scolastica soggetti pubblici e privati del territorio;

5. piena attuazione della legge 62 sulle scuole paritarie, riconoscendo adeguati finanziamenti. I tagli “lineari” della legge Finanziaria devono essere rimodulati, in modo che non vadano a colpire il finanziamento delle scuole paritarie.



6. sviluppo di carriera per i docenti: a partire dalla proposta di legge A.C. n. 953, di cui sono prima firmataria, occorre prevedere l’approvazione di norme che garantiscano un’evoluzione di status professionale che rispetti il merito, l’impegno e le competenze che ciascun docente pone in campo;

Le politiche:

1. un Piano programmatico per la razionalizzazione dell’utilizzo delle risorse umane e strumentali del sistema scolastico, di cui all’art.64 della legge 133, che contiene la revisione degli ordinamenti scolastici, la riorganizzazione della rete scolastica, il razionale ed efficiente utilizzo delle risorse umane della scuola;

2. Il Decreto-legge 137 che introduce una nuova organizzazione del lavoro nella scuola primaria, l’educazione alla cittadinanza, i voti decimali nel primo ciclo e il voto in condotta;

3. La proposta di legge A.C. n.953, di cui sono promotrice, per la riforma della governance delle scuole, dello stato giuridico degli insegnati e la delega al Governo per realizzare la parità.

Le manifestazioni di questi giorni segnalano una domanda pressante delle giovani generazioni rivolta ai decisori politici. Il centro-sinistra risponde con la demagogia del “più soldi” e con l’evocazione del fantasma della privatizzazione del sistema. La maggioranza di governo propone il prosciugamento di tutti i canali dello spreco e riforme radicali e non più rimandabili del sistema. Questo proponiamo al Paese, alle famiglie, ai ragazzi delle scuole e dell’Università.

Per queste ragioni, dopo la piazza del 25, non ci faremo condizionare dalla prova muscolare del 30 ottobre orchestrata ad arte da tutte le forze sindacali di settore.

Tutte le sigle di quel mondo meritano rispetto e ascolto, ma non possono valere quanto la libertà di scelta educativa e la scommessa di una scuola più europea e più moderna, capace di superare l’emergenza educativa con la centralità della persona e non con soluzioni che sembrano preoccuparsi quasi esclusivamente dell’emergenza occupazionale degli addetti ai lavori.

Rispondi al sondaggio