Il sistema nazionale di istruzione spende troppo e male, e quindi necessita sicuramente di una razionalizzazione; ma questa deve essere concepita non sotto forma di «tagli brutali» calati dall’alto, ma all’interno di un dibattito costruttivo. Questa l’opinione di Gilberto Muraro, professore ordinario di Scienza delle finanze e diritto finanziario nell’Università di Padova e già rettore del medesimo ateneo, nonché membro della Commissione tecnica per la finanza pubblica durante il governo Prodi.



Professor Muraro, in questi giorni il dibattito su scuola e università verte principalmente intorno al nodo dei tagli: è secondo lei necessario adottare una politica di rigore finanziario per razionalizzare il sistema scolastico?

Per quanto riguarda la scuola sappiamo bene che il nostro Paese ha un problema strutturale, che riguarda non solo l’aspetto qualitativo ma anche quantitativo. Abbiamo infatti troppi docenti rispetto al numero di studenti, e questo è un dato certo, che ci dà una direzione di marcia su come fare a incidere sulla spesa. La domanda è: come incidere? Non certo con tagli brutali senza alcuna analisi e prospettiva, ma attraverso una riorganizzazione del sistema, che tenga conto dei risultati dell’analisi svolta dalla Commissione tecnica per la finanza pubblica. Dobbiamo ricordare che il sistema scolastico prevede la compresenza del ministero e dell’ente locale, in particolare delle Regioni. Riorganizzare questa sistema significa innanzitutto rendere più pregnante la presenza del territorio: le decisioni sulle classi e sulle scuole devono essere trasferite dal ministero, che tende a lasciare le cose inalterate, alla Regione, che dovrebbe ricevere un budget di area larga e poi articolare questo budget in maniera da fare la migliore distribuzione delle scuole e la migliore distribuzione di classi all’interno di ciascuna scuola. Con questo approccio si arriverebbe a risparmiare parecchi docenti, ma senza andare a intaccare né la qualità, né l’accessibilità.



Come può avvenire in concreto questa gestione delle risorse a livello locale?

La Regione, come detto, deve avere un budget per quanto riguarda le risorse umane determinato sulla base degli studenti, e poi deve fare una programmazione locale che permetta effettivamente di risparmiare rispetto alla situazione in cui ci troviamo oggi: troppe scuole, troppe classi ridotte, troppe deroghe a un numero di studenti inferiore al minimo previsto per legge. Tutto ciò, che può trovare giustificazione nel passato, rappresenta un lusso che oggi il nostro Paese non si può più permettere. Questo cambiamento può essere fatto sulla base di una sensibilità ai bisogni del territorio; ma deve essere fatto chiamando a raccolta tutte le forze della scuola, e non imponendo dall’alto tagli brutali.



Anche il ritorno al maestro unico rappresenta secondo lei un aspetto ri razionalizzazione del sistema, o è qualcosa di diverso?

Il maestro unico vive di vita propria, sia come problema che come soluzione. Ero stato coinvolto, quale membro della Commissione tecnica della spesa pubblica, nella riforma del 1990, quando si passò dal maestro unico al cosiddetto modulo. Quella riforma veniva portata avanti anche per esigenze didattiche, ma era evidente a tutti che la primaria giustificazione era di carattere occupazionale: si prospettava una calo demografico che avrebbe liberato molti posti, e allora si adottò una soluzione che garantisse a tutti di rimanere al lavoro. Che poi questa soluzione sia stata gestita bene e con risultati considerati soddisfacenti, è un conto; ma questo non toglie il ricordo del perché e del come fu introdotta quella riforma. Tutto ciò mi fa essere disponibile a discutere serenamente della contro-riforma Gelmini e del ritorno al maestro unico. Ciò che devo però constatare è che questa discussione non è stata fatta, ed è una cosa assolutamente inaccettabile: una riforma che tocca la scuola elementare non va imposta ma discussa. Si è trattato dunque di un gesto arrogante da parte del governo.

Nella politica di tagli sembrano essere coinvolte anche le scuole paritarie: era secondo lei necessario andare a colpire anche in questo settore?

Se i tagli sono confermati le scuole paritarie si trovano colpite pesantemente, come percentuale di incidenza sulla spesa, rispetto a quelle pubbliche. Quella della scuola paritaria è una vexata quaestio, molto delicata a causa dei rapporti tra cattolici e laici, e resa ora ancor più delicata dalla presenza di culture e religioni diverse nella nostra società. Su questo ci vuole una riflessione serena e prolungata. Mentre gli interventi di tagli imposti dall’altro, ingiustificati per la scuola pubblica , lo sono ancor di più per le scuole paritarie.

 

Inoltre, da un punto di vista meramente finanziario, l’esistenza stessa delle scuole non statli rappresenta un risparmio per lo Stato…

Sì, questo è certamente un ragionamento valido sul piano finanziario. Bisogna però aggiungere che finanza non deve prevalere su considerazioni di maggiore spessore, come la qualità e il ruolo che la scuola pubblica è tornata a svolgere in Italia di fronte ai problemi della diversificazioni culturali, etniche e religiose che stanno caratterizzando sempre più la nostra società.

 

Come fare invece i cosiddetti “tagli intelligenti” in ambito universitario?

Come Commissione tecnica per la finanza pubblica avevamo creato un documento ad hoc, conosciuto poi con il nome di Patto per l’università, sottoscritto dal governo Prodi e dalla Crui. Lì si parlava non di tagli, ma di più risorse: si constatava cioè che l’università ha bisogno di maggiori risorse, ma che non si poteva andare avanti con il sistema vigente di ripartizione delle risorse stesse, un sistema da riformare in profondità con una politica che premiasse gli atenei virtuosi, che incentivasse fortemente la buona didattica e la buona ricerca, e che investisse sul diritto allo studio come strumento di competizione per gli atenei. Riguardo a quest’ultimo punto si pensava in particolare ad un concorso nazionale per attribuire premi ai migliori studenti d’Italia, i quali ottenessero borse – più consistenti rispetto alle normali borse di studio – grazie alle quali poter scegliere la sede preferita. Un’idea da non abbandonare, che però allora non fu recepita per mancanza di fondi. Il piano approvato prevedeva comunque un aumento di finanziamenti, non eccessivo, ma comunque un segnale importante. Ora invece si va in direzione opposta; e non solo si procede ai tagli, ma si fa anche l’ulteriore errore di fare tagli indiscriminati. Così facendo si irride alla virtù della buona amministrazione anziché premiarla, e si favorisce chi in questi anni ha optato per una gestione avventurosa delle risorse.

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