Dentro lo sciopero generale della scuola si incrociano almeno due “piattaforme”: quella delle sigle sindacali, che l’hanno promosso ufficialmente (Flc-CGIL, CISL-Scuola, UIL-Scuola, SNALS-Confsal, GILDA-Unams), quella delle sigle politiche di tutta l’opposizione (PD, IDV).

Il comunicato congiunto delle sigle sindacali lamenta “i tagli” di quasi 8 miliardi di euro «che destrutturano il nostro sistema pubblico di istruzione e mettono a rischio il diritto allo studio e la qualità dell’offerta formativa». Rivendica: l’abrogazione dell’articolo del Decreto legge n. 137 (Gelmini) che ripristina il maestro unico e introduce l’orario di 24 ore settimanali nella scuola primaria; l’apertura di un tavolo negoziale con il Governo in merito al Piano Programmatico e ai regolamenti attuativi di cui all’articolo 64 del decreto-legge 112/08; il rinnovo del contratto collettivo nazionale, il mantenimento delle prerogative contrattuali e garanzie contro le incursioni legislative nella disciplina del rapporto di lavoro; la garanzia di organici di istituto funzionali, stabili e pluriennali per il personale docente ed ATA al fine di dare certezze al personale e continuità didattica ed organizzativa alle scuole; tutele per il personale precario.



La piattaforma politica di Veltroni e Di Pietro annunciata il 25 ottobre denuncia i tagli relativi a scuola e Università, la privatizzazione selvaggia del sistema educativo nazionale (ma intanto il Ministro Gelmini taglia del 40% entro il 2011 i finanziamenti alle scuole paritarie!), l’emergere di “un razzismo di governo” a proposito delle classi-ponte proposte da una mozione parlamentare, non ancora trasformata in atto ufficiale di governo.



I sindacati non nascondono per nulla il continuismo corporativo degli ultimi decenni, malamente mascherato dalla retorica della difesa della scuola per tutti. Da sempre gli interessi particolari degli addetti vengono transustanziati in interessi universali degli utenti. È un vecchio spot pseudo-marxiano. Una volta erano gli operai “la classe generale”, ora sono gli insegnanti e il pubblico impiego. Sballottata nel mezzo sta una massa ingente di persone coinvolte: 819.000 docenti in servizio, circa 200.000 docenti precari, circa 200.000 collaboratori. Al di sotto ancora, le loro famiglie. Più in basso stanno 8 milioni di studenti della scuola di ogni ordine e grado, di cui circa 2 milioni nelle scuole superiori. Quanto alle Università, sono coinvolti 1.799.000 studenti e 62.000 docenti, dei quali 23.500 sono ricercatori. Un calcolo grezzo porta a circa 4 milioni di giovani dai 16 ai 27 anni.



Di fronte al collasso del sistema educativo nazionale e di quello universitario e di ricerca, questa generazione si interroga e si mette in movimento. Di essa, una minoranza sta catafratta in vecchi eskimo, ereditati dai padri; una maggioranza, invece, è mossa da eloquenti passioni, interessi, valori. Perché, infine, soprattutto le giovani generazioni si muovono, guidate dalla cura di sé e del proprio destino. A costoro i sindacati forniscono una risposta corporativa, l’opposizione offre il consueto bagaglio politico-ideologico conservatore.

Ma la risposta del governo è debole sul piano culturale e ideale. Chi si aspettava la ripresa di un forte slancio riformistico, si è trovato davanti, dopo la politica del “cacciavite” di Fioroni, quella della “manutenzione”. Ma quale “riforma”? I “tagli” e i sacrifici si giustificano, se si intravede davanti una politica di cambiamento. Solo riforme radicali consentono l’efficienza della spesa e perciò anche la sua efficacia. “Lacrime e sangue” sì, ma per difendere l’Inghilterra! Non per meno. Una risposta debole rischia di mettere la giovane generazione di fronte a un cattivo futuro: andarsene dall’Italia, per chi può; rivendicare un posto sicuro dallo stato e dal governo di turno; infilarsi in un tunnel di rabbia, delusione, rivolta. Discutere costantemente con loro sembra essere il compito attuale della generazione adulta e, perciò, del governo.

Rispondi al sondaggio