Lo sciopero del mondo della scuola del 30 ottobre, indetto dalle organizzazioni sindacali Flc CGIL, CISL Scuola, UIL Scuola, SNALS Confsal e GILDA Unams, rischia di includere pericolosi fattori di “tafazzismo” (da Tafazzi: la simpatica macchietta televisiva inventata da un noto comico che si diletta a battersi una bottiglia di plastica vuota sulle parti intime). Quella che dovrebbe essere una espressione pubblica di dissenso nei confronti del decreto-legge Gelmini 137/08 e del Piano programmatico stilato dal Ministero dell’Istruzione in applicazione alla legge finanziaria rischia di ritorcersi, come spesso accade, a danno della categoria dei docenti che risponderanno magari numerosi (e taluni, perché no, in buona fede) ai richiami di un sindacato che contrasta da sempre l’idea che al docente italiano debba essere riconosciuta una carriera articolata per livelli giuridici ed economici. 



Come leggere se non in questi termini l’obiettivo della piattaforma indicato con le parole: “Mantenimento delle prerogative contrattuali e garanzie contro le incursioni legislative nella disciplina del rapporto di lavoro”? Di che cosa stiamo parlando?

Le prerogative sindacali concernono quel complesso di diritti-doveri che la Costituzione e le leggi vigenti riconoscono ai sindacati e ai lavoratori ad essi associati (tali sono, per esempio, gli strumenti contrattuali come le riunioni sindacali, la contrattazione integrativa, la concertazione; e ancora: i distacchi e le aspettative sindacali, le assemblee nei luoghi di lavoro e la stessa indizione degli scioperi). Queste peculiarità che hanno reso il sindacato un importante fattore del nostro sistema democratico per la funzione sociale che vi svolge (si pensi all’assistenza e alla consulenza legale, nonché alla promozione di rivendicazioni salariali attuate negli anni a garanzia di migliori condizioni lavorative della categoria docente) rischiano di essere compromesse ed esautorate dalla prevalenza di una identità tutta politica di parte che, soprattutto nella scuola, il sindacato si è costruito negli anni.



La politica è metodo che si arricchisce man mano delle esperienze e delle esigenze che il popolo esprime nel suo cammino di realizzazione nella storia. Questo metodo è invece diventato una serie di categorie rigide e prefissate che si ripetono costantemente ad ogni svolta significativa degli eventi: le cosiddette e paventate “incursioni legislative” definiscono il prossimo campo di battaglia di questa partita tutta strumentale contro la revisione dello statuto giuridico e professionale dei docenti che questo governo ha nell’agenda politica dei prossimi mesi. Una riforma di cui invece, a nostro giudizio, la categoria avrebbe bisogno per acquisire maggiore autonomia, competenza e rispondenza alle domande di istruzione ed educazione poste oggi dai giovani che si inseriscono nel percorso scolastico e delle loro famiglie.



Nel programma elettorale di Veltroni, in occasione delle ultime elezioni politiche, era previsto, d’altra parte, il potenziamento della professionalità docente “avviando una vera e propria carriera professionale degli insegnanti, che valorizzi il merito e l’impegno”. Parole riprese, pari pari, nel suo discorso alla Commissone Cultura della Camera dello scorso giugno dal ministro Gelmini, che aggiungeva: “Nella scuola abbiamo troppi dipendenti e poco pagati. Con una carriera pressoché piatta. C’è poi da stupirsi se i tantissimi bravi maestri, i tantissimi bravi professori non si sentano motivati”?. E di che cosa parla, se non anche di questo, forse soprattutto di questo, la proposta di legge Aprea che è in discussione presso la medesima VII Commissione?

Il termine “carriera”, inteso come un tabù da tanti esponenti di una ideologia vetero-sindacale omologante i docenti al livello di un impiego di tipo impiegatizio, senza scatti che non siano dovuti all’anzianità, è peraltro ormai acquisito perfino nella letteratura sindacale, a dar retta all’ultimo Contratto Scuola 2006-2009 che all’art. 24 fa riferimento ad un impegno delle parti “a ricercare, in sede contrattuale, in coerenza con lo sviluppo dei processi di valutazione complessiva del sistema nazionale d’istruzione e con risorse specificamente destinate, forme, modalità, procedure e strumenti d’incentivazione e valorizzazione professionale e di carriera degli insegnanti”.

E allora? C’è un particolare importante di cui tenere conto: per il sindacato la ridefinizione di un nuovo profilo professionale degli insegnanti è imprescindibile dall’esercizio della contrattazione sindacale (in termini tecnici, dall’accordo sottoscritto il 24 maggio 2004, dalla Commissione che ha operato ai sensi dell’art. 22 del vecchio Contratto del 2003). Questa è la misura di quanto l’organismo sindacale tenga in mano lo sviluppo della professionalità docente. Sviluppo sì, ma subordinato ad una precisa logica di tipo burocratico-egualitario che di fatto ha appiattito il lavoro degli insegnanti su parametri impiegatizi per cui tutti, da chi si aggiorna a chi non lo fa, da chi è punta di eccellenza nella propria scuola e chi non lo è perché si adegua ad uno standard medio, sono trattati nello stesso modo. 

Nella circostanza dello sciopero sarebbe bene che i docenti leggessero bene tra le righe della piattaforma quello che promette loro il soggetto che li vorrebbe/dovrebbe difendere.

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