Professor Israel, alcuni anni fa personalità della società civile e della cultura lanciarono un appello per l’educazione, che prendeva spunto da un’affermazione di don Giussani: «Se ci fosse un’educazione del popolo tutti starebbero meglio». Di fronte allo spettacolo di questi giorni, che ha coinvolti bambini, ragazzi, genitori e docenti, che ne è dell’emergenza educazione?
Quello di questi giorni è uno spettacolo che illustra lo sbando cui è arrivata parte della nostra società. La nota più caratteristica soprattutto dei fatti di ieri è che i presunti “giovani” che guidano la protesta sono in realtà gli anziani, gli ex-sessantottini invecchiati che trascinano irresponsabilmente i giovani veri, disinformandoli in modo spaventoso. A questo si aggiunge il fatto ancor più riprovevole dei bambini che vengono portati in piazza; si è arrivati anche al caso limite di maestri che hanno trascinato i loro alunni in spettacoli di dubbio gusto, con travestimenti che richiamavano a Berlusconi e alla Gelmini. Questo è un abuso di minore, né più né meno. Io genitore che mando il bimbo a scuola mi fido del maestro, proprio secondo quell’idea totale di fiducia di cui parlava don Giussani: mi fido cioè del fatto che il ruolo del maestro sia quello di essere educatore, che trasmette conoscenza e passione. E invece vengo tradito in modo indegno nella mia fiducia, perché il bambino viene usato. Ma c’è poi anche il problema che in alcuni casi sono i genitori stessi che tradiscono i loro bambini. È uno spettacolo veramente poco edificante.
Possiamo dunque dire che il problema principale, soprattutto sulla scuola, non è politico, bensì educativo: ma come fare per rilanciare veramente di fronte all’opinione pubblica l’importanza della questione educativa?
Bisogna avere un’infinta pazienza, perché chi lotta sul fronte dell’educazione autentica non ha gli strumenti della propaganda immediata. È più facile che si diffonda la menzogna. Io non sono però pessimista: sono convinto che nel campo della scuola e dell’educazione ci siano molte persone che si stanno rendendo conto del diastro cui siamo arrivati, e che la coscienza sia cresciuta molto da questo punto di vista. Inoltre mi pare che la reazione scomposta della piazza, tanto più perché mossa e guidata non da giovani ma da persone di una certa età, sia un segno di un mondo in crisi che sta reagendo per non essere privato del proprio potere sulla scuola. È un sussulto, un colpo di coda da parte di chi si sente in difficoltà per la prima volta in un terreno che ha sempre ritenuto di proprio dominio. Sono molti quelli che si stanno rendendo conto che da trent’anni abbiamo lasciato il sistema educativo a mani che non avevano a cuore l’educazione vera.
Sembrerebbe però esserci un ostacolo fondamentale: i giovani che seguono le ragioni di chi difende il proprio dominio nel campo educativo sono tanti, a giudicare dalle adesioni alle manifestazioni…
Sono tanti, ma meno di quanti si creda. E sono pienamente convinto che siano una minoranza, anche se naturalmente molto chiassosa. Per questo mi pare indegna l’affermazione di ieri di Epifani, che parlava di «un intero popolo che insorge». Non è così, e soprattutto non lo è per i giovani. Me ne rendo conto soprattutto in università: io ho difficoltà ad andarci in questo giorni a causa del clima di fanatismo di molti docenti, che hanno votato irresponsabilmente per la sospensione della didattica. Mentre gli studenti invece hanno votato contro. La situazione dunque non è così chiara come si vorrebbe far credere: quelli che protestano sono pochi, e non rappresentano nessuno
L’esigenza che muove questi giovani, al di là della condivisione o meno degli argomenti, è comunque un’esigenza positiva: come fare per dare credito all’esigenza buona, anche se male espressa, che li muove?
Molti studenti sono disorientati, e vorrebbero essere informati meglio su quello che accade. Certo, hanno un malessere, e hanno ragione: si trovano a studiare in strutture spesso pietose, e quando vanno all’estero vedono università, come quelle americane o anche di altri paesi europei, in condizioni molto diverse dalle nostre. Eppure da noi si vuole mantenere tutto com’è. Io, ad esempio, sono scandalizzato dal fatto che il senato accademico ammetta, a porte chiuse, le proprie colpe, e che poi gli stessi docenti vadano con l’eskimo in piazza a fare lezione. Stanno corrompendo i giovani, e noi dobbiamo fare uno sforzo per far capire quello che realmente sta accadendo. I ragazzi sono disposti a capire, quando qualcuno parla loro pacatamente. Ad esempio, capiscono benissimo che ha senso proporre un cospicuo aumento delle tasse universitarie, per poi dare borse ai meritevoli: chi vuole parcheggiare paghi salato, chi studia abbia borse. Oppure capiscono che è giusto chiudere le università di troppo, e ad esempio ricostruire al loro posto le case dello studente. L’università, i docenti invece no, non lo capiscono: reagiscono, fanno lezione in piazza, e danno un cattivo esempio. Rappresentano un fenomeno di diseducazione. Ma io invito i giovani a non andar dietro a questi cattivi maestri: protestino anche per quello che vedono che non va, ma non si facciano trascinare da chi non ha a cuore la loro educazione.
Dunque la questione educativa dev’essere riportata al centro. Un richiamo che però non deve rimanere in astratto, ma deve incidere di fatto anche sulle scelte concrete.
Io però credo poco alle soluzioni di carattere strutturale e tecnico: l’educazione è una questione direi quasi “missionaria”. È cioè necessario che si mobiliti la gente che ci crede profondamente, perché l’educazione è fatta da rapporti tra persone, e non si risolve con le formule. Questo è il momento che chi crede nella funzione educativa venga allo scoperto, perché si capisca veramente cosa significa essere un maestro, mostrarlo nella pratica, dare un lascito di conoscenza e passione. È qualcosa che si fa solo con la testimonianza. Non è una cosa che si conquista con la tecnica. Un po’ come nei concorsi: si tenta di renderli morali e perfetti, ma non c’è un meccanismo salvifico. Invece che studiare meccanismi perfetti, bisogna mobilitare le forze – e, ripeto, non sono poche – che credono nella questione educativa.